Mi sono messo lì.
Che subito viene da dire: lì dove? Era un “lì” il più possibile adimensionale: a-spaziale, a-temporale. Ho provato a fermare i pensieri. Come succede alla materia, quando viene raffreddata. Le particelle di cui è composta, piano piano rallentano.
Acciuffare una sorta di fermo-immagine dei pensieri. Poterli contemplare così, in statica distesa. Accorgersi della via sbagliata che una sensazione sta imboccando. Fare caso al passo falso che un’intuizione sta azzardando. Avere tutto il tempo di cogliere, nel panorama spalancato in sinottica estensione, potenzialità e falle di tutta la costruzione concettuale-emotiva.
Mi sentivo come in quella fiaba del ragazzo capace di inghiottire tutta l’acqua del mare. Un amico, avido e superficiale, gli chiese di farlo per lui, in modo d’avere agio di raccogliere sommersi tesori preziosi e meraviglie dei fondali. Va bene, gli disse il ragazzo, a patto che tu torni a riva subito, non appena ti farò cenno. L’altro lo rassicura che ubbidirà con prontezza.
Il ragazzo inghiotte il mare e l’amico s’inoltra estasiato fra pesci di colori mai visti e ogni altra sorta di preziosità marina. Perde tempo ad ammirare sciocchezze, si riempie le tasche di cianfrusaglie, trascurando i veri oggetti di valore.
Lo stesso succedeva a me, scorrazzando nella distesa dei miei pensieri fermi. Mi soffermavo troppo sullo sfavillio di un concetto da nulla. Rimpinzavo il retino di emozioni effimere, per portarne a casa il più possibile.
Intanto però il ragazzo, sulla riva, iniziava a non poterne più. Il mare in bocca gli pesava tremendamente. Si sbraccia in direzione dell’amico: che rientri al più presto, ciò ch’è raccolto è raccolto. Ma quello non ne vuole sapere. Intontito dalla meraviglia in cui incappa ad ogni passo, ha completamente perso il senno. Addirittura risponde con boccacce e sberleffi ai richiami ormai disperati.
Il ragazzo non regge oltre la pesantezza del mare e la rigurgita per intero nel suo letto naturale, travolgendo l’amico incauto e tutti i tesori dei quali non potrà godere.
Così si sono riattivati in un istante tutti i miei pensieri, che solo per poco tempo si erano fermati. Il loro calore si è auto-rigurgitato fuori. Non c’è stato tempo di portare a casa nulla, gli aggiustamenti d’idee e le rappezzature concettuali si sono rivelate minime.
Soltanto dopo, mettendo una mano in tasca, mi sono ritrovato fra le dita una conchiglia. Era bellissima, dalla forma incredibile. Ma perfettamente inutile. E intanto fuori, le cicale avevano ripreso a frinire.
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