Correvano forse ancora gli anni ’90 e io mi innamoravo almeno tre volte al giorno. Adesso ho perso la mano, mi innamoro a dir molto una volta alla settimana, oppure al mese. Ma tra il finire del secolo scorso e il principiare del presente, facevo stragi di cuori...rigorosamente in cuor mio. Sì, perché l'innamoramento era effettivo e vigente, ma del tutto unilaterale. I crismi dell'impeto amoroso c'erano tutti, ma questi rimanevano sigillati sottovuoto spinto soltanto nel mio intimo.
Vedevo dentro a un negozio una sinuosa silhouette femminea di commessa, culminante in cima con una fluente criniera d'ebano: subito mi innamoravo. Una collega di lavoro, per motivi del tutto estranei al discorso passionale, mi riservava un sorriso speciale, tutto luminosità e faville di fascino: ecco che di nuovo m'innamoravo di quest'altra. In coda al semaforo, aspettando il verde, un'occhiata allo specchietto, scorgevo incorniciata nel parabrezza dell'auto subito dietro la pensosa e aggraziata effigie di una dolce donzella tutta acqua, sapone ed energia sensuale: ancora Cupido mi scoccava una freccia, se non proprio nel cuore, almeno dalle parti della milza.
Addirittura, talvolta, nel tempo tra una fermata e l'altra, del tragitto d'autobus, di una qualche ragazza salita al volo a portar scompiglio ammaliatore nel generale torpore del torpedone, riuscivo a traslitterare gli eventi in “ultra-realtà”, al punto da innamorarmi immaginariamente di lei già nei primi cento metri di percorso. La chiedevo in sposa, sempre nei miei pensieri, all'altezza della seconda rotatoria. Facevamo il viaggio di nozze lungo la circonvallazione esterna. Troncavamo il matrimonio, con lei già sul predellino davanti alla pensilina della sua destinazione finale. E infine le pagavo gli alimenti con la moneta sonante di uno sguardo misto di nostalgia, posato casualmente sul suo ondeggiante fondo-schiena che si allontanava ritmato lungo l'insensibile marciapiede divorzista.
Ci vuol poco a capire che questo tipo di innamoramento in forma di hobby è per certi versi lievemente frustrante. Ma ha anche i suoi vantaggi. Tanto per dirne una, l'innamoramento hobbistico non è esclusivo. L'innamorato per hobby (da taluni malignamente definito anche “sfigato”) non è tenuto alla fedeltà, perché non giura, né promette nulla a nessuno. Non fa dichiarazioni, non si presenta allo scopo di venir vagliato in qualità di innamorato. L'innamorato per hobby può dunque contare su un “bacino di utenza” femminile potenzialmente illimitato. In secondo luogo, l'innamorato per hobby non rischia di venir piantato, abbandonato, messo sulla rampa di lancio. Non può venir scaricato, per il semplice fatto che nessuna se l'è mai effettivamente “caricato”. L'innamorato per hobby è innamorato di una o più donne, ma lo sa solo lui: da ciò consegue che nessuna rottura o sospensione dell'innamoramento può derivarne, se non per sua stessa scelta.
L'unica cosa che l'innamorato seriale per hobby fa, è innamorarsi a piacimento. Di tutto il resto non si preoccupa. La sua innamorata è di cattivo umore? Non si sente in vena di dialogare, ha le paturnie, è lunatica e intrattabile? Viene colta da improvvisa frenesia per un anello di fidanzamento in oro bianco con diamante a 78 carati? Desidera spasmodicamente passare la domenica pomeriggio all'outlet?
E chi se ne sbatte! All'innamorato per hobby non gliene può fregar di meno, non sono faccende che lo riguardano. A lui spetta solo innamorarsi. Poi lei si faccia regalare pure l'anello dal suo fidanzato, oppure vada all'outlet con le amiche. L'innamorato per hobby potrà serenamente starsene a casa a leggere Schopenhauer o Tex Willer, senza sentire proteste da parte di nessuno.
Nel suo mai abbastanza lodato capolavoro, «L'insostenibile leggerezza dell'essere», Milan Kundera scrive:
«...Gli uomini che inseguono una moltitudine di donne possono facilmente essere distinti in due categorie. Gli uni cercano in tutte le donne la donna dei loro sogni, un'idea soggettiva e sempre uguale. Gli altri sono mossi dal desiderio di impadronirsi dell'infinita varietà del mondo femminile oggettivo.
L'ossessione dei primi è “lirica”: nelle donne essi cercano se stessi, il proprio ideale, e sono sempre e continuamente delusi perché l'ideale, com'è noto, è ciò che non è mai possibile trovare. Poiché la delusione che li spinge da una donna all'altra dà alla loro incostanza una sorta di scusa romantica, molte donne sentimentali sono commosse dalla loro ostinata poligamia.
L'altra ossessione è un'ossessione “epica” e in essa le donne non trovano nulla di commovente: l'uomo non proietta sulle donne alcun ideale soggettivo, perciò ogni cosa lo interessa e nulla può deluderlo. E proprio questa incapacità di rimanere delusi ha in sé qualcosa di scandaloso...».
Forse Kundera, pur in tutta la sua romanzesca grandezza, si è dimenticato di menzionare una terza categoria, quella dell'innamorato per hobby, per l'appunto. Mantenendomi un po' sul tono classificatorio del maestro boemo, oltre all'amante “lirico” e a quello “epico”, aggiungerei allora anche questo tipo di innamorato hobbistico, definendolo amante “ironico”.
L'amante ironico (o innamorato per hobby) va alla ricerca nel contempo sia dell'ideale, sia dell'oggettività muliebre. Ma non si fraintenda: non per questo lo si deve tacciare di essere un tipo di “bocca buona”. Come a tutti, anche a lui piacciono le belle (mica è fesso...). Ma dalla generale bellezza femminile, l'amante ironico cerca di estrarre quel quid misterico sparso in diseguale assortimento fra tutte le donne del mondo. Quasi di conseguenza, l'amante ironico si innamora anche di certe donne, ma solo in certi loro attimi. In qualche modo, nell'innamoramento per hobby, si va oltre il “pacchetto cronologico intero” della donna oggetto di trasporto passionale: quel che conta è spesso quel “qui e ora” esperibile una ed una sola volta soltanto. L'energia estetica spesso va oltre la volontà di chi la scatena e di chi la può apprezzare. E' un portento a sé, che ci coglie quasi sempre impreparati: di questo va forse in cerca l'innamorato seriale per hobby.
La più intensa esperienza di innamoramento per hobby che io ricordi, ebbi modo di viverla giusto all'inizio di questo millennio. Sono sicuro che fosse la primavera del 2001. All'epoca svolsi un periodo di lavoro per un ufficio e venni incaricato di visitare i rappresentati di diverse ditte, per raccogliere dati sulle loro attività. L'elenco delle persone da contattare era lungo, circa una settantina.
Dopo una sequela interminabile di arcigni padroncini nerboruti, micro-baffute segretarie attempate e segaligni commessi tuttofare, quasi sul finire della mia indagine, venne il turno di visitare una ditta che mi pare si occupasse di ferramenta o articoli simili. L'ambiente era quello tipico: gran bancone trasversale all'intero stanzone, alte scaffalature di ferro tutte dietro e campanellino di avviso alla porta vetrata d'ingresso. Non fa in tempo a scemare nell'aria il trillo d'annuncio alla mia entrata, che dalla penombra fra gli scaffali si materializza in dissolvenza epifanica una stupenda signora che all'epoca valutai di circa un lustro più grande di me.
Credo di non esagerare dicendo che quella apparizione, in quel momento preciso, di quell'esatto giorno della primavera del 2001, incarnò in pieno il mio ideale-oggettivo estetico, personale soggettivo-universale, erotico-passionale ed esistenziale di donna. Era vestita in modo informale, pantaloni e giacca di jeans, su semplice camicetta rosa, o altra tinta gentile, ma l'eleganza donnesca insita in lei mi parve spropositata. Ancor più intensa risultava tutta l'aura sprigionata dalla sua persona: un viso sfavillante di una bellezza portentosa nella sua essenzialità; il precipizio vertiginoso nella valle senza fine di una scollatura sobria, ma al contempo mozzafiato come la discesa lungo il picco più alto delle più spericolate montagne russe. E infine, la mazzata di grazia del suo profumo. Di certo derivava da una qualche essenza di cui si era cosparsa, ma sono convinto che non avrebbe odorato così di buono se non fosse stato portato in “palmo di pelle” dal sottofondo fatato del suo personale aroma corporale. Un'ineffabile armonia di agrumi, spiaggia, sole, sottobosco e muscose cortecce, che perfettamente si sposava all'incarnato vagamente bronzeo. Non bastasse tutto questo, i suoi modi erano di una gentilezza strepitosa, a metà fra l'affettuosità materna e la fatalità seducente.
Blaterai due cose riguardo al questionario oggetto del mio incarico, ma tutto il mio essere era cullato, ebete e giocondo, dall'incomparabile rimbecillimento momentaneo causato dalla “visione”. Sbrigate le formalità richieste dal mio compito e fatto il pieno di tutta la bellezza possibile che si poteva suggere in quei pochi attimi striminziti, mi congedai dall'«apparizione». Con matematica regolarità da innamorato per hobby, non la rividi mai più. Nemmeno quando feci ritorno alla ditta per ritirare il questionario compilato, che mi fu riconsegnato da qualcun altro.
La cosa un po' mi deluse e un po' no, come giustamente deve essere per l'amante ironico, il quale, da saggio collezionista di momenti, sa che la forza dell'attimo consiste in una potenza unica. Come un alchimista del mistero attrattivo, egli lo assume su di sé, assorbendone attraverso le proprie fibre tutta la carica esaltante, insieme ai risvolti di disillusione, andando oltre tutte le ordinarie questioni spaziotemporali.
L'innamorato per hobby, insomma: un antieroe postmoderno, un orafo dei suoi giorni, collezionista di perle di magnetismo androgino, equilibrista sempre in bilico sul filo dell'ultra-senso.