mercoledì 4 settembre 2013

Pubblisacralità



L’ultima dimensione del sacro sembra ormai asserragliata entro la tenace frontiera del mondo della pubblicità. Puoi parlare male della Chiesa, delle religioni e dei preti, ma guai se parli male di un prodotto in commercio. Anzi, nelle sedi comunicative più alte, i prodotti commerciali di tutti i generi, al di fuori del loro ambito pubblicitario strettamente recintato, sono divenuti l’oggetto oscuro dell’ineffabilità stessa.

In un articolo giornalistico, in una trasmissione televisiva, in un’intervista ufficiale, se l’eventuale citazione non s’inquadra in un discorso del tutto particolare, nominare il nome di un prodotto commerciale equivale al nominarlo invano. Ci si appella allora alle perifrasi più neutralizzanti, pur di non pronunziare l’indicibile: «…la nota ditta produttrice di…», «…la famosa catena di mobilifici…», tanto per dire, o simili espressioni sostitutive.

Pronunciare il nome per esteso, chiaro e tondo, implicherebbe porsi, in maniera bizzarra e sconveniente, al di fuori delle regole del gioco. Si darebbe adito alla pubblicità gratuita, sommo cortocircuito logico nell’ambito del territorio commerciale stesso. La tv, il giornale, la radio, il sito web, ecc. che ospitano il servizio, l’articolo o l’intervista del caso, saranno infatti a loro volta inseriti in un circuito di ritualità commerciali proprie, da officiarsi unicamente attraverso le modalità di correttezza sacrale e per il tramite di propri sacerdoti di fiducia (ossia i pubblicitari che curano gli spot ufficiali di quella tv, o giornale, o radio, o sito web, ecc.), secondo la dottrina dell’ortodossia lucrativa.

Se queste argomentazioni vi sembrano piuttosto flebili, prendiamo l’esempio di un caso, per così dire, “estremo”: la dimensione narrativa. Si dia un ipotetico scrittore, che per necessità sue romanzesche del tutto lecite e perseguite in buona fede con “spirito artistico”, necessiti di scrivere una storia nel corso della quale si insulta e si denigra pesantemente il tale o il talaltro prodotto commerciale. Non lo potrà fare. Perché, anche se gli autori moderni più all’avanguardia hanno ormai sdoganato ogni genere di oscenità e persino la bestemmia, rendendo di fatto tollerati questi “ex limiti estremi”, nessuno oserà mai invece mettersi contro la potenza dell’apparato sacralizzante che ammanta la dimensione suprema del Mercato.

Come deterrente immediato, ci si metterebbe di mezzo la spiacevolezza insostenibile di una causa legale molto impari, da andare inevitabilmente a sostenere con una controparte troppo forte. Ma più in profondità, entrerebbe in ballo una sorta di sottile contraddizione in termini. Chi scrive, anche l’autore più etereo e meno interessato alle “cose del mondo”, ambisce ad essere letto, ad avere un pubblico. E per essere letto, deve incanalarsi volente o nolente in un percorso commerciale. Come potrebbe dunque, sempre quel medesimo autore, infrangere il tabù stesso sotto la cui egida egli per primo è costretto ad inchinarsi?

Al limite potrà contestare il panorama pubblicitario e la mercificazione generalizzata nel suo insieme, esponendo posizioni anche fortemente critiche. Il che non è certo cosa da poco, benintesi. Ma ingaggiare direttamente battaglia con taluni simboli concreti di quel panorama, difficilmente lo potrà fare. Perché un’ipotetica battaglia di questo genere ha assunto ormai, agli occhi anche dei più visionari, il medesimo sapore dello scorno patito da Don Chisciotte contro i mulini a vento.

Come corollario di queste considerazioni, gli spot pubblicitari, o meglio, la sequela debordante di réclame alla quale siamo sottoposti ormai vita natural durante, si sono mutati nel nuovo modernissimo rituale laico. E dico “laico” solamente per specificazione espositiva. Perché di fatto l’atteggiamento innescato dal fenomeno è di pochissimo dissimile rispetto a quanto accade di fronte alle questioni sacre tradizionalmente intese.

Di fronte al rito sacro, si è chiamati ad accettare l’irrazionale come dato di fede. Il rito sacro, inoltre, si nutre di ripetitività ossessiva, di una instancabile ciclicità di contenuti. Non s’innescano forse meccanismi molto simili anche di fronte alla pubblicità?

Gli spot ci dicono ad esempio che la nostra felicità è legata al possesso di un’automobile e noi, anche se a livello conscio siamo pronti a negarlo decisamente, nel nostro intimo ci crediamo. Le réclame ci costringono al sempiterno inseguimento di quell’inspiegabile sensazione di aver bisogno di sempre nuovi bisogni. Tutto questo con monotona ripetizione, ad ogni piè sospinto nel corso delle nostre giornate.

Ed opporsi suona effettivamente in un certo senso come blasfemo. Perché la sacralità commercial-pubblicitaria ha ormai intriso anche le più intime fibre di ciascuno.
 


4 commenti:

Marisa ha detto...

Certo è che l'immagine dello spettatore visto da coloro che lo manipolano non ne esce tanto bene.
Plasmabile, infantile e idiota ecco su cosa lavorano i pubblicitari, il guaio è che hanno ragione.
Un carosello di bacini.

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: è vero, cara Mari...viene da domandarsi: come abbiamo fatto a ridurci così? Una spiegazione sempre plausibile sta nella teoria della rana bollita, che se gettata di botto in un pentolino d'acqua a 100 gradi, guizzerebbe fuori all'istante, ma se fatta acclimatare pian piano all'aumento della temperatura, quando arriva il punto di ebollizione ormai è già bella e che assuefatta...

Va beh...

Bacini per gli acquisti :-)

ANTONELLA ha detto...

dalla politica alla vita mondana è si tende a convincere e quindi a pubblicizzare. Per convincere devi toccare le corde più intime delle persone. e non c'è modo migliore per persuadere una persona che quello di legittimare i suoi più intimi segreti , le sue puccole depravazioni. per questo la donna che sponsorizza un reggiseno si cimenta in acrobazie erotiche: perchè l'uomo vuole una donna così , non ci sta niente da fare. allora facciamogli credere che è buono e giusto. facciamo credere alla donna che deve essere così perchè è così che vuole essere nei suoi pensieri più reconditi. insomma la pubblicità , la politica del consenso non educa ma assolve l'umanità , la incita all'errore perchè la mela del paradiso terrestre se è melinda è ancora più buona. Baci preistorici

Gillipixel ha detto...

@->Antonella: il tuo commento completa in modo egregio ed arricchisce il mio scrittino, cara Anto...grazie...indubbiamente abbiamo a che fare con un "forzato" ritorno alle sfumature più arcaiche dell'uomo, un solleticare certi suoi primordiali meccanismi...chi sa manipolare questi "tasti", oggi, ha in mano tanto potere...può far fare alla gente cose all'apparenza ammantate di saggezza e ponderazione estreme, ma in realtà dettate solo dall'istinto più inconscio...la politica, nobilissima arte di tutte le arti secondo Platone, è oggi ridotta a questo...il politico fa fare alla gente ciò che lui vuole, facendole credere che sia ciò che essa vuole...basta guardarsi intorno, in Italia, e di esempi ce ne sono fino a stufarsi...

Bacini non sponsorizzati :-)