domenica 19 luglio 2015

Le muse di Kika van per pensieri: Frederick Carl Frieseke (1874-1939)

“The garden parasol” (“Il parasole da giardino” – 1910 circa) - Frederick Carl Frieseke
  
Puntata “express” e un po’ diversa, della rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri”. Per motivi organizzativi, non sono riuscito stavolta a pubblicare il mio intervento in sincrono con quello di Kika. Approfitto così di questa modalità degli eventi, per scrivere una cosa particolare. Voglio infatti commentare oggi direttamente la magia modiaola che ci ha riservato Kika per l’occasione, perché l’ho trovata molto felice e ricca di fantasia. 

Ma andiamo per ordine. Il quadro scelto da Kika in questo caso è opera di un pittore americano, epigono dell’impressionismo: parliamo di Frederick Carl Frieseke (Owosso, Michigan, 1874 – Le Mesnil-sur-Blangy, Normandia, 1939) e del suo dipinto “The garden parasol” (“Il parasole da giardino” – 1910 circa).

Se ho deciso di parlare del modo in cui Kika ha ripensato l’abbigliamento della donzella ritratta, non è certo per piaggeria, né per vestire a mia volta i panni del “laudatore ufficiale” d’occasione. Kika non ha certo bisogno delle mie lodi, la sua bravura s’impone già da sé come dato di fatto. Quello che mi interessa invece sottolineare è un altro aspetto, sempre presente nelle operazioni di arte e moda kikeske, che in questo caso mi è parso particolarmente calzante ed efficace.

In che maniera si può guardare un’opera d’arte? Probabilmente non esiste una modalità univoca: le sfumature sono sempre tantissime, così come sono molto diverse le sensibilità e gli approcci personali possibili. Ma se c’è una sorta di regola comune, in qualche modo capace di indicarci una via abbastanza universale, nell’atteggiamento da tenere di fronte all’opera, ecco, secondo me, il modus operandi di Kika, ce la illustra bene.

E cos’è che ci spiega più o meno direttamente Kika, ogni volta che riveste uno dei soggetti femminei presi in esame? Ci spiega che un quadro è un’entità viva, la quale è in grado (sempre che ci sia la rispettiva e medesima volontà da parte nostra) di entrare in risonanza dinamica con quanto di vivo alberga dentro di noi.

Forse si potrà capire meglio cosa intendo, osservando, come dicevo, proprio l’operazione artistico-modaiola, realizzata da Kika col quadro di Frederick Carl Frieseke. Questo quadro, come ogni quadro, è un “dispositivo di forze visive”. Prese di per se stesse, queste forze hanno una loro logica interna, ma è quando si mettono a vibrare con quanto la nostra sensibilità è in grado di far entrare in gioco, che ne derivano “conseguenze significanti” praticamente illimitate. Un dipinto è come l’innesco di una valanga: tutto il resto lo fanno la nostra ricchezza culturale, la nostra capacità di costruire un dialogo estetico a partire da quegli stimoli iniziali, la nostra dimestichezza con il linguaggio dell’arte, il nostro talento (che è frutto anche di pratica e d’esercizio) nel saperci esprimere lungo sentieri efficaci della fantasia e dell’immaginazione.

Collage delle interpretazioni di Kika

Per dire l’esempio più eclatante: l’idea di “condensare” l’oggetto, insolito protagonista del dipinto, ossia l’ombrellone (o parasole che dir si voglia), in un ampio copricapo a larghe tese, denota da parte di Kika proprio quello che sto cercando spiegare. I quadri non si pongono come una storia costituita da elementi narrativi fissati una volta per sempre. Sono invece strumenti di stimolo che invitano a costruirci, in modo che definirei “chagaliano”, il nostro personale racconto.

Le “forze” messe in moto dal dipinto, mutano, si trasformano, evolvono, si complicano e si riordinano nella nostra sensibilità. Per quanto si possa poi giungere a sfiorare dimensioni di suggestione anche molto impalpabili e spirituali, questo circolo di sensazioni viene sempre avviato da un dato sensibile: le pennellate di righe e colori sulla tela. E’ inevitabile dunque che i due registri, quello più direttamente fisico, e quello “sublimante” verso direzioni di maggior rarefazione concettuale, si contaminino e si richiamino continuamente fra di loro, nel corso della nostra considerazione visiva dell’opera. 

Tornando all’esempio dell’ombrellone “sintetizzato” in cappello, da Kika: possiamo vedere questa operazione come implicante numerosi risvolti di tipo suggestivo, magari anche inconsci. All’ombrellone potremmo allora magari associare un senso di socialità più accentutata, perché il riparo che procura è condivisibile con altre persone, mentre il cappello si prefigura come oggetto che “privatizza” quello scopo. Lo stesso cappello, potrebbe dare il via ad un’altra traccia di percorsi tra il sensibile e il mentale, pensando ad esempio al velo di sudore che si ferma sul nastrino interno, che solitamente nei copricapi è messo a circondare il punto di contatto con la pelle della fronte e tutto il resto del “circolo dei capelli”. A seconda della predilezione dell’osservatore di turno, per una maggiore dimensione sociale, oppure per una più personale e riflessiva, rispetto all’opera s’innescheranno una serie differente di “reazioni sensibili”.

Ecco allora che certi elementi verranno visti con favore o con fastidio, nei diversi casi: per qualcuno anche la sensazione di leggero sudore potrà associarsi alle piacevolezze della conquista di un proprio spazio di meditazione personale; per altri, l’ariosità e la spaziosità saranno invece condizioni irrinunciabili. E così via, incamminandosi mentalmente ed emotivamente, ciascuno verso il sentiero che gli è più consono in base alla propria sensibilità.

Gli esempi che ho fatto sono forse un po’ banali, ma non è assolutamente banale quello che le operazioni di moda di Kika ci mostrano: ossia che un quadro è una sorta di dispositivo “multipotenziale”, atto a innescare in noi un percorso di indagine interiore e di confronto con se stessi. Ciascuno può proseguire nella verifica di questo fatto, osservando anche gli altri accessori di abbigliamento proposti per reinterpretare il look della signora ritratta. 

La calura ispirata dall’ombra luminosa sotto la quale la donna è seduta, può evocare addirittura interrogativi riguardo a cosa possa indossare sotto al vestito, soprattutto se si attualizza la scena in una prospettiva più moderna (come quasi istintivamente siamo portati a fare, osservando opere di qualsiasi epoca). In altre parole: ad un osservatore moderno, è molto facile che non sfugga l’associazione con il possibile desiderio della suddetta dama, di mettersi in bikini per una sessione di tintarella con tutti i crismi. Nessun tipo di pensiero o potenzialità suggestiva è mai escluso quando si osserva un quadro; nemmeno il più lontano o all’apparenza casuale, se non persino ozioso: tutto contribuisce a fare la nostra idea di quell’opera, perché i pensieri associativi si affacciano alla mente anche se non lo vogliamo, quasi s’impongono per “volontà propria”. 

Risulta molto bella allora la scelta di Kika di introdurre anche il “discorso bikini”, soprattutto se arricchito ancor più di sfumature di confronto col quadro: nella fattispecie, un gioco cromatico tra le tinte e il disegno del costume, e lo sfondo dato dalla cortina vegetale, la quale tra l’altro svolge a sua volta una funzione di filtro luminoso, con conseguenti implicazioni suggestive connesse al senso di calore dell’aria, contaminabili a loro volta con l’ulteriore idea del calore del corpo, e così via zompettando felicemente di suggestione in suggestione.

Insomma, è questo che fa ogni volta Kika, col suo gioco di arte e moda: ci spiega, in chiave divertente, che ogni quadro è un piccolo mondo, nel quale ciascuno può scovare la propria collocazione, il proprio luogo di “residenza sensibile”.

L’indagine fisiognomica di oggi, lo dico subito, non ha dato esiti molto lusinghieri. Ho scovato solo due volti: uno già usato in altra occasione; l’altro, di un personaggio non troppo lusinghiero (per usare un eufemismo). Ma questo è quello che passa oggi il convento fisiognomico.

Ecco il primo personaggio:



Lo so, questo volto l’ho "usato" già ed è sempre la nostra brava attrice italiana di teatro e cinema Ottavia Piccolo, ma per stavolta è andata così.

Il secondo volto vi stupirà, se non altro per il “calibro” del personaggio (e neanche a farlo apposta, l'ho beccata proprio in una foto con ombrellino):


Si tratta della famigerata Imelda Marcos, vedova dell’ex dittatore filippino Ferdinand Marcos. A tal proposito, ci tengo a fare una doverosa precisazione: spero che la bizzarra scelta fisiognomica non urti e non offenda la sensibilità di nessuno, e soprattutto non interferisca negativamente con l’immagine del nostro pittore odierno. La mia scelta è nata ovviamente da una pura associazione fisiognomica e tutto il discorso dev’essere inteso come rigorosamente finito lì.

Finisce qui anche questa puntata “speciale” della nostra rubrichetta. Ora non mi resta altro che invitarvi a verificare ancor più puntualmente, quanto vi ho raccontato riguardo alle funzioni “artistico-pedagogiche” del gioco di arte e moda di Kika: naturalmente, come sempre sul blog “Le muse di Kika”.

2 commenti:

Kika ha detto...

Puntata speciale quella di oggi, Gilli!
A parte la mia personale felicità nel vedere protagonista il mio "lavoro" di deduzione/ispirazione dall'opera d'arte, che ovviamente c'è :) , è mirabile come tu abbia compreso e descritto qualcosa di evanescente e indescrivibile, quel passaggio fondamentale tra il quadro e l'osservatore che, per l'appunto, non è mai qualcosa di oggettivo ma filtrato dalla nostra personalità, dal momento che viviamo, ecc...
Se ci pensi vale anche per i libri, i film, le canzoni... anche se con i dipinti (o le sculture) funziona di più perchè non ci sono parole, sta tutto nell'assorbire ed interpretare a modo proprio gli elementi dell'insieme. Ecco, ho detto "canzoni", mi viene in mente che invece le musiche senza testo (nella mia ignoranza non so se esiste una parola per definirle :P) sono in questo aspetto molto più vicine al tipo di comunicazione del dipinto/scultura/fotografia.
Grazie per questo tuo pensiero speciale... e per i pensieri che ha messo in circolo :)

Gillipixel ha detto...

@->Kika: ehehehhee :-) dai, bello, Kika :-) è stata una puntata divertente da fare :-) avrei voluto ampliare il discorso anche su letteratura e musica, che tu giustamente chiami in causa, ma temevo di dilungarmi troppo :-)

Se ci si pensa, la musica e la letteratura sono casi a sé, rispetto a pittura e scultura...le parole, in fin dei conti, sono suoni senza senso (se si prescinde dal significato convenzionale che gli uomini hanno assegnato loro); lo stesso vale per la musica, i cui suoni non hanno un corrispettivo diretto nella realtà...pittura e scultura invece no, operano direttamente con "elementi del reale" (persino nel caso dell'arte più astratta, perché anche lì si tratta pur sempre di linee e colori, oppure altri elementi presi "dal vero"...insomma, di questo passo le elucubrazioni sarebbero infinite :-) riserviamocene qualcuna per le prossime volte :-)


Grazie a te Kika, che sei sempre fonte di stimolanti riflessioni :-)

Bacini multidisciplinari :-)