giovedì 23 maggio 2019

Cosa ne è di ciò che fu


Bruno Munari (1907-1998) ha fatto la storia del design italiano.

Oltre che grande artista, è stato un attivissimo promotore culturale e inesauribile miniera di idee, nonché studioso attento del mondo dei bambini, osservato dal punto di vista della creatività.

Da uomo saggio qual era, Munari per i bambini lavorò molto, ma cercò anche di imparare da loro.

In un suo libro, lessi una cosa che non ho mai scordato.

Si confrontava spesso con l'espressività “artistica” dei più piccoli, e consigliava a maestre ed educatori di buttare i disegni dei bimbi o le altre loro creazioni, una volta che l’esperienza della loro realizzazione si era compiuta e completata in tutte le fasi.

I bambini non si sarebbero così fissati sui risultati ottenuti, rivolgendo invece la loro attenzione al percorso di conoscenza che stavano facendo.

Non discuto qui della validità pedagogica di questa idea. Non sono un esperto di nulla, tanto meno di metodi educativi, dunque non saprei valutare nel merito specifico.

Da piccolo ero gelosissimo dei miei disegni e scarabocchi, per cui non avrei cuore a gettare una roba fatta da un bimbo nemmeno con un mitra puntato alla schiena.

Del suggerimento di Munari, mi piace però la riflessione che può far fare, riguardo alla vita in generale.

Cosa rimane di quanto abbiamo fatto e di ciò che siamo stati?

O forse è meglio domandarsi: cos'è bene che rimanga?

Di sicuro (o almeno così a me sembra), è bene che non rimangano degli “idoli” congelati nel passato.

Col tempo, i conti li dobbiamo sempre fare, che ci piaccia o no.

Ostinarsi nel rimanere attaccati a ciò che non è più, e soprattutto non può più essere, è come gettare l'ancora e pretendere che si fissi a una nuvola.

Del passato però rimane una parte più evanescente, ma più profonda.

Non sono importanti i ricordi ormai rinsecchiti di cose fatte o vissute. Ciò che più conta è “come siamo stati” nel vivere certi attimi.

Che persona ero quando vivevo certe gioie, o anche certi dispiaceri? In che forma personale mi inserivo nel flusso del tempo?

In altre parole, a che punto mi trovavo del mio cammino di conoscenza del mondo?

Le cose fatte in sé, le situazioni esatte, la magia dell’attimo, anche se a volte ne rimangono tracce concrete, non potranno più tornare.

È inutile volersi struggere per quello, a meno che non si tenga così tanto al classico pugno di mosche stretto in mano.

Rimane invece sempre “chi eravamo” quando vivevamo quelle cose. Il camminare è stato più importante delle tappe fatte. E quel camminare di allora va inserito con giustezza di proporzioni in quello che seguitiamo a fare oggi.

In questo senso, accogliendo l'insegnamento di Bruno Munari, possiamo serenamente gettare i disegni del nostro passato, ma conservare con profitto la nostra “essenza personale” dei tempi in cui li disegnammo.

Può essere anche una buona ricetta per attenuare le vampe della nostalgia, o del rimpianto, sempre umanamente molto propense a riaccendersi.

E per trattare lo scottante materiale del nostro passato senza ustionarci le dita (rischio altrettanto alto).

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