"L'estate" ("L'amaca") (1933) - Felice Carena
L’afa incalza, ma l’arte non sobbalza. Per la nostra rubrichetta artistico-modiaola incrociata, Kika ha scelto oggi un pittore italiano, Felice Carena (Torino, 1879 - Venezia, 1966). In particolare, ci occuperemo dell’opera intitolata “L’estate” (1933).
Confesso che, come spesso capita ad ogni nuova puntata, non avevo mai sentito parlare di questo artista. Da una rapida ricerchina, ho scoperto che Felice Carena ha rappresentato una voce autorevole nel dibattito artistico italiano della prima metà del ‘900. Non mi avventuro in particolari dissertazioni critiche, visto il poco materiale documentativo a disposizione. Mi limito invece a qualche ragionamento personale, seguendo la guida di alcune opere di Felice Carena.
Osservando come si è evoluta la poetica di questo artista, mi sono venute in mente due modeste considerazioni possibili. La prima, riguarda il vasto “orizzonte formale” in cui si è mossa l’attività creativa di Carena. Nelle sue opere possiamo cogliere una personale rielaborazione di alcune fonti autorevolissime. A partire dal dipinto stesso oggetto della nostra puntata: è innegabile la parentela espressiva che possiamo riscontrare tra “L’estate” di Carena e le opere di un grande della pittura francese, Paul Gauguin. Addirittura, ovviamente con tutte le distinzioni del caso, “L’estate” sembra quasi un esplicito omaggio ad un celeberrimo dipinto gauguiniano, “Te tamari no atua” (La nascita di Cristo figlio di Dio) 1869.
Ma non è tutto: il lettore dall’occhio artistico più smaliziato avrà notato che nel dipinto “L’estate”, quella di Gauguin non è l’unica influenza ravvisabile. Se si fa un po’ mente locale al panorama della storia dell’arte tra fine ‘800 e inizio ‘900, si coglie una cosa alquanto curiosa: la signorina sull’amaca di Carena, con rispettivo scenario circostante, evocano una singolare fusione fra l’espressività di Gauguin e quella di Paul Cézanne. In particolare, di quest’ultimo grande maestro, Carena coglie la tendenza a geometrizzare i volumi (come possiamo intravedere nel modo di rendere le braccia e il capo del soggetto ritratto, oppure il boschetto cilindrico dal quale è circondata). D’altra parte, la passione cézanniana di Carena è riscontrabile anche in altre sue opere, come ad esempio in questo “Mosè salvato dalla acque”, del 1930, che può essere anche visto come un tributo a “Le grandi bagnanti” (1906).
"Te tamari no atua" ("La nascita di Cristo figlio di Dio") (1869) - Paul Gauguin
"Mosè salvato dalle acque" (1930) - Felice Carena
"Le grandi bagnanti" (1906) - Paul Cézanne
Sarebbe tuttavia molto limitativo, circoscrivere il discorso su Carena a questa semplice analisi. Si tratta appunto di un’osservazione circoscritta o poco più, dettata dalla mia scarsa conoscenza dell’opera dell’artista.
L’altra riflessione che volevo proporre in merito a Felice Carena, riguarda un fenomeno spesso presente nello “sviluppo espressivo” di tanti autori. Riassumerei questo fenomeno con una definizione un po’ “fatta in casa”, ma che spero renda l’idea (almeno quando ve l’avrò spiegata): la chiamerei “tendenza al dissolvimento estatico”. Il primo artista nel quale notai una simile tendenza, è niente meno che Donatello (1386-1466): se si confrontano le sue opere giovanili più celebri, come il San Giorgio (1408-1409) o anche lo stesso David (1440), con quel capolavoro “espressionistico” della maturità che è la Maddalena penitente (1455), si avrà una certa idea di cosa intendo dire. La certezze cristalline del giovane artista, cedono il passo al dubbio, alla riflessività, alla plurivocità dei significati potenziali. Tutto questo passa attraverso una destrutturazione della forma e all’affidarsi ad una visione materica molto più magmatica e inconclusa.
"San Giorgio" (1408-1409) - Donatello
"David" (1440) - Donatello
"Maddalena penitente" (1455) - Donatello
Il discorso, trasportato sul caso di Felice Carena, si coglie benissimo in alcune sue opere della maturità, come “Giacobbe lotta con l'angelo” (1939), “Fuga in Egitto” (1940), “Carnevale in montagna” (1947), e anche nella “Deposizione” del 1938-39, qui con altre declinazioni, che richiamano in questo caso la poetica di El Greco (1541-1614) e certe sfumature del Manierismo italiano. In questi esempi si vede come le forme vengano frantumate, dilavate, distorte, piegate alla volontà espressiva dell’artista, sottoposte all’egida della sua interiorità.
"Fuga in Egitto" (1940) - Felice Carena
"Giacobbe lotta con l'angelo" (1939) - Felice Carena
"Carnevale in montagna" (1947) - Felice Carena
"Deposizione" (1938-39) - Felice Carena
Questo è quanto mi sentivo di dire riguardo all’opera di Felice Carena. Passo dunque agli esiti della mia indagine fisiognomica di oggi. Metto subito le mani avanti e mi scuso col gentile pubblico, avvertendo che i risultati non sono stati molto lusinghieri. Più che altro, sono andato a finire su volti già utilizzati in passato, per altre indagini, a parte forse qualcuno. Sapete com’è, il caldo influisce anche sull’acume fisiognomico. Ad ogni modo, vi propongo i quattro volti scovati, più una postilla faceta finale.
Vai con il primo volto:
Questa è l’attrice italiana Lucrezia Lante Della Rovere: d’accordo, ci azzecca molto poco, ma qualche ombra di tratto comune mi è parso di coglierla.
Passiamo al secondo personaggio:
E’ ancora una volta la cantante canadese Alanis Morrisette: non so cosa farci se il suo volto capita spesso così abbastanza a fagiolo.
Terzo volto famoso:
Qui abbiamo un’altra cantante americana, Carly Simon, divenuta stra-famosa soprattutto per una sua bella canzone del 1988: “You’re so vain”.
A seguire, l’ultimo risultato “ufficiale” di oggi:
Questa è la presentatrice televisiva Caterina Balivo, nota soprattutto per la sua conduzione dei programmi di Rai2 “Detto fatto” e “Pomeriggio sul due”.
Chiudo con la somiglianza faceta:
La facezia sta nel fatto che si tratta di un uomo, come avrete arguito: è niente meno che il regista e attore Ron Howard, qui ritratto ancora ai tempi delle “felici giornate” trascorse nei panni di Richie Cunningham.
Si chiude così anche questa puntata della rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri”. Ora, se volete scoprire le magie modaiole che Kika ci ha riservato, ispirandosi alla signorina sull’amaca di Felicen Carena, non dovete far altro che sintonizzarvi sul suo blog, “Le muse di Kika”.
2 commenti:
Il video finale di Alanis Morissette ci sta proprio a fagiolo :) Ironica è la scelta di Richie, non l'avrei mai detto eppure... :))
Il bello di Andarperpensieri è che puoi passare da uno scherzetto del genere a una serissima dissertazione sulle influenze artistiche, stavolta con un'interessantissima osservazione sui mutamenti di stile a seconda dell'età. Ora che mi ci fai pensare, anche Munch ha avuto un percorso simile: maturando è diventato più solare ma anche più rarefatto, "frantumato" nelle pennellate. Ad esempio mi viene in mente questo, che tra l'altro è proprio il sole:
http://digiphotostatic.libero.it/eter_nauta/med/237cd59c4d_4705123_med.jpg
Ma sarà mica che a tutti sti pittori veniva la mano traballante e l'occhio offuscato per motivi di terza età?? (scusa la mia battuta/ipotesi così brutale, spero di non averti ucciso tutta la poesia, volevo solo strapparti un sorriso :))
Bacini sfocati :)
@->Kika: quello che enunci, cara Kika, è noto nell'ambiente di noi detective fisiognomici e critici d'arte parastatali :-) come Teorema di "Crocodile Dundee" :-) non so se hai visto questa pietra miliare della cinematografia :-) c'è una scena dove la protagonista femminile vuole fare una foto alla guida aborigena...la guida le fa: "...No, non può farmi la fotografia!...". E la donna: "...Mi scusi tanto, lei crede che le porti via l’anima...". La guida risponde ancora: "...No, ha il tappo sull'obiettivo!..." :-))))
Questo per dire che sì, forse molte volte una spiegazione minore può essere ben più valida di mille elucubrazioni altisonanti :-)
Ad ogni modo, l'esempio di Munch che mi porti è notevole...questo fenomeno della esplosione formale, se ci pensiamo, non è tipico solo della parabola artistica di un individuo, ma anche di quella di una civiltà intera...il primo esempio eclatante ce lo offrono i greci, che dai rigori monolitici dell'arcaismo, sono passati all'esattezza cristallina classica, per poi approdare al "dubbio formale" ellenistico...
Insomma, "Crocodile Dundee" o no, una cosa è certa: se ci si ferma a riflettere sulle cose, ne saltano fuori delle belle :-)
Bacini senza obiettivo :-)
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