martedì 26 marzo 2019

Coordinate esistenziali per non inciampare nel gatto e vivere meno infelici


La vita spesso ci presenta già di suo il conto salato di problematiche e periodiche durezze, difficili da affrontare.

Ma come se questo non bastasse, perché i gatti per soprammercato si ostinano a tagliarci sempre la strada?

Si obietterà che i due fenomeni non hanno nulla da spartire.

Tuttavia mi piacerebbe far notare una lieve, eppur non trascurabile affinità di significati che intercorre fra i travagli del vivere e le bizzarre traiettorie feline d’intralcio.

Per chi non è pratico di mici di casa, bisogna sapere che in virtù di una loro stravagante interpretazione del dimostrare affetto, tendono a infilarsi fra i piedi del padrone a ogni suo passo utile, assicurandogli sempre con solerzia la faceta eventualità di sfracellarsi a terra.

Ma perché i gatti fanno così?!

Dopo anni di frequentazione dell’amletico interrogativo, e dell’aristotelico pericolo gattesco semovente, mi sono dato una specie di risposta.
I gatti sono stati “inviati” a infestare il cammino dell’uomo per ricordargli che la vita stessa si comporta con noi medesimi nello stesso preciso modo.

Non solo.

Quello dei mici non si limita ad essere un promemoria “passivo”, di semplice avvertimento.
Quelle care saette in pelliccia che ci cascano regolari fra malleolo destro e caviglia sinistra, ci illustrano in questo modo anche la via per destreggiarci fra le insidie “sgarbussatorie” (“inciampevoli”) della vita.

Affrontando gli eventi che ci succedono, con passo lineare, preordinato, calcolato nella precisione delle misure previste da una giusta coordinazione, rischiamo sovente di andarci a ritrovare con la falcata incastrata in un ostacolo comparso all’improvviso nel più inopinato dei modi.

La vita bisogna invece “camminarla” come con un gatto perenne fra i piedi.

Il passo dev'essere molle, quasi come “di danza”, sempre pronto a schivare un guizzo concreto di ostacolante pelo inatteso sulla via.

A volte, quando gli eventi precipitano a velocità che vanno oltre la nostra capacità di controllo, è utile traccheggiare un po', procedere in leggera “surplace”, restare un attimo più lungo in sospensione su un piede.

Mentre il micio dell’imprevedibilità dei guai ci sgattaiola sotto, liberando così una nuova eventualità di cammino sgombro, che solo a quel punto potremo sfruttare, praticandolo con nuovo passo affrancato.

Sempre consapevoli che non sarà mai finita lì, perché a una schivata felina, corrisponde sempre, uguale e contraria, un’ulteriore nuova virata micesca.

Ed ecco che saremo ancora da capo, a dover dribblare la rinnovata insidia, scansata poco fa a dritta, ma rinfacciatasi puntuale a mancina.

In ogni caso, di tutto ciò, al gatto, non date la colpa.
Anzi, lui sta lì giusto ad avvertirci come sia la realtà stessa a indossare di buon grado uno stravagante costume corredato di baffetti e pelliccia.

2 commenti:

CirINCIAMPAI ha detto...

Oddio, quindi nel mondo del tuo gatto io mi chiamerei cirisgarbussai???
Adoro!!!

Gillipixel ha detto...

:-D ahaha...non ci avevo pensato, Cincia :-) sorprese del dialetto...sì, dalle mie parti inciampare si dice "sgarbussare" :-) quindi la tua traslitterazione è perfetta :-)