domenica 2 febbraio 2014

Quant'è luogo questo comune...



Sto quasi portando a termine una delle mie “imprese di lettore” più soddisfacenti di sempre. Questa volta il tomo scelto è uno dei più “tomeschi” di tutta la storia della letteratura: «I fratelli Karamazov» di Fëdor Dostoevskij. Non sto nemmeno lì ad unirmi al coro di voci che nei decenni avranno detto meraviglie riguardo a questo portentoso libro. In poche, ritrite, ma veritiere parole: un capolavoro assoluto.

La complessità magmatica della vita, afferrata con grazia brutale per la cavezza, nell'improbo tentativo di domarla e di forgiarla in una qualche sagoma proteiforme: solo con questa “pomposeggiante”, e pur sempre elusiva perifrasi, posso forse tentare di definire quest'opera infinita.

E' un libro che per poterne parlare degnamente servirebbero altri dieci libri, altrettanto voluminosi. Mi limito a riportare una deliziosa epifania, rinvenuta intorno alla pagina 840 della mia edizione (Einaudi tascabili, 2004).

Siamo giunti alla Parte quarta, Libro undicesimo, Capitolo IX: “Il diavolo. Incubo di Ivan Fëdorovič”:

«...Ho consultato tutta la scienza medica: sanno diagnosticare ch'è un piacere, ti snocciolano la malattia da capo a fondo, così sulle dita, ma al dunque, guarirti non sanno mica. Mi capitò uno studentello esaltato: “Seppure”, diceva, “morrete, in compenso saprete perfettamente di che male siete morto!” Eppoi quella maniera che hanno di mandarti dagli specialisti: noi, sa, non facciamo che la diagnosi, ma lei vada dal tale specialista, che lo farà subito guarire. Davvero, davvero, te lo dico io, è sparito il dottore d'una volta, che ti curava di qualunque malattia: ora non c'è più che specialisti, e badano a farsi la réclame su pei giornali. Ti s'ammala il naso? Ti spediscono a Parigi: là (t'assicurano) c'è uno specialista di fama europea per curare i nasi. Arrivi a Parigi, quello ti esamina il naso: io, dice, vi posso curare soltanto la narice destra, perché narici sinistre non le assumo in cura, questo non rientra nella mia specialità: ma, terminato qui, recatevi a Vienna, là c'è uno specialista apposta che finirà di curarvi la narice sinistra...».

Non credevo ai miei occhi mentre leggevo queste frasi. Uno dei luoghi più comuni fra tutti i comuni luoghi, era già comune nella seconda metà dell'Ottocento. Pensavo che questa cosa si fossero messi a dirla intorno agli anni '70 del Novecento. E invece erano quelli dell'Ottocento. La fondamentale differenza, rispetto ai tempi dei fratelli Karamazov, è che quello era un luogo comune riservato ad un'élite. Il dottore ai tempi se lo potevano permettere i più abbienti. Ecco dunque forse cosa ci abbiamo guadagnato: la democratizzazione del luogo comune.

E' da quando sono bambino che sento dire questa frase: i dottori “di una volta” erano un'altra cosa. L'ho sentito dire quando il mio primo dottore era in piena attività: al posto suo si rimpiangevano gli antichi predecessori. Andato in pensione lui, giù a rimpiangerlo come ormai ri-classificato fra i neo dottori “di una volta”. E così, via, in una ruota sempre più comune di luoghi comuni. E ad ogni giro di ruota, il tema d'accompagnamento che suonava, e suona tuttora in sottofondo, era ed è sempre il medesimo: non ti fanno più nulla, ti mandano subito dallo specialista. Ed il bello, immagino, sta nel fatto che ogni generazione di pazienti è più che convinta di quanto sostiene: solo al proprio giro di ruota è toccato una categoria di medici generici così generica. “Una volta” no, “una volta” sapevano dove mettere le mani, ti curavano loro direttamente, non se la cavavano semplicemente spedendoti dallo specialista.

Gran sagoma d'un Dostoevskij! Dovevo leggere il tuo sontuoso mattone per arrivare a capire a cosa aspirano i medici quando guardano all'agognata pensione: non vedono l'ora di uscire di scena, per essere una buona volta considerati a loro volta medici “di una volta”, e guadagnarsi così finalmente la stima piena dei loro ex pazienti.


2 commenti:

Vanessa Valentine ha detto...

E anche Glenn Gould!
birba d'un Gilli, ne metti di carne al fuoco!:)))))
Mi hai fatto venire voglia di leggere I fratelli, vedi un po'...però su tutta la faccenda dei dottori hai ragione.
Il mio vecchio doc, (oddio, non così vecchio, anzi, era piuttosto giovane e carino quando io ero piccina, diciamo 20 anni di differenza...) era un drago nella diagnostica. Semmai ero io, ipocondriaca, a temere sempre il morbo fatale...e lui, ma noooo, è solo un'infiammazione, una ciste, un mal di testa...
Ma non sono mica cambiata, eh.
Semmai, sono fatalista.;)

Gillipixel ha detto...

@->Vale: ehehehhehe, in fatto di cultura, ci piace trattarci bene, Vale, lo sai :-) I fratelli te li accomando vivamente :-) li ho terminati e confermo che è un capolavoro...certo, bisogna munirsi di tantissima pazienza, va tenuto conto della tempistica ottocentesca, a tratti è anche palloso, sì, ma per fortuna che è così, perché è una pallosità feconda, che ti permette di confrontarti con uno scorrere del tempo diverso, proficuo, meditativo... :-)

Quella dei dottori è solo una delle osservazioni acute del libro, ce ne sono a bizzeffe, il capitolo del Grande Inquisitore ad esempio è uno dei brani più immensi mai scritti da mano umana :-)

Ora sto leggendo l'idiota: stupendo pure quello, il personaggio del principe Miskyn (l'idiota del titolo) è eccezionale, assai gillipixiano per molti versi :-)

Ciao Vale :-)

Bacini bagigi :-)