lunedì 13 luglio 2015

Un silenzio sbadilante


La comunicazione di massa, e internet in particolare, avranno tanti meriti. Hanno migliorato la diffusione della conoscenza; hanno aperto gli orizzonti mentali; hanno incentivato i contatti fra le persone. Però hanno comportato anche distorsioni non proprio lusinghiere. Fra queste, l’impoverimento del linguaggio in prima battuta, e come conseguenza ulteriore, un fenomeno che chiamerei “usura espressiva”.

Il punto sta proprio negli scopi e nel concetto stesso di comunicazione. Comunicazione vuol dire far giungere ad altri un contenuto con la maggiore efficacia possibile. Anche la letteratura, la poesia, l’arte e altri ambiti del sapere, si preoccupano di questo obiettivo. Ma in essi non è preponderante come nella comunicazione. Anzi, per quelle altre forme di “umano interscambio”, spesso assumono un ‘importanza fondamentale certi scarti di senso, certe deviazioni accessorie dal sentiero principale della significazione, che sanno dare al “materiale concettuale” trasmesso, una maggior carica di fecondità e di potenzialità significante.

La comunicazione deve invece andare dritto al bersaglio. Per questo predilige l’appiattimento del linguaggio sul piano di una “media statistica espressiva”, mediamente “digeribile” da tutti. Ci vuole poco a capire come tutto ciò diventi facilmente il “terreno di coltura” per una standardizzazione espressiva diffusa e incentivata. La cosa più sorprendente, tuttavia, è che questo meccanismo livellante si rivela capace di svuotare di dignità anche certe espressioni, originariamente nate con le migliori intenzioni di eleganza e plasticità verbale. In quei casi, ne derivano situazioni di odiosità linguistica al limite della persecuzione molesta.

Non si possono davvero più sentire, certi modi di dire dalla fibra espressiva ormai irreparabilmente frustata e snervata come un rametto di salice passato sotto il peso di una schiacciasassi. Si fa pressante, in quelle occasioni, l’urgenza di porre mano a un auspicato e solido badile, col quale poter esprimere il proprio grado di soddisfazione linguistica direttamente sul muso dell’infausto comunicatore.

Uno dei casi più eclatanti del fenomeno, lo possiamo riscontrare nell’utilizzo di un ossimoro, che magari in origine recava in sé anche una certa quale virtù nobilitante. Ma una volta passato nel tritacarne ossessivamente reiterante del mastodontico “trangugia e divora” linguistico (rappresentato dal gran meccanismo comunicativo), esso si è degradato a modo di dire vile e oltremisura fastidioso. Mi riferisco al sintagma “un silenzio assordante”. Questa espressione è divenuta ormai completamente inascoltabile e inservibile, per chi intenda mantenere un minimo di rettitudine, non solo verbale, ma anche morale in senso più ampio.

Il suo uso, che pur non accenna a diminuire, nel vasto rimbombo del riverbero comunicativo globale, dovrebbe avere come migliore risultato, un incremento delle vendite di badili. E invece purtroppo no. Di badili se ne vende sempre uguale, se non meno. Mentre l’infelice binomio continua a passare di bocca in bocca, del tutto insapore e indurito come un chewing-gum sclerotizzato dall’eccesso di biascicamento compulsivo. 


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