lunedì 17 febbraio 2014

Abbondanti dosi di Dostoesvkij, prima e dopo i pasti...

 

E' questo un periodo di classiconi della letteratura, per me. Dopo la meravigliosa lettura del capolavoro di Fëdor Dostoevskij «I fratelli Karamazov», sto ora affrontando un altro dei colossi del grande autore russo: «L'idiota». Ma non è di tematiche presenti nelle due opere che mi piacerebbe parlare oggi. Volevo invece dire due parole sul valore della “lettura lunga”.

In passato, raramente affrontavo libri di mole, diciamo indicativamente, superiore alle 400 pagine. Il motivo preciso non lo saprei dire. Forse temevo di perdermi nella sconfinata radura di parole e trama. Forse era per la mia memoria non poi così eccelsa, che non mi consentiva di abbracciare una quantità di dati superiore ad una certa soglia, in un periodo medio-lungo. O forse era solo timore reverenziale nudo e crudo.

Non che la mia memoria sia tanto migliorata nel frattempo, ma con gli anni ho imparato che dei grandi libri ci si può fidare. Anzi, è consigliabile fidarsi. Ad essi è giusto abbandonarsi. La guida per orientarci la troveremo cammin facendo, nel loro stesso interno.

Leggevo nei giorni scorsi un articolo di Roberto Cotroneo, su Sette, il supplemento settimanale del “Corriere della Sera”. Parla della dipendenza da internet, dei tanti timori suscitati dall'eccessivo utilizzo della rete, che rischia di provocare un effetto di estraniamento smisurato dal mondo, un eccesso di fuga mentale dal reale.

Il dato curioso sta nel fatto che le medesime preoccupazioni venivano nutrite nell'Ottocento proprio riguardo alla lettura dei grandi romanzi-fiume: «...Stare chiuso dentro una stanza per leggere pagine e pagine di storie immaginarie, a volte in apparenza futili, doveva essere una grande preoccupazione per una società come quella a cavallo tra Settecento e Ottocento. I lettori di romanzi non erano raffinati filosofi che si interrogavano su argomenti teologici o morali. E non erano neppure acuti filologi dediti alla lettura di versi poetici. I lettori di romanzi erano dei sociopatici, capaci di perdersi in storie inventate, che non volevano trasmettere insegnamenti o valori, ma cercavano di appassionare un pubblico, soprattutto di lettrici, incapace di separarsi da storie di adultere, di assassini, di tragedie e ingiustizie che affioravano dai bassifondi delle città, e guerre mal combattute, e sentimenti non supportati da valori certi...».

Eppure a partire da quel modo ottocentesco di fuggire dal mondo, sono stati mossi fondamentali passi per la storia della nostra civiltà. Intorno a quei romanzoni, aleggiavano sospetti simili a quelli paventati oggi nei confronti di internet. In qualche modo la storia si ripete.

Cotroneo prosegue citando certe soluzioni estreme che si pensa di aver trovato al giorno d'oggi per “curare” la dipendenza da internet, tipo “campi di rieducazione”, in Cina ad esempio. E conclude, ovviamente contrariato: «...Il web 2.0 apre confini e possibilità anche a ragazzi di piccoli paesi o delle periferie del mondo, dove l'occasione di dialogare con qualcuno non va oltre il bar della piazza centrale, dove gli anziani giocano solo a carte. I cinesi rieducano ruvidamente, noi inventiamo patologie e le applichiamo alle nuove tecnologie. È facile, semplicistico e anche pericoloso. Il web è libertà ma soprattutto possibilità e opportunità per tutti, anche se sono sempre le élites a essere più reazionarie, proprio come accadeva all'inizio dell'Ottocento...».

Condivido la conclusione, ma un piccolo tassello ulteriore Cotroneo lo poteva aggiungere, ed è l'interessante cortocircuito storico rintracciabile in tutto il discorso: se pure internet porta delle distorsioni (ed è innegabile che fra le tante cose positive, ne abbia portato molte anche di poco esaltanti), gli antidoti non stanno certo in fantomatici metodi coercitivi da regime orwelliano.

Da un uso distorto di internet, a mio modo di vedere, ci può invece proteggere proprio la “lettura lunga”. Di fronte ad un libro di 1000 pagine o oltre, non puoi barare. Fermo restando il fatto di aver accettato di affrontarlo di buon grado, quando inizi la lettura, non puoi fare a meno di prestare attenzione, concentrarti, sforzarti di capire e di immedesimarti, non puoi fare a meno di assorbire concetti e sentimenti trattati, farli tuoi. Pena il dimenticare passaggi fondamentali, smarrendo il filo del discorso e buttando via un sacco di tempo inutile. Il libro lungo ci mette dunque a confronto con un diverso modo di “stare nel tempo”. Con un libro lungo fra le mani, è impossibile rimanere alla superficie dei pensieri. Bisogna per forza andare in profondità, altrimenti tanto vale rimetterlo subito nello scaffale della libreria.

E nell'andare in profondità, ci si accorge che sono necessari tempi estesi, dilatati, tempi molto più consoni al “fisiologico” formarsi della conoscenza e della cultura, di quanto non lo siano i tempi dettati da Wikipedia (con tutto il bene che pur voglio a Wikipedia), e se è per questo, nemmeno da “Andarperpensieri”.

Ogni libro scorre all'unisono col flusso del nostro sangue, ma i libri lunghi lo fanno in maniera ancor più armoniosa, sono imparentati fortemente con la nostra essenza di umani. Mentre il flusso di internet, del quale ormai similmente non possiamo più fare a meno, è flusso elettrico dalla velocità sovrumana, utile quando abbiamo bisogno di prestazioni di livello superiore, ma eccessivo nei casi in cui vogliamo ritrovare una sintonia vera con noi stessi. E quella, un bel tomo ponderoso, ce la garantisce sempre.



2 commenti:

Kika ha detto...

Bellissimo articolo!
Interessante il parallelismo che hai fatto tra i timori di internet e quelli ottocenteschi sui romanzi lunghi. Su di me i libri lunghi hanno un effetto calamita: appena ne vedo uno già mi sembra interessante, prima ancora di iniziare a leggerlo. Perchè a volte si ha proprio voglia di perdersi in un altro mondo, di entrare in una storia che sai già ti prenderà e ti avvolgerà per molto tempo, e quando sarà arrivata alla fine ti spiacerà perchè non era ancora abbastanza. Forse è perchè in questo assomigliano alla vita... danno l'illusione di vivere un'altra vita parallela alla nostra, di essere altrove e in un altro tempo. In questo periodo ho sul comodino proprio uno di questi romanzi-fiume: "Kristin figlia di Lavrans", una saga familiare ambientata nella Norvegia medioevale, scritta dal premio nobel Sigrid Undset (895 pagine!)

Gillipixel ha detto...

@->Kika: grazie Kika, sono lieto di sapere che fai parte del club degli amici dei gran libroni tomosi :-) è vero, sono una soddisfazione, ti avvolgono nel loro mondo parallelo e sono spesso una consolazione alle delusioni e alle amarezze della vita reale...non vanno visti come vie di fuga (beh, un po' anche quello, dai :-), ma più che altro come luoghi in cui è possibile ricaricare le batterie, fare il pieno di nuove energie, di speranze fresche...

Se ci si pensa bene, non è per nulla un meccanismo artificioso e forzato...come faccio a dirlo? Semplice, basta auto-osservarci in uno dei nostri meccanismi più naturali: i sogni :-) La nostra essenza stessa di umani ci mette a disposizione un sistema che è una sorta di valvola di sfogo esistenziale, un meccanico spirituale che ci rappezza l'animo tutte le notti :-) i sogni, appunto...e se è naturale e salutare fuggire un po' dal mondo, attraverso i sogni, altrettano lecito e benefico lo è farlo con i gran tomi :-)

Non conosco l'auore che mi citi...lo terrò a mente per future incursioni letterarie :-)

Grazie per aver letto e commentato così carinamente, Kiking :-)

Bacini da premio nobel :-)