Ritorna la rubrichetta settimanale «Le muse di Kika van per pensieri», con un nuovo dipinto da rivestire (da parte di Kika) e da corredare di una rinnovata identità comparata con volti famosi della modernità (da parte mia). Se nelle ultime puntate avevamo trattato opere di artisti minori, stavolta Kika mi ha conciato bene per le feste: ha scelto infatti una delle opere più famose di tutta la storia dell'arte, «La maya vestida» di Francisco José de Goya y Lucientes (Fuendetodos, 30 marzo 1746 – Bordeaux, 16 aprile 1828).
Vi confesso che l'idea di parlare di Goya mi mette un po' spavento. Nel senso che il tema è vastissimo, ci sarebbero implicazioni storiche molto complesse da analizzare, comparazioni con realtà artistiche e tradizioni di pensiero contemporanee al grande autore spagnolo, e così via. Goya ha a che fare ancora col Barocco, ma al tempo stesso è fortemente proiettato verso la modernità. Come minimo, sarebbe necessario fare alcuni cenni anche a Diego Rodríguez de Silva y Velàzquez (Siviglia, 1599 – Madrid, 1660), altro grande maestro iberico fondamentale per la formazione artistica di Goya, che a lungo studiò le sue opere, riproducendole anche con molte incisioni.
Forse dunque lo spazio esiguo di un articoletto di blog non è il luogo più indicato per una disamina tale, e soprattutto, forse non sono io la persona adatta a farla come si deve. Mi limiterò allora per stavolta a pochi accenni molto sintetici, e lascerò poi spazio alla parte delle somiglianze, che per l'occasione mi è riuscita, non so se efficace, ma almeno feconda.
Per il poco che ne so e per l'idea che mi sono fatto io, uno dei grandi contributi della poetica di Goya al discorso della storia dell'arte è consistito nel fare della “bruttezza” una fondamentale categoria della vita, ad essa insita. Con Goya, gli aspetti più inquietanti, oscuri, caotici, minacciosi, irrazionali della realtà, e dell'interiorità umana soprattutto, assurgono ad un ruolo di potenti strumenti conoscitivi.
Il “realismo” di Goya non fa sconti: sua intenzione è sondare il mondo fin nelle profondità più vertiginose. L'impianto espressivo di Goya si serve di una raffinatissima evoluzione del discorso barocco, ma lo porta alle estreme conseguenze. Dice in merito Giulio Carlo Argan: «...[In Goya ] la struttura del discorso figurativo rimane barocca, ma portata al limite del disfacimento...». E ancora: «...il suo realismo non è copia della realtà, è quel che rimane quando un'ideologia va in pezzi. […] Negando l'ideologia, Goya nega anche la storia, che per lui è un'ideologia del passato perché rappresenta il mondo come si vorrebbe che fosse stato. Il realismo, se veramente tale, è antinaturalistico. Il vero realismo consiste nel tirar fuori tutto quello che si ha dentro, non nascondere nulla, non scegliere...[...]...[Goya] si circonda dei suoi fantasmi perché vive di essi, che sono la sola, vera realtà...».
"Saturno divora un figlio"(1819-1823 circa) - Francisco José de Goya y Lucientes
"Autoritratto" (1971) - Francis Bacon
Un'ultima suggestione personale, riguardo a questo grande artista: se dovessi indicare un autore contemporaneo che ha preso il testimone del fare artistico di Goya (ovviamente facendo tutti i distinguo del caso e i “mutatis mutandis” opportuni), per me il nome più appropriato sarebbe quello di Francis Bacon (Dublino, 1909 – Madrid, 1992).
Vi confesso che l'idea di parlare di Goya mi mette un po' spavento. Nel senso che il tema è vastissimo, ci sarebbero implicazioni storiche molto complesse da analizzare, comparazioni con realtà artistiche e tradizioni di pensiero contemporanee al grande autore spagnolo, e così via. Goya ha a che fare ancora col Barocco, ma al tempo stesso è fortemente proiettato verso la modernità. Come minimo, sarebbe necessario fare alcuni cenni anche a Diego Rodríguez de Silva y Velàzquez (Siviglia, 1599 – Madrid, 1660), altro grande maestro iberico fondamentale per la formazione artistica di Goya, che a lungo studiò le sue opere, riproducendole anche con molte incisioni.
Forse dunque lo spazio esiguo di un articoletto di blog non è il luogo più indicato per una disamina tale, e soprattutto, forse non sono io la persona adatta a farla come si deve. Mi limiterò allora per stavolta a pochi accenni molto sintetici, e lascerò poi spazio alla parte delle somiglianze, che per l'occasione mi è riuscita, non so se efficace, ma almeno feconda.
Per il poco che ne so e per l'idea che mi sono fatto io, uno dei grandi contributi della poetica di Goya al discorso della storia dell'arte è consistito nel fare della “bruttezza” una fondamentale categoria della vita, ad essa insita. Con Goya, gli aspetti più inquietanti, oscuri, caotici, minacciosi, irrazionali della realtà, e dell'interiorità umana soprattutto, assurgono ad un ruolo di potenti strumenti conoscitivi.
Il “realismo” di Goya non fa sconti: sua intenzione è sondare il mondo fin nelle profondità più vertiginose. L'impianto espressivo di Goya si serve di una raffinatissima evoluzione del discorso barocco, ma lo porta alle estreme conseguenze. Dice in merito Giulio Carlo Argan: «...[In Goya ] la struttura del discorso figurativo rimane barocca, ma portata al limite del disfacimento...». E ancora: «...il suo realismo non è copia della realtà, è quel che rimane quando un'ideologia va in pezzi. […] Negando l'ideologia, Goya nega anche la storia, che per lui è un'ideologia del passato perché rappresenta il mondo come si vorrebbe che fosse stato. Il realismo, se veramente tale, è antinaturalistico. Il vero realismo consiste nel tirar fuori tutto quello che si ha dentro, non nascondere nulla, non scegliere...[...]...[Goya] si circonda dei suoi fantasmi perché vive di essi, che sono la sola, vera realtà...».
"Saturno divora un figlio"(1819-1823 circa) - Francisco José de Goya y Lucientes
"Autoritratto" (1971) - Francis Bacon
Un'ultima suggestione personale, riguardo a questo grande artista: se dovessi indicare un autore contemporaneo che ha preso il testimone del fare artistico di Goya (ovviamente facendo tutti i distinguo del caso e i “mutatis mutandis” opportuni), per me il nome più appropriato sarebbe quello di Francis Bacon (Dublino, 1909 – Madrid, 1992).
E adesso che sono più o meno riuscito ad infilare la balena nella scatoletta di tonno, passo al gioco delle somiglianze. Per l'enigmatico volto della languida dama ritratta da Goya, non son riuscito a scovare una somiglianza “secca”. Ho invece ipotizzato un trittico di visi di donne famose dei giorni nostri, che in qualche modo posseggono un componente utile a suggerire l'affinità fisiognomica.
Ecco la mia prima ipotesi:
L'avrete riconosciuta, si tratta della cara Arisotta (Arisa), ancora fresca dagli allori sanremesi.
Vediamo adesso la seconda opzione:
Vediamo adesso la seconda opzione:
Stavolta forse l'analogia di tratti è molto più sfumata e sfuggente e non so voi, ma io un po' ce la vedo. Allora vi rivelo un piccolo segreto: questo volto desideravo utilizzarlo sin dalla prima puntata di «Le muse di Kika van per pensieri», perché lo trovo particolarmente affascinante, col suo curioso mix di femminilità e felinità, due categorie, anche estetiche, che apprezzo molto. Perdonerete dunque la forzatura. Non è detto che non lo riutilizzi per una futura sfida fisiognomica in questa rubrichetta, però adesso almeno vi rivelo di chi stiamo parlando: anche se il nome farebbe sospettare origini estere, è una bravissima giovane attrice italiana, Alba Rohrwacher. Personalmente, l'ho vista recitare e l'ho apprezzata in un intenso film di Pupi Avati, «Il papà di Giovanna», del 2008.
Chiudo con la terza ed ultima alternativa:
Chiudo con la terza ed ultima alternativa:
Questa volta ci siamo spostati nell'ambiente del giornalismo: questa è Norma Rangeri, storica firma del «Manifesto». Anche qui, magari la somiglianza è alquanto acciuffata per i capelli, ma alla fine, prendendo un po' da uno, un po' dall'altro dei visi proposti, uno straccio di parallelismo somatico credo di averlo individuato.
Anche per oggi allora è tutto. Prima di salutarvi, vi ricordo di andare a scoprire come la sempre bravissima Kika, sul suo blog, ha rivestito per noi la «La maya vestida» (non ho resistito al gioco di parole: era troppo ghiotto, e la mia indole troppo Pippesca). E adesso vi saluto: appuntamento alla prossima puntata!
Anche per oggi allora è tutto. Prima di salutarvi, vi ricordo di andare a scoprire come la sempre bravissima Kika, sul suo blog, ha rivestito per noi la «La maya vestida» (non ho resistito al gioco di parole: era troppo ghiotto, e la mia indole troppo Pippesca). E adesso vi saluto: appuntamento alla prossima puntata!