Per l’appuntamento del venerdì con l’arte e la moda, Kika ha scelto un autore americano che ha sviluppato larga parte della sua esperienza creativa in Inghilterra: James Abbot McNeill Whistler (Lowell - Massachusetts, 10 luglio 1834 – Londra, 17 luglio 1903). In particolare, vediamo un’opera di Whistler del 1862, intitolata “Sinfonia in bianco – Ritratto n. 1”.
Questo artista, benché da annoverare fra i meno noti al grande pubblico («…James Whistler è un bellissimo pittore, ma non è un grande pittore…» scrive Flavio Caroli nella sua Storia dell’arte, a pag. 442), presenta vari motivi d’interesse. A partire dalla sua biografia, piuttosto movimentata e avventurosa. Per i dettagli, vi rimando alla ricca voce di Wikipedia a lui dedicata, ma ricordiamo per sommi capi che: da giovane visse in Russia; tornato negli USA frequentò l’accademia militare di West Point; in seguito si trasferì a Parigi, dove conobbe il pittore Gustave Courbet e soprattutto il poeta Stephane Mallarmè, che influenzò molto le sue scelte creative. Gran parte della vita tuttavia, Whistler la trascorse a Londra, dove assorbì varie altre influenze artistiche, in primis quella dell’amico Dante Gabriel Rossetti e in generale di tutta la cerchia dei preraffaelliti. Londra, grazie all’esposizione universale del 1862, gli fece indirettamente conoscere anche le atmosfere dell’arte cinese e giapponese, ulteriori fonti di forte ispirazione per la sua poetica. Trasferitosi in Cile, nel 1866, Whistler prese parte addirittura alla guerra di indipendenza contro la Spagna e accolse tutto il fascino del paesaggio sudamericano, che ritrasse in diverse tele e la cui suggestione traspose in altre successive, di ambientazione europea.
Si può dire che l’influenza artistica più pregnante derivò a Whistler dalla frequentazione dell’ambiente culturale gravitante intorno alla figura di Mallarmè. Il pittore divenne assiduo frequentatore dei “martedì letterari” che si tenevano a casa del poeta padre del Simbolismo, insieme ad altri nomi di spicco fra gli intellettuali parigini (Paul Gauguin, il pittore Edouard Vuillard, il poeta Paul Verlaine).
Nel “retroterra” poetico di Mallarmè, Giulio Carlo Argan individua alcuni tratti di “teoria creativa” utili a capire anche la pittura di Whistler:
«…Mallarmè è stato il teorico della “poesia pura”, il cui valore non è nei concetti, ma nel suono delle parole e nella loro capacità di evocare immagini. Il suono prende valore dalla “pause” e dall’assenza di un significato “dato” delle parole: di qui una necessaria “ambiguità”, da cui le parole acquistano un significato “nuovo”…».
Questo nuova frontiera “simbolista” della poesia, inaugurata da Mallarmè e tesa ad emancipare il testo dalle “strette esigenze della significazione convenzionale”, sarà fondamentale per gli sviluppi di importanti movimenti francesi ed europei a seguire, come il dadaismo, il surrealismo, il futurismo, l’ermetismo italiano.
Ora, sarebbe una forzatura trarre una causalità diretta fra il simbolismo di Mallarmè e le tendenze figurative seguite dai suoi contemporanei, frequentatori della medesima cerchia culturale. Nondimeno si può rilevare un’affinità di atmosfere, una comune tensione verso “finalità artistiche” della stessa natura.
Se in poesia Mallarmè spezza il legame tra la forma della parola e il suo senso (ossia tra significante e significato), i pittori che si riconoscono in questa rivoluzione poetica tendono a liberarsi dalla fedeltà alla forma osservata nella realtà, per affidarsi alle potenzialità evocative (per l’appunto “simboliche”) di ciò che vanno dipingendo. In tutto questo si possono ravvisare anticipazioni delle tendenze all’astrattismo, che di lì a pochi anni saranno cavalcate in pieno dall’arte moderna.
Anche la poetica di James Whistler si sviluppa sulla scia di questi presupposti teorici. Sempre Argan, a proposito dell’espressività di Whistler, parla di: «…continuità sonora del colore, in dissolvenze armoniche in cui spiccano i timbri di poche note intense. Dipinge “sinfonie” in argento, in blu, in grigio […]. Il suo colore non dipende da impressioni visive: nasce dalla parola poetica, è come il senso di sconfinato azzurro o di sconfinato argento che suscita in noi il poeta, allorché dice azzurra la notte o argenteo il fiume…».
Pur nella invalicabile distanza qualitativa che separa i due artisti, è interessante notare due curiosi punti in comune fra Whistler e l’autore visto nella scorsa puntata, Henri Matisse. Entrambi sono precursori delle forme piene dell’astrattismo, che matureranno solo in seguito; ed entrambi vedono nella musica una metafora-guida per sviluppare il proprio percorso espressivo. Lo stesso Whistler (fonte Wikipedia) affermava: «...come la musica è la poesia del suono, così la pittura è la poesia della vista…».
Nel nostro quadro di oggi, “Sinfonia in bianco – Ritratto n. 1”, sono presenti certe intenzionalità espressive di Whistler che abbiamo descritto, anche se, in realtà, per farsi un’idea più esaustiva in questo senso, è necessario uno sguardo più panoramico sulla produzione dell’artista americano. Il dato interessante, in questo quadro, sta forse nel fatto di essere esso un ritratto quasi in forma di puro “appiglio visivo”. L’impressione è confermata anche da E. H. Gombrich, il quale nella sua storia dell’arte, a pagina 578, seppur a proposito di un'altra opera di Whistler, sostiene che il pittore americano: «...ostentava il suo convincimento che per un artista ogni soggetto non è se non un pretesto per studiare l’equilibrio del colore e del disegno…». Ciò che interessa a Whistler qui (e lo dichiara fin dal titolo) è indagare le potenzialità poetiche del “colore-non colore” bianco, così come accade per la musica, la quale non si occupa di “suoni reali” per intessere la sua indagine di senso, rispetto alla vita e al mondo.
Termino questa “parte critica”, con l’impietoso giudizio su Whistler, espresso da Flavio Caroli (che pure al pittore americano dedica un discreto spazio sulla sua Storia dell’arte, da pag. 442 a pag. 445):
«...Whistler vive in un limbo; e muore nel limbo. E’ sempre sul punto di agguantare l’intuizione risolutiva, che porterebbe la pittura nei territori che l’occhio non ha mai esplorato e interpretato…», e tuttavia, l’artista americano non riesce mai nell’impresa, rimanendo «...un mezzo-campione della pittura contemporanea, […] destinato ad avere ciò che gli spetta. La stima, non la gloria. L’infatuazione. Mai la passione, che, nell’arte, è un’altra cosa…».
Tra l’altro questa definizione, al di là della sua implacabilità, contiene una frase illuminante, che potremmo prendere come paradigma per misurare la grandezza artistica di un autore. Nella storia dell’arte, sono stati, sono e saranno da considerare dei “grandi”, gli autori in grado di portare «...la pittura nei territori che l’occhio non ha mai esplorato e interpretato…».
Chiudo la puntata di oggi con la consueta indagine fisiognomica. Stavolta sono riuscito a trovare una sola somiglianza, ma, mi sembra di poter dire, particolarmente felice. Per l’occasione dunque, mi avvalgo della modalità “deer hunter”, espressa con la celeberrima frase programmatica da “Robert De Niro – cacciatore”, nell’omonimo film: un colpo solo.
Ecco il volto tratto dalla nostra attualità che ci riporta per similitudine alla fanciulla in bianco di Whistler:
Quasi superfluo precisare che si tratta di Alanis Morrisette, cantante pop-rock canadese che tra l’altro mi garba parecchio, sia dal punto di vista musicale, sia in qualità estetico-umana di gradevole figliola.
Si chiude dunque qui anche questa puntata di “Le muse di Kika van per pensieri”. La curiosità di sapere come Kika ha ri-abbigliato la nivea ragazza di James Whistler, è a questo punto massima. Così, non dobbiamo fare altro che andarlo a scoprire sul blog della nostra cara maghetta artistico modaiola.
3 commenti:
Molto bella questa citazione «...un mezzo-campione della pittura contemporanea, […] destinato ad avere ciò che gli spetta. La stima, non la gloria. L’infatuazione. Mai la passione, che, nell’arte, è un’altra cosa…»
Eh già, l'arte che fa battere il cuore è un'altra cosa... però è anche vero che può essere una questione soggettiva. Fino a un certo punto.
Mi piace anche molto il discorso che hai fatto sul legame con Mallarmé: tu hai creato la connessione con la poesia, io con la musica... e così tra tutt'e due abbiamo elevato un inno alla sinestesia di Whistler :)
Tra l'altro il suo cognome che tu hai ben tradotto in "zufolatore" era già rivelatore della sua propensione al "sonorizzare" la pittura ;)
Bacini zufolati
Kika
PS: vieni a vedere sul mio post di oggi, c'è la soluzione al Librialcinema Quiz di lunedì scorso ;)
@->Kika: ehehhe, chissà se il suo cognome in qualche modo ha influito davvero :-)
Questo Whistler sarà anche lui un minore, ma è stato bello approfondirlo un po', Kika...facendo la nostra rubrichetta, ci si accorge che la storia dell'arte ha una sua geografia, un suo paesaggio: ci sono le grandi città, i centri importanti, ma anche tanti paesini, villaggi, piccole località, magari nascoste, meno visitate, però anche loro, a loro modo, importanti e degne di nota...
E andandoli a riscoprire, ci si sente come dei viaggiatori sule strade minori :-) che girano con la bici o a a piedi, invece di usare l'auto o il treno :-)
Ciao Kika :-)
Bacini girovaghi :-)
Bellissima la tua metafora!!
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