«…I Büsacóñ hanno usi e costumi press’a poco uguali a quelli dei Savatóñ, tranne che essi avviano alla prostituzione le figlie…».
Ci scommetto che se iniziassi con una frase del genere (come per altro ho fatto), sarebbero tutti lì a pensare: ecco quello svitato di Gillipix con un’altra delle sue storie strampalate. Invece no. Sostituite infatti la parola “Lidi” alla parola “Büsacóñ” (“Tascone” in dialetto “gillipixilandese”) e poi la parola “Greci” alla parola “Savatóñ” (“Ciabattone” in dialetto “gillipixilandese”), e ascoltate come suona:
«…I Lidi hanno usi e costumi press’a poco uguali a quelli dei Greci, tranne che essi avviano alla prostituzione le figlie…».
Il vago sapore di stravaganza, impalpabile e greve al tempo stesso, rimane. Ma così suona ben diversa. Si tratta non a caso dell’incipit di un paragrafo delle “Storie” di Erodoto (Libro I – 94). In una frase del genere, c’è tutto il meglio di quell’atmosfera “eroditea” che a mio avviso costituisce l’ingrediente di maggior fascino per il lettore.
Certo, Erodoto è importante innanzitutto per la mole di informazioni che fornisce riguardo al passato; è importante perché ha praticamente inaugurato il genere dell’indagine storica; è importante per mille altre conquiste e innovazioni culturali; ma fra i suoi meriti c’è senza dubbio anche questa sua freschezza narrativa, che tiene sempre un piede nella stanza dello studioso e l’altro nel salone dell’osteria, per così dire.
Ecco allora che spesso, durante la lettura delle sue “Storie”, ci si sente un po’ come se ci si trovasse ospiti ad una cena di una certa ufficiale seriosità, alla quale si è stati invitati insieme all’amico gioviale e chiacchierone, che gli altri commensali non conoscono bene. E le volte che prende la parola, si è colti da un lieve sussulto dell’animo, un misto di timor panico e goliardia iconoclasta, che ad ogni sua nuova uscita fa pensare: «…Minchia, adesso chissà come la spara grossa!!!…».
E poi, quando l’ha detta, per un attimo impercettibilmente breve, corre un filo di terrorizzato imbarazzo per le schiene di tutto l’uditorio. Ma nel giro di pochissimi altri millisecondi tutto si risolve in una fragorosa risata, alla quale ha dato la stura il padrone di casa in persona.
Ecco, facendo queste considerazioni, pensavo anche che mi piacerebbe inventare delle storie “simil-eroditee”, giocando un po’ tra l’esotico e l’esoterico (come fanno appunto le vere “Storie”), ma usando per i nomi dei protagonisti o dei luoghi da me creati, termini presi dal dialetto “gillipixilandese”. Per il momento, chiudo qui, perché poi dice che l’eccessiva lunghezza fa a pugni col galateo bloghesco e fèisbukkinaro, ma intanto ci penso. Se mi vengono storie eroditee-gillipixilandesi, state sicuri che ve le racconterò.
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