Esser considerati ingenui, stupidotti, creduloni, menti candide che si lasciano abbindolare con facilità, bambinoni mal cresciuti: in linea di massima, sono tutte classificazioni non molto ambite, né lusinghiere. Per nessuno. Ma quando giudizi di quel tipo vengono appioppati da gente superficiale, intrisa di stereotipi, resa apatica dall'ottundimento mentale, gente dall'animo piatto e monotono, priva di fantasia, incasellata passivamente in un ruolo sociale asfittico e non più negoziabile...beh, siamo sicuri che quelle definizioni denigranti non si trasformino allora in onorificenze di cui andare orgogliosi?
Con in testa più o meno un pensiero inconscio di questo tipo, insieme al gruppo storico dei miei amici, andai a vedere a suo tempo il film delle “Spice Girls”, all'epoca dell'uscita nei cinema (doveva essere il 1997, come passa il tempo quando ci si diverte...). Anche se non ce lo siamo mai detti a chiare parole, credo che nella sostanza volessimo conoscere l'ebbrezza di venir reputati dei coglionazzi da una platea di lobotomizzati. Oppure non lo so nemmeno io il motivo, perché alla fine si trattava solo di qualche decina di ragazzini, coi loro genitori.
Ci dev'esser stato sotto allora un movente ancor più profondo ed oscuro. Volevamo sapere cosa si provava ad infrangere il muro del suono della svendita cerebrale a prezzo stracciato, come ci si sentiva ad immolarsi sull'altare della vacuità assoluta, senza opporre alcuna resistenza. Non miravamo dunque tanto al giudizio di quei ragazzini: la nostra ambita preda si celava piuttosto nel verdetto della società intera. Era come se, ciascuno di noi, nel proprio intimo pensasse: «...Ecco a voi, profeti del marketing, soloni dello show-business, sacerdoti tutti del gran rimbecillimento ecumenico: questo è il mio cervello, fatene quello che volete, ormai è bollito a puntino e pronto a tutto, può bersi il “Grande fratello”, “Studio Aperto” e “La Talpa” senza fare una piega, può tollerare 72 ore filate di televendita di materassi, pentole, set di coltelli e kit del perfetto ludopatico...».
Eppure non si trattò nemmeno di questo. Forse fu soltanto che volevamo passare una serata di sana imbecillità goliardica fra di noi. Un mio caro professore di italiano ci raccontava che da giovane era solito praticare una simile “operazione” con la sua compagnia di amici. Loro obiettivo erano i mitologici film-polpettone anni '60, pellicole tipo “Maciste contro la burocrazia” o “Le dodici fatiche fiscali di Ercole”. Il mio prof. e la sua banda si mettevano allora in posizione strategica, in una fila di poltrone giusto davanti ad un gruppetto di ragazzini, e mentre sullo schermo passavano in rassegna le nerborute imprese dell'eroico energumeno di turno, ne osannavano le prodezze, stupendosi iperbolicamente nel vederlo far volare massi di cartapesta. Il bello stava poi nell'ascoltare i commenti sussurrati alle spalle dai piccoli spettatori basiti, che non potevano credere alle loro orecchie, nel sentire simili tontoloni così clamorosamente ingenui.
Tornando alla mia avventura: il cinema dove si proiettavano le gesta delle ragazze speziate, un tempo dignitoso spazio anche teatrale dell'epoca pre-multiplex, era uno di quelli ormai scaduto al rango di mezza tacca dell'intrattenimento, incastonato nella prima periferia cittadina, ai contorni della ferrovia. Atmosfera di decadenza quanto basta, la sala trasudava aria di imminente chiusura da tutti i pori dei pannelli del contro-soffitto (infatti qualche mese dopo chiuse davvero i battenti, per lasciare mestamente posto ad un mini-centro commerciale di quartiere).
I momenti di gloria della serata furono fondamentalmente tre: il nostro trionfale ingresso in sala, la pausa dell'intervallo e l'allucinata uscita di scena. La composizione del pubblico era esattamente quella attesa ed auspicata: bambinette e ragazzini più o meno in età da scuola media, con rispettivi papà e mamma. Molti posti vuoti in platea, a rendere ancor più di classe lo squallore diffuso. Entriamo noi: quattro vitelloni mal assortiti e perdisera, che in quel contesto devono aver provocato un discreto “effetto Larsen” socio-comico alquanto straniante. Abbiamo scelto la fila di poltrone di mezzo, quella con lo spazio davanti a dividere in due la sala: se questa cosa andava fatta, dovevamo dare il meglio di noi, nella visibilità massima.
Inizia il film. Non era né migliore, né peggiore di tanta robaccia che si vede alla tele. Ma la vera magia consisteva pur sempre nella nostra assurda presenza in quel luogo. Alla fine del primo tempo, le luci si accendono e sui volti del giovane pubblico non si nota tutto quel gran divertimento. Noi ostentiamo sempre con gusto la nostra presenza stonata, mentre alle spalle si leva una timida vocina della verità, che sussurra al papà: «...mah...non è molto bello...». Grugnito inclassificabile di risposta da parte dell'attonito genitore.
Abbiamo allora capito che la nostra serata “decontestuale” si stava compiendo al meglio, di modo che il secondo tempo è scivolato via sulle ali dell'ebrezza di questa intima constatazione. Sui titoli di coda, abbiamo poi fatto la sfilata conclusiva fra le poltrone, fra gli sguardi remoti di diversi altri spettatori ancora seduti per riprendersi dalla gran botta morale incassata con la visione di quel capolavoro.
Son sicuro che fu soltanto perché non ne sentirono parlare. Ma ci scommetto che se a Marina Abramovich, oppure a Yoko Ono, o a Vanessa Beecroft, fosse giunta voce di quella lontana performance, sarebbero state fiere di noi.
5 commenti:
Fantastici!! Il confine tra goliardata e arte concettuale era sottile, ma davvero; quel che è sicuro è che vi ricorderete quella serata per sempre :)
E se la ricorderà anche la bambina delusa: chissà quanto aveva rott...ehm, insistito per trascinare suo padre a vederlo :))
Comunque le Spice Girls, film a parte, le ricordo con un sorriso: ai tempi questa faccenda del "girl power" ci aveva contagiato abbastanza, noi ragazze: come una sorta di risveglio femminista anni '90. Era una cosa diffusa. Le riviste per adolescenti e ventenni, ad esempio, cercavano di trasmettere modelli di ragazze toste, grintose... cosa che adesso mi pare non si faccia più. Ma non ti voglio portare fuori tema, ciao Gilli :)
@->Kika: non volevo criticare i "beniamini" di nessuno, Kika :-) ...ma so che hai colto lo spirito della cosa perfettamente...la mia era più una riflessione (e lo stesso fu quella nostra lontana "performance") sui meccanismi coi quali una moda viene imposta...nel mondo della pubblicità-marketing-persuasione e così via, ci siamo dentro tutti e tutti siamo esposti e vulnerabili...ci sono anche aspetti divertenti e positivi, risvolti vitali e di fantasia da non disprezzare...non ultima, la bellezza di cullare una forma di ingenuità spensierata ed insensata, ma al tempo stesso "salutare" per il buon umore, per l'allegria e per certi meccanismi non meglio definibili dell'animo...
Il problema sorge con quelle persone che sono esteticamente "indifese", subisco questo giochetto senza alcuna barriera culturale, "si bevono" di tutto, vengono riempiti come contenitori vuoti da rimpinzare di qualunque "paccottiglia mentale"...
Ma se ci sono ironia ludica e senso critico, si è abbastanza vaccinati, e allora ci si può permettere di aderire al "girl power" ed andarne fieri anche a distanza di anni :-) (...e in qualche modo, anche io vi aderii, anche se solo per una sera :-)
Grazie del commento simpatico :-)
Bacini power :-)
Perfettamente d'accordo :) Giusto ieri sera, fuori dal cinema e sotto i ciliegi giapponesi, con i miei amici si parlava della pervasivita' massificante di certi modelli/fenomeni televisivi (tipo Grande Fratello) o modaiol-tecnologici (tipo gli onnipresenti I-phone che troppa gente, invece di aver scelto per motivi pratici e gusto personale, sfoggia sui tavolini dei bar come status symbol). Ecco che andando per pensieri siamo finiti da una serata al cinema (tua) ad un'altra serata al cinema (mia) :)
@->Kika: che bella coincidenza quei ciliegi giapponesi, Kika :-)
Il "mondo dei consumi" (per usare un termine general-generico) è una sorta di arma a doppio taglio: ci siamo dentro, lo subiamo, ne beneficiamo, lo malediciamo :-) lo critichiamo, ma siamo anche "complici", fa parte della nostra cultura, volenti o nolenti...
E' insomma un discorso complesso...
Per cui, il senso della mia rievocazione di quella "performance" non voleva essere assolutamente moralista...dietro c'è sempre un tentativo di capire...il giudizio, se mai, viene dopo, ma molto dopo :-)
Niente, erano alcune altre considerazioni al volo :-)
Bacini bacinisti :-)
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