martedì 28 ottobre 2014

Sidereo interludio


Dal folto del canneto lungo la riva del lago, saliva di tanto in tanto una dura, spigolosa, bestemmia cruda. Sulle prime non si riusciva ad indovinare un ritmo, in quella cadenza di scoppi blasfemi. Potevano passare quindici minuti, fra un’empia oscenità e l’altra. Oppure persino mezz’ora. A tratti però la raffica s’intensificava. E allora fioccavano tre o quattro sacramenti molto coloriti, anche nel giro di pochi attimi soltanto.

La voce si distendeva alta verso il buio, nella sua ruvidezza roca, ma stentorea, di vecchio.  L’afa notturna del dieci di agosto avvolgeva tutte le cose nel suo abbraccio torrido. Il nero puntinato d’infinito della sfera di cielo ripagava la pena spesa per sopportare la madida invadenza di quel caldo. Lievi frulli di brezza sgorgavano direttamente dall’argento dello specchio d’acqua, unendosi all’impresa di giustificare lo sforzo di trovarsi in quel posto, quella sera. Ma nemmeno le più alte considerazioni universali riuscivano a fermare lo stillicidio di quella litania al contrario: le bestemmie continuavano a zampillare imperterrite squarciando la tenebra, sintonizzandosi sulla loro medesima imprevedibile regolarità. Unico senso in comune con la vastità della notte: anche quelle brucianti invettive parevano impastate nel magma cosmico che incombeva sopra le teste degli uomini.

Marina aveva concesso qualche centimetro a Fabrizio, quella sera, abbassando la guardia proprio di fronte all’arma più spuntata a disposizione di uno scalcinato dongiovanni. Lui l’aveva invitata a passare la serata in compagnia, facendo in modo che finissero a vedere le stelle cadenti. Una strategia seduttiva che ormai persino nelle trame dei romanzi Harmony sortisce poco più di una gustosa sghignazzata da parte del lettore. Era almeno da aprile che Fabrizio ci provava con lei. Marina si era divertita, intenerendosi un mondo, di fronte alla sequela di ingenuità che andava architettando di volta in volta quel suo candido pretendente. Il più sprovveduto di qualsiasi altro mai conosciuto.

Sapeva che Fabrizio non avrebbe mai osato fare nessuna mossa decisiva. Così, quando nel tardo pomeriggio appena fuori dall’ufficio, lui le aveva proposto di uscire insieme, Marina aveva accettato con una luce lontana nello sguardo. Pregustava già una serata di desiderio puro, tutta per sé. Era divertita e stuzzicata molto da una certa idea. Lo avrebbe tenuto in bilico, sull’orlo della decisione se concedersi o no. Rimandandola sempre un attimo oltre. Gli uomini l’avevano troppo spesso amareggiata. Avevano poca fantasia desiderante. Fabrizio le offriva invece di continuo occasioni di rivalsa rispetto a tutte le delusioni del passato. C’era qualcosa di contorto e crudele, in quei pensieri di Marina. Ma lei non poteva fare a meno di provare una sfumatura di piacere anche nel rendersene conto.

Era la sera che inaugurava le ferie estive, per quell’anno. Avevano scelto un bel prato che declinava dolce fin giù, nel canneto del lago. Seduti con gli occhi rivolti al cielo, proseguivano da vari minuti la bella conversazione iniziata ormai tre ore prima, in pizzeria.

- Sai quale dicono che sia l’etimologia della parola desiderio?

Fabrizio per tutta la serata aveva dato fondo al meglio del suo repertorio di tuttologo culturale. Con grande soddisfazione di Marina, che in quel senso di sospensione ci sguazzava. In quei momenti le pareva non esserci nulla di più appagante al mondo della compagnia di un uomo tutto preso nell’escogitare argomenti interessanti, ma con dentro più che altro la voglia di stenderla finalmente morbida su quel prato e baciarla come si deve.

- Pare che abbia a che fare con sidera, che in latino vuol dire stelle. De-sidera è allora come segnare la distanza che ci separa dalle stelle, perché quando desideriamo una cosa, apprezziamo soprattutto il fatto che quella cosa ci manca ancora tanto…

La gran bestemmia tuono veemente, a strappare in modo brusco il filo del discorso di Fabrizio, proprio mentre stava cercando quello che lui sperava essere lo stupore massimo di Marina. Di grande meraviglia si era trattato in ogni caso. La sconcia voce cupa ma altisonante era deflagrata secca dalla parte fitta del canneto. Si erano domandati l’un l’altra cos’era successo, parlando soltanto le mute parole dei loro sguardi. Un brivido di timore malsano era corso per le schiene. 

Sempre senza pronunciare parola, Marina si era alzata, incamminandosi verso la fonte dell’esplosione sonora. Fabrizio era invece rimasto al suo posto, come un sasso conficcato nell’erba. Osservava attonito l’amica avvicinarsi al lago. Oltrepassato il nero fusto frondoso della grande quercia, Marina aveva mosso solo alcuni passi fra le canne, badando di non tradire la sua presenza col fruscio. La precauzione si rivelò del tutto inutile, quando si rese conto di chi si trattava. Era il vecchio Magò, accoccolato a due passi dalla riva, in compagnia della sua sordità mentale pressoché assoluta. Tutti nella piccola città di Fabrizio e Marina lo chiamavano Magò, anche se erano pochi a conoscere il suo vero nome. E ancora meno a sapere il perché del soprannome. La vita lo aveva bastonato forte e Magò si trascinava per le strade come un relitto umano.

Marina, come molti in città, conosceva bene le stramberie di quel vecchio misterioso, che pareva essersi congedato dalla voglia di vivere già ormai da tanti anni. Per lunghi istanti non era riuscita a distaccarsi dalla vista di lui assiso in quel modo di fronte al lago. Rischiarato dalla luna salita nel frattempo alta in cielo, celebrava un qualcosa che somigliava a questo punto ad un indecifrabile rito. Il brutto viso grinzoso e greve di anni, puntuto delle ruvide stoppie di una mala barba brizzolata, era rivolto anch’esso alle stelle. L’arcano avrebbe potuto svelarsi a Marina già da questo dettaglio. 

Ma non ci fu tempo di mettere alla prova l’intuito, perché proprio mentre l’occhio di Marina era intento ad interrogare la scia tracciata nel cielo dallo sguardo stesso di Magò, la lunga e generosa coda di una stella cadente regalò ad entrambi il meglio del suo rifulgente spettacolo. E la bestemmia piovve di nuovo insieme alla stella, adesso ancora più clamorosa per la distanza ravvicinata, violenta e rude come un pugno sul naso. La scossa d’emozioni che percorse tutto il corpo di Marina fu un lampo profondo. Non sapeva se si trattasse più di repulsione o di grottesco fascino. Se fosse un fastidioso senso di ribellione selvaggia, instillato nel profondo delle viscere dall’eco ancora viva di quel clamoroso benvenuto sparato contro la stella cadente dal vecchio Magò. O piuttosto soltanto un malessere sgraziato e dozzinale. Voltando a quel punto le spalle al vecchio, ancora nel pieno dello smarrimento, Marina si decise infine a tornare sui suoi passi.

Fabrizio, inchiodato alla sua posizione di prima, non aveva mosso un muscolo, senza perdere di vista l’amica nelle sue strane esplorazioni. Da lì non poteva scorgere il vecchio, per cui la scena per lui continuava a rimanere più enigmatica che mai. Forse già all’inizio era rassegnato a incassare ancora una volta l’ennesimo tentativo con Marina andato a vuoto. Ma mai avrebbe immaginato la piega oltremodo surreale infilata con quella serie di stranezze.

Lo sconforto per Fabrizio era tale, da non riuscire ormai a trovare altro che le forze di stare a guardare e basta. Marina riemergeva a passi pesanti fuori dal canneto, adesso era di nuovo sull’erba. Fabrizio credeva di averle viste tutte, almeno per quella notte. Ma giunta di nuovo all’altezza della grande quercia, la scorse appoggiarsi con una spalla al possente tronco, la guancia aderente alla scabrosità della corteccia, le spalle rivolte al punto della riva in cui il vecchio stava infrattato. Fabrizio non osava muoversi, la curiosità aveva quasi soppiantato del tutto lo scoramento.

La più bella stella cadente della serata folgorò a mezzo l’orizzonte pochi istanti dopo. La bestemmia che accompagnò lo strascico del lungo barbaglio di meteora, di nuovo sortita dal profondo delle canne, fu un possente urlo ricamato di laceranti florilegi sacrilegi. In un tutt’uno con i gridi sguaiati, Marina si portò rapidamente la mani ai lembi della gonna, sollevò l’orlo di dietro rivoltandoselo sulla schiena, abbassò rapida le mutandine e mostrò per poche frazioni di secondi il sedere nudo nella direzione della distruttiva indecenza del vecchio.

Tutto si affollò allora con gran confusione nella mente di Fabrizio. Sentiva la retina ancora arroventata dal latteo profilo del più delizioso quarto di luna mai ammirato in vita sua. L’intollerabile emozione scatenata da quell’immagine, senza conceder fiato allo sguardo, si fuse nella gioiosa corsetta di Marina, che ora abbandonava di fretta l’albero per ritornare verso di lui, con in corpo tutta l’elettrica follia di quel goliardico esorcismo appena praticato. E Fabrizio non fece in tempo a ricapitolare in qualche modo le idee, né a darsi una spiegazione delle risatine convulse con cui lei accompagnava i suoi passi rapidi nella sua direzione, che già se la ritrovò addosso, incollata alla bocca nei caldi ansimi di un profondo bacio, al ritmo galoppante del tambureggiamento impazzito dei cuori di entrambi.


2 commenti:

Vanessa Valentine ha detto...

Notevole scrittura, Gilli...davvero notevole.
Mi sono gustata tutto il racconto e l'ho immaginato vividamente, pieno di colori e di vita.
Gli scrittori bravi ci riescono.
Bravo! :)

Gillipixel ha detto...

@->Vale: grazie, Vale, sempre onorato della tua lettura :-) la storiella è anomalissima :-) si rischiava di cadere nel ridicolo ad ogni virgola :-) la sfida è consistita un po' anche in questo...mi sono divertito a scrivere e questo è sempre un buon sintomo :-)

Grazie per aver letto, Vale, e per il tuo commento bello...

Bacini seleniti :-)