E se dietro allo «sgattonare» la tastiera si nascondesse una delle più efficaci metafore della vita?
Prima però dovrei spiegarvi cosa significa «sgattonare», termine or ora coniato da me medesimo a partire da un’accezione dialettale affibbiata all’ordinario nome normalmente utilizzato per indicare uno dei più comuni ed apprezzati amici domestici a quattro zampe: il gatto.
Con la parola «gatto», in un ampio circondario di Gillipixiland dal raggio chilometrico piuttosto considerevole, oltre al pelliccevole rappresentante faunistico fusaiolo e miagolante, s’intendono anche quei batuffoli di polvere che si raggrumano negli angoli più impensati della casa meno accessibili da strofinacci, ramazze, aspiratori ed altri ammennicoli spazzolanti vari.
I «gatti» sono fiocchetti grigi di dimensione mutevole e di consistenza più o meno compatta e volatile. Forse non ci avete mai fatto caso più di tanto, ma essi amano molto stabilire le proprie cucce proprio fra gli interstizi della tastiera del computer. Non ci si bada tantissimo, perché s’intruppano belli occultati sotto i tasti, ma ogni tanto, se si procede a «sgattonare» in grande stile tutti quei mini-ricettacoli e le piccole curve nascoste fra lettere, numeri ed “f” varie, si constaterà quali, quanti e ben pasciuti ne sbuchino fuori.
Ci saranno altri strumenti più adatti e tecnologicamente avanzati, ma per quanto mi riguarda, prediligo un tipo di «sgattonata» messo a punto quasi per caso, qualche tempo fa. Quello che serve è un semplice scovolino improvvisato, creato a partire da quei minuscoli fili di ferro usati per sigillare ad intreccio le buste di cellophane di panettoni, dolci, o anche di altri prodotti non alimentari. Normalmente, questi piccoli fermagli hanno appunto un’anima metallica, rivestita con una piccola fettuccia plastica.
Per approntare lo scovolino atto alla «sgattonatura», basta spellare la plastica per un piccolo tratto, portando a nudo alcuni centimetri di filo metallico, che serviranno poi da “stanatore” effettivo dei «gatti» pulviscolari, lasciando sempre ricoperto il restante tratto, in forma di impugnatura del nostro attrezzo «sgattonante». Come detto, la scoperta dell’efficacia «sgattonatoria» di questi piccoli sigilli la scopersi un giorno casualmente, quando me ne capitò a portata di mano uno, proprio mentre scrivevo al computer.
Una volta predisposto lo scovolino, non resta altro che lasciarsi andare alla voluttà «sgattonatoria». Mi esprimo in questi termini, perché è proprio da questo momento in poi che la valenza metaforico esistenziale dello «sgattonamento» rivela la sua vera natura.
Sì, perché proprio mentre ti ritrovi lì a far scivolare lo scovolino con un lungo passaggio seguente, prima dentro la scanalatura «…qwertyuiopè+…» e poi in quella immediatamente sottostante, la «…asdfghjklòàù…», non puoi fare a meno di provare una sorta di piacere fisico, proprio nei momenti in cui i primi «gatti» cominciano a sgusciare da sotto i tasti, sollecitati dal pungolo dello scovolino. E il bello deve ancora venire: perché più “scovoli”, più i «gatti» s’impinguano quasi prolificando sotto il sapiente tocco indagante della piccola punta metallica. Ad ogni passata, ingrassano a valanga, uscendo fuori a “pelucchi” alzati, come vecchi rapinatori del pulito, sorpresi con le mani nel sacco.
Non puoi fare a meno di veder riflesse, in questa operazione, altrettante dinamiche attive fra le pieghe della vita vissuta, egualmente fondate sull’atto del riportare in superficie tutto quanto vi è in noi di più disdicevole e non così semplicemente ammissibile, ma che non di meno costituisce una delle componenti fondamentali del nostro essere.
Come sotto i cubettini della tastiera, allo stesso modo anche fra le scanalature del nostro animo e della nostra fisicità, si celano una miriade di «gatti» all’apparenza poco onorevoli e lusinghieri, ma che a ben guardare sono parte integrante ed imprescindibile della nostra bellezza umana, così ricca, nella sua essenza più vera, anche di numerose imperfezioni e di insufficienze.
In questo senso, si può considerare la graduale scoperta di ciò che si nasconde sotto la patina più civilizzata ed esteriore di noi stessi, come una sommatoria di momenti di crescita verso una consapevolezza maggiore di sé. Acclarare le nostre sgradevolezze più nascoste, non può che risultare in qualche modo un piacere, perché è un’operazione che ci riconcilia con la verità e con la correttezza conoscitiva verso di noi. Non riuscire a fare i conti con le proprie imperfezioni, può rappresentare un grave ostacolo ad una presa di coscienza il più possibile completa della propria umanità. Molti piaceri della vita, fra l’altro, affondano la propria logica contraddittoria esattamente in ciò che è sporco, sconveniente, indecente.
Nascondere a se stessi tutti questi dati di fatto, è insomma come rinunciare al diletto offerto da una buona «sgattonata» di tastiera.
Prima però dovrei spiegarvi cosa significa «sgattonare», termine or ora coniato da me medesimo a partire da un’accezione dialettale affibbiata all’ordinario nome normalmente utilizzato per indicare uno dei più comuni ed apprezzati amici domestici a quattro zampe: il gatto.
Con la parola «gatto», in un ampio circondario di Gillipixiland dal raggio chilometrico piuttosto considerevole, oltre al pelliccevole rappresentante faunistico fusaiolo e miagolante, s’intendono anche quei batuffoli di polvere che si raggrumano negli angoli più impensati della casa meno accessibili da strofinacci, ramazze, aspiratori ed altri ammennicoli spazzolanti vari.
I «gatti» sono fiocchetti grigi di dimensione mutevole e di consistenza più o meno compatta e volatile. Forse non ci avete mai fatto caso più di tanto, ma essi amano molto stabilire le proprie cucce proprio fra gli interstizi della tastiera del computer. Non ci si bada tantissimo, perché s’intruppano belli occultati sotto i tasti, ma ogni tanto, se si procede a «sgattonare» in grande stile tutti quei mini-ricettacoli e le piccole curve nascoste fra lettere, numeri ed “f” varie, si constaterà quali, quanti e ben pasciuti ne sbuchino fuori.
Ci saranno altri strumenti più adatti e tecnologicamente avanzati, ma per quanto mi riguarda, prediligo un tipo di «sgattonata» messo a punto quasi per caso, qualche tempo fa. Quello che serve è un semplice scovolino improvvisato, creato a partire da quei minuscoli fili di ferro usati per sigillare ad intreccio le buste di cellophane di panettoni, dolci, o anche di altri prodotti non alimentari. Normalmente, questi piccoli fermagli hanno appunto un’anima metallica, rivestita con una piccola fettuccia plastica.
Per approntare lo scovolino atto alla «sgattonatura», basta spellare la plastica per un piccolo tratto, portando a nudo alcuni centimetri di filo metallico, che serviranno poi da “stanatore” effettivo dei «gatti» pulviscolari, lasciando sempre ricoperto il restante tratto, in forma di impugnatura del nostro attrezzo «sgattonante». Come detto, la scoperta dell’efficacia «sgattonatoria» di questi piccoli sigilli la scopersi un giorno casualmente, quando me ne capitò a portata di mano uno, proprio mentre scrivevo al computer.
Una volta predisposto lo scovolino, non resta altro che lasciarsi andare alla voluttà «sgattonatoria». Mi esprimo in questi termini, perché è proprio da questo momento in poi che la valenza metaforico esistenziale dello «sgattonamento» rivela la sua vera natura.
Sì, perché proprio mentre ti ritrovi lì a far scivolare lo scovolino con un lungo passaggio seguente, prima dentro la scanalatura «…qwertyuiopè+…» e poi in quella immediatamente sottostante, la «…asdfghjklòàù…», non puoi fare a meno di provare una sorta di piacere fisico, proprio nei momenti in cui i primi «gatti» cominciano a sgusciare da sotto i tasti, sollecitati dal pungolo dello scovolino. E il bello deve ancora venire: perché più “scovoli”, più i «gatti» s’impinguano quasi prolificando sotto il sapiente tocco indagante della piccola punta metallica. Ad ogni passata, ingrassano a valanga, uscendo fuori a “pelucchi” alzati, come vecchi rapinatori del pulito, sorpresi con le mani nel sacco.
Non puoi fare a meno di veder riflesse, in questa operazione, altrettante dinamiche attive fra le pieghe della vita vissuta, egualmente fondate sull’atto del riportare in superficie tutto quanto vi è in noi di più disdicevole e non così semplicemente ammissibile, ma che non di meno costituisce una delle componenti fondamentali del nostro essere.
Come sotto i cubettini della tastiera, allo stesso modo anche fra le scanalature del nostro animo e della nostra fisicità, si celano una miriade di «gatti» all’apparenza poco onorevoli e lusinghieri, ma che a ben guardare sono parte integrante ed imprescindibile della nostra bellezza umana, così ricca, nella sua essenza più vera, anche di numerose imperfezioni e di insufficienze.
In questo senso, si può considerare la graduale scoperta di ciò che si nasconde sotto la patina più civilizzata ed esteriore di noi stessi, come una sommatoria di momenti di crescita verso una consapevolezza maggiore di sé. Acclarare le nostre sgradevolezze più nascoste, non può che risultare in qualche modo un piacere, perché è un’operazione che ci riconcilia con la verità e con la correttezza conoscitiva verso di noi. Non riuscire a fare i conti con le proprie imperfezioni, può rappresentare un grave ostacolo ad una presa di coscienza il più possibile completa della propria umanità. Molti piaceri della vita, fra l’altro, affondano la propria logica contraddittoria esattamente in ciò che è sporco, sconveniente, indecente.
Nascondere a se stessi tutti questi dati di fatto, è insomma come rinunciare al diletto offerto da una buona «sgattonata» di tastiera.
2 commenti:
Pure noi qui a Poultryville li chiamiamo gatti, Gilli! Ma lo vedi che siamo tutti connessi, in questo meraviglioso mondo virtuale?
Sotto il mio letto ce ne sono milioni...ehm, ehm, lo so non dovrei dirlo...:)))))))))
che bella la sensazione struffatoria che descrivi, la ripulitura della tastiera...io ci metto del mio, al solito, e butto là anche l'escavo del calcare da lavandini e affini...a volte sono rocciosa...:))))))))))
E' vero, per divertirsi, nella vita, bisogna essere pronti a sporcarsi...;)
@->Vale: ehehhehe :-) mi sa che sia un modo abbastanza diffuso, Vale, questo per indicare i batuffoli di polvere con la parola "gatto" :-)
Non preoccuparti della loro copiosa presenza sotto il tuo letto (e grazie per la simpatica confessione :-)...credo che alla fine siano inestirpabili :-) si possono domare, arginare un po', ma debellarli completamente è impossibile :-)
Proseguendo sul metaforico andante, si potrebbe proseguire il discorso, parafrasando la famosa frase leopardiana secondo la quale la vita sarebbe un pendolo che oscilla fra la noia e l'angoscia...in questo caso direi che è un pendolo che oscilla fra lo sporco e il pulito :-)
Grazie per la tua presenza sempre così simpatica :-)
Bacini spolverati :-)
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