Oggi, nuova puntata incrociata di “Arte & moda” di Kika e “Le muse di Kika van per pensieri”, le rubrichette gemellate che prima vi vestono le opere d’arte e poi trovano loro un volto “alternativo”. Anche in questa occasione lo sguardo di Kika si è posato su un artista assai poco noto, ma questo non impedirà, come già accaduto le volte precedenti, di intavolare un discorso a suo modo interessante.
L'artista in questione è il tedesco Hermann Fenner Behmer (Berlino, 1866 – Berlino, 1913) e quando vi dico che è poco noto dovete proprio credermi, perché oltre al fatto che fosse tedesco, non saprei proprio dire molto altro. Ma niente paura, la penuria di dati biografici non ostacola il fatto di poter fare diverse considerazioni sull'opera scelta da Kika, intitolata “What should I write about?” (o se si preferisce “De quoi écrire?”).
Innanzitutto vi invito a visitare le sorprese preparate da Kika per quel che riguarda gli aspetti dell'abbigliamento connessi al soggetto ritratto nel quadro, e poi, se ne avete voglia, ascoltate un po' cosa ho da dirvi io.
Basta un'occhiata rapida al dipinto, per accorgerci che ci troviamo chiaramente in pieno periodo impressionista (anche se la scarsità di fonti non mi ha consentito di risalire all'anno preciso di realizzazione). Come sempre quando si tratta di questi artisti minori, ma non per questo privi di un'interessante abilità tecnica e di una resa espressiva degna di nota, la domanda che viene da farsi e la seguente: perché nella lunga vicenda della storia dell'arte, questi qui sono “passati sotto l'uscio”, mentre altri sono i grandi di cui ci ricordiamo?
La risposta che ipotizzo è un po' sempre la stessa: questo Hermann Fenner Behmer è stato un artista che si è adeguato ad un linguaggio inaugurato da altri, limitandosi a parlarlo, senza tuttavia aggiungere nuove “frasi” originali da parte sua.
Ragionando su simili questioni, mi è tornato alla mente un bellissimo saggio di Umberto Eco, contenuto nella sua opera “Apocalittici e integrati” (Bompiani, 1964), un testo, a mio modesto parere, fondamentale per quanto riguarda questioni critiche e di analisi degli strumenti estetici.
Il saggio in questione introduce il concetto di Kitsch. Non a caso, il dipinto di Fenner Behmer mi ha ricordato il saggio di Eco, perché ad un certo punto di quell'illuminante scritto si parla di “Kitsch come boldinismo”. Il riferimento che questa strana aggettivazione introduce, va ovviamente al noto pittore italiano Giovanni Boldini (Ferrara 1842 – Parigi 1931). Boldini “faceva un po' il verso” all'impressionismo, fornendone una rivisitazione di facile impatto, ma svuotata della “forza conoscitiva” e della “vis poetica” originarie. Mi pare per l'appunto di poter dire che l'intenzionalità artistica contenuta nell'opera di Fenner Behmer consista a suo modo in una sorta di “boldinizzazione” degli stilemi dell'impressionismo, se così si può dire. Potremmo anzi per di più aggiungere che Fenner Behmer, facendo un discreto uso di sfumature evanescenti e di “rese atmosferiche” lattiginose, finisce per “boldinizzare” alla maniera di Boldini stesso, proponendosi insomma come una sorta di Boldini elevato al quadrato.
Scrive Umberto Eco, esemplificando distintamente questo tipo di operazione estetica: «...Un messaggio poetico è troppo complesso? Accade che di solito il ricettore ne colga solo un aspetto, o lo accetti sovrapponendogli una decodificazione precedente diventata formula? Ebbene, si attui una operazione di mediazione, offrendo al pubblico non i messaggi originari, ma messaggi più semplici, in cui appaiano incastonati a mo' di riferimento eccitante, stilemi tratti da messaggi ormai celebrati per le loro qualità poetiche...». Questo il nucleo di senso più profondo dell'operazione artistica di Boldini, e di riflesso anche di quella di Fenner Behmer.
Vale la pena citare anche una possibile definizione di Kitsch, fornita sempre da Eco: «...è Kitsch tutto ciò che appare consumato; che arriva alle masse o al pubblico medio perché è consumato; e che si consuma (e quindi si depaupera) proprio perché l'uso a cui è stato sottoposto da un gran numero di consumatori ne ha affrettato e approfondito l'usura...». In questa prospettiva dunque, Boldini e Fenner Behmer ci presentano un impressionismo ormai “depauperato”.
Mi pare che tutti questi ragionamenti (anche se meriterebbero un approfondimento non possibile in questa sede, perché prenderebbe troppo spazio) si attaglino bene ad un'osservazione critica del quadro di Fenner Behmer.
A questo punto però, siccome poi Kika mi sgrida perché ogni volta le “demolisco” gli artisti scelti (ehehehehe, scherzo...), voglio aggiungere due cosette modeste, da semplice osservatore casuale. Devo ammettere che il ritratto di questa signorina indecisa su cosa scrivere, ha un suo fascino. Tra l'altro (pur con tutti i distinguo del caso), la tematica mi coinvolge molto anche in prima persona. Quante volte mi sono ritrovato a dovermi contorcere nell'abbraccio asfissiante della mancanza di “ispirazione narrativa”. Per chi ama tanto la scrittura, è un sentimento “purtroppo” assai familiare. O forse nemmeno tanto “purtroppo”, perché fa tutto parte di un solo meccanismo che esige sia fasi di “eccitazione sovraproduttiva”, sia momenti di piatta calma meditativa.
E, d'accordo, la protagonista del quadro non starà scrivendo un articolo, o un racconto, o roba per un blog. Più probabile si tratti di una lettera, ma non possiamo nemmeno esserne così certi. Sta di fatto che tutto il suo atteggiamento, l'espressione, l'impenetrabile smarrimento nel vuoto del suo sguardo enigmatico, la postura colta come in sospensione: tutto questo ci parla benissimo di quel sentimento di indefinitezza dell'animo posto di fronte alla potenzialità di parole da mettere nero su bianco.
Un'ultima curiosità interessante che mi pare di poter mettere in rilievo: il dipinto colpisce anche per i suoi “tempi fotografici”. Nel senso che tutta la scena è fissata sulla tela come fosse un'istantanea, la tempistica in atto è pensata con la stessa rapidità e fuggevolezza messa in gioco dalla capacità di catturare immagini propria di un apparecchio fotografico.
L'artista in questione è il tedesco Hermann Fenner Behmer (Berlino, 1866 – Berlino, 1913) e quando vi dico che è poco noto dovete proprio credermi, perché oltre al fatto che fosse tedesco, non saprei proprio dire molto altro. Ma niente paura, la penuria di dati biografici non ostacola il fatto di poter fare diverse considerazioni sull'opera scelta da Kika, intitolata “What should I write about?” (o se si preferisce “De quoi écrire?”).
Innanzitutto vi invito a visitare le sorprese preparate da Kika per quel che riguarda gli aspetti dell'abbigliamento connessi al soggetto ritratto nel quadro, e poi, se ne avete voglia, ascoltate un po' cosa ho da dirvi io.
Basta un'occhiata rapida al dipinto, per accorgerci che ci troviamo chiaramente in pieno periodo impressionista (anche se la scarsità di fonti non mi ha consentito di risalire all'anno preciso di realizzazione). Come sempre quando si tratta di questi artisti minori, ma non per questo privi di un'interessante abilità tecnica e di una resa espressiva degna di nota, la domanda che viene da farsi e la seguente: perché nella lunga vicenda della storia dell'arte, questi qui sono “passati sotto l'uscio”, mentre altri sono i grandi di cui ci ricordiamo?
La risposta che ipotizzo è un po' sempre la stessa: questo Hermann Fenner Behmer è stato un artista che si è adeguato ad un linguaggio inaugurato da altri, limitandosi a parlarlo, senza tuttavia aggiungere nuove “frasi” originali da parte sua.
Ragionando su simili questioni, mi è tornato alla mente un bellissimo saggio di Umberto Eco, contenuto nella sua opera “Apocalittici e integrati” (Bompiani, 1964), un testo, a mio modesto parere, fondamentale per quanto riguarda questioni critiche e di analisi degli strumenti estetici.
Il saggio in questione introduce il concetto di Kitsch. Non a caso, il dipinto di Fenner Behmer mi ha ricordato il saggio di Eco, perché ad un certo punto di quell'illuminante scritto si parla di “Kitsch come boldinismo”. Il riferimento che questa strana aggettivazione introduce, va ovviamente al noto pittore italiano Giovanni Boldini (Ferrara 1842 – Parigi 1931). Boldini “faceva un po' il verso” all'impressionismo, fornendone una rivisitazione di facile impatto, ma svuotata della “forza conoscitiva” e della “vis poetica” originarie. Mi pare per l'appunto di poter dire che l'intenzionalità artistica contenuta nell'opera di Fenner Behmer consista a suo modo in una sorta di “boldinizzazione” degli stilemi dell'impressionismo, se così si può dire. Potremmo anzi per di più aggiungere che Fenner Behmer, facendo un discreto uso di sfumature evanescenti e di “rese atmosferiche” lattiginose, finisce per “boldinizzare” alla maniera di Boldini stesso, proponendosi insomma come una sorta di Boldini elevato al quadrato.
Scrive Umberto Eco, esemplificando distintamente questo tipo di operazione estetica: «...Un messaggio poetico è troppo complesso? Accade che di solito il ricettore ne colga solo un aspetto, o lo accetti sovrapponendogli una decodificazione precedente diventata formula? Ebbene, si attui una operazione di mediazione, offrendo al pubblico non i messaggi originari, ma messaggi più semplici, in cui appaiano incastonati a mo' di riferimento eccitante, stilemi tratti da messaggi ormai celebrati per le loro qualità poetiche...». Questo il nucleo di senso più profondo dell'operazione artistica di Boldini, e di riflesso anche di quella di Fenner Behmer.
Vale la pena citare anche una possibile definizione di Kitsch, fornita sempre da Eco: «...è Kitsch tutto ciò che appare consumato; che arriva alle masse o al pubblico medio perché è consumato; e che si consuma (e quindi si depaupera) proprio perché l'uso a cui è stato sottoposto da un gran numero di consumatori ne ha affrettato e approfondito l'usura...». In questa prospettiva dunque, Boldini e Fenner Behmer ci presentano un impressionismo ormai “depauperato”.
Mi pare che tutti questi ragionamenti (anche se meriterebbero un approfondimento non possibile in questa sede, perché prenderebbe troppo spazio) si attaglino bene ad un'osservazione critica del quadro di Fenner Behmer.
A questo punto però, siccome poi Kika mi sgrida perché ogni volta le “demolisco” gli artisti scelti (ehehehehe, scherzo...), voglio aggiungere due cosette modeste, da semplice osservatore casuale. Devo ammettere che il ritratto di questa signorina indecisa su cosa scrivere, ha un suo fascino. Tra l'altro (pur con tutti i distinguo del caso), la tematica mi coinvolge molto anche in prima persona. Quante volte mi sono ritrovato a dovermi contorcere nell'abbraccio asfissiante della mancanza di “ispirazione narrativa”. Per chi ama tanto la scrittura, è un sentimento “purtroppo” assai familiare. O forse nemmeno tanto “purtroppo”, perché fa tutto parte di un solo meccanismo che esige sia fasi di “eccitazione sovraproduttiva”, sia momenti di piatta calma meditativa.
E, d'accordo, la protagonista del quadro non starà scrivendo un articolo, o un racconto, o roba per un blog. Più probabile si tratti di una lettera, ma non possiamo nemmeno esserne così certi. Sta di fatto che tutto il suo atteggiamento, l'espressione, l'impenetrabile smarrimento nel vuoto del suo sguardo enigmatico, la postura colta come in sospensione: tutto questo ci parla benissimo di quel sentimento di indefinitezza dell'animo posto di fronte alla potenzialità di parole da mettere nero su bianco.
Un'ultima curiosità interessante che mi pare di poter mettere in rilievo: il dipinto colpisce anche per i suoi “tempi fotografici”. Nel senso che tutta la scena è fissata sulla tela come fosse un'istantanea, la tempistica in atto è pensata con la stessa rapidità e fuggevolezza messa in gioco dalla capacità di catturare immagini propria di un apparecchio fotografico.
Ed eccoci alle note dolenti. Questa volta non sono riuscito a scovare una somiglianza degna di questo nome. Ho fatto ad ogni modo alcune ricerche e vi sottopongo le mie ipotesi, per quanto lontane da un risultato accettabile esse possano essere. Non so come mai, ma fissando quel volto, nel mio inconscio si è fatta strada pian piano la convinzione che la protagonista del dipinto dovesse somigliare ad una qualche diva americana del cinema muto. Di fatto ho “setacciato” tre alternative, ben sapendo che nessuna delle tre rende una somiglianza sufficiente, però per questa volta di meglio non sono riuscito a fare.
Ecco i miei scarsi risultati:
Ecco i miei scarsi risultati:
Questa è Mary Astor (Quincy, 1906 – Los Angeles, 1987), in due diverse immagini.
Questa Clara Bow (Brooklyn, 1905 – Los Angeles, 1965).
E questa è Barbara Kent (Gadsby, 1907 – Palm Desert, 2011).
Lo so, in tutti e tre i casi forse il resto del viso potrebbe anche andare, ma sono gli occhi ad essere molto diversi. Insomma, per stavolta alzo bandiera bianca e mi dichiaro sconfitto: il mistero artistico ha avuto il sopravvento, rimanendo inviolato. Pazienza...succede anche nelle migliore agenzie d'investigazione fisiognomica.
Lo so, in tutti e tre i casi forse il resto del viso potrebbe anche andare, ma sono gli occhi ad essere molto diversi. Insomma, per stavolta alzo bandiera bianca e mi dichiaro sconfitto: il mistero artistico ha avuto il sopravvento, rimanendo inviolato. Pazienza...succede anche nelle migliore agenzie d'investigazione fisiognomica.
4 commenti:
Splendida analisi! Conoscevo Boldini ma non questo discorso del boldinismo, davvero illuminante! Boldini però almeno ha avuto più ammiratori di Bhemer, ma lo dico da italiana, forse in Germania è più conosciuto. In effetti i soggetti dei loro dipinti potrebbero essere scene di romanzi d'appendice, il periodo è quello, il meccanismo di "popolarizzazione" anche... e sappiamo che, alla lunga, questo tipo di opera se ben fatta rivela i suoi pregi. Il pregio, in questo caso, sta - come hai ben detto - nell'immediatezza fotografica (forse l'unica cosa originale dello stile di Fenner Behmer... gliela vogliamo concedere? ;)
E pensa che nel passarti il testimone io avevo ipotizzato che ti venisse più facile il volto rispetto all'analisi... Che poi, parliamo del volto: non sarà una e una sola la donna somigliante, ma hai saputo rendere un'idea: quella della "diva del muto", che come categoria forse si ispirava proprio all'archetipo della fascinosa donna dell'arte ottocentesca (la butto lì ;)
@->Kika: ehehehhehe, grazie Kika, sei troppo buona con me...si vede che siamo colleghi :-)
Ah, ecco, vedi? Alla faccenda dei romanzi di appendice non avevo pensato, e si inserisce benissimo nel discorso, è proprio una postilla perfetta a quello che volevo dire io riguardo all'operazione artistica di questi pittori...
Hanno preso il linguaggio alto e nuovo introdotto dai grandi dell'impressionismo e lo hanno semplificato per un uso popolare...Umberto Eco usa anche un altro termine che rende benissimo l'idea: dice che ne fanno una versione "gastronomica", ossia pronta all'uso, una sorta di fast food culturale...tutte similitudini che colgono benissimo nel segno...
Con tutto il bene che vorrò da oggi in avanti a Behmer :-) credo che Boldini sia in ogni caso più conosciuto di lui :-) ma forse è solo una mia impressione, non so :-)
Anche la cosa dell'indagine fisiohnomica, si rivela ben strana ogni volta :-) giustamente, come dici tu, stavlta avrebbe dovuto essere più agevole, il volto era chiarissimo e ben visibile, invece proprio non mi veniva :-) e pensare che in altri casi più "oscuri", l'ispirazione si è presentata invece in modo più lampante...eh, inconvenienti che succedeo ai detective somatici :-)
L'idea delle dive del muto...boh...non so se fosse la strada giusta, mi sono solo affidatoad un suggestione vaga...per stavolta è andata così :-)
Quel che è certo è che ogni volta è divertente scrivere e fare la ricerca delle immagini :-)
Grazie Kika, alla prossima puntata :-)
Bacini d'appendice :-)
Gilli e Kika, vi faccio una montagna di complimenti!:)))
Cortocircuitate tra arte e cinema facendo sognare questa ragazza.
Gilli, tiri in ballo attrici strepitose, e Boldini..ho visto una mostra su di lui a Padova tempo fa..incredibile. Mi hanno catturato il magnetismo, i colori, i vortici di vita nei suoi quadri.
Lunga vita all'arte ed ai suoi adepti!
@->Vale: grazie, Vale :-) mi fa piacere che apprezzi questo gioco sperimental-artistico, sei una fan speciale della rubrichetta :-) il povero Boldini veniva un po' strapazzato da Umberto Eco, ma non molto tempo fa ho sentito Daverio che lo riabilitava un po'...in generale, e mi pare di averlo detto di già, credo che si debba sempre fare un un "mix ponderato" fra informazioni critiche ufficiali ed impressioni personali...la propria strada estetica, la si forma con le proprie forze e con il contributo degli esperti...non è giusto nè fare i sapientoni autonomi, e nemmeno essere succubi a senso unico del parere dei grandi critici...così c'è anche più soddisfazione :-)...poi è bello interessarsi un po' a tutto, conoscere le tendenze, curiosare, senza preconcetti...i concetti, per l'appunto, ci se li fa dopo aver visto e cercato di capire :-)
Quella mostra mi sarebbe piaciuta molto :-)
Ciao Vale :-)
Bacini boldiniani :-)
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