giovedì 4 febbraio 2010

Sensibilità turpiloqiuale


Scrivere è terapeutico, secondo alcuni.
Di certo, ti offre l’occasione di scoprire taluni meccanismi mentali ai quali magari non avresti normalmente fatto caso. Ad esempio io, scrivendo, mi sono accorto di un mio particolare modo di considerare le parolacce. Mi sono reso conto di essere parecchio restio al loro utilizzo, e di farlo solo in casi molto particolari. Così mi sono interrogato un po’ sul fenomeno e volevo raccontarvi quello che è emerso dalla mia analisi.
In primo luogo, non credo sia questione di moralismo, ma se anche fosse non me ne fregherebbe molto. Forse in fondo in fondo, un po’ moralista lo sono. A patto che ci si intenda sul senso della parola “moralista”. Se moralista è uno che si sforza di essere corretto verso gli altri, spero di essere un moralista. Se moralista è un tizio pieno di fisime per dettagli esistenziali del tutto superficiali e stucchevolmente formali, uno che pretende sempre di insegnare agli altri come si vive, allora spero di essere un “immoralista”. Anzi, dato che il neologismo è stato già sfruttato da qualcuno più importante di me, diciamo che, nella seconda accezione del termine, spero di essere un “demoralista”.
Un altro fattore che compone la mia perplessità riguardo l’uso indifferenziato e facile della parolaccia, è l’idiosincrasia per le mode. Dal ’68 in poi la parolaccia è stata sdoganata. Ormai la può sfoggiare con nonchalance da pret-a.porter anche il distinto professionista, e nei “salotti-bene” le gran dame si mettono spesso e volentieri in bocca un “vaffà…” o un “eccheccà…”.
Ecco, quando ti dicono che una cosa “la devi fare”, è proprio la volta buona che comincia a starmi sui “cogl…i la prima mela”…Vedete? Non posso nemmeno scrivere liberamente senza andarmi ad intorcinare in una subdola labirintite d’incoerenza dimostrativa.
La questione sta nel saper cogliere il paradosso: in un’epoca in cui tutti vogliono essere trasgressivi, e il farsi di coca ha sostituito la valenza sociale del bersi un chinotto al “Bar sport”, il vero Jim Morrison dei giorni nostri è l’impiegato del catasto che va a letto alle nove e mezza, dopo aver sorbito tempestina scotta in brodo di dado.

E qui veniamo al punto del mio discorso. Se stento ad usare la parolaccia con eccessiva disinvoltura, è perché nei confronti di essa nutro un rispetto linguistico considerevole.
L’etimologia dell’aggettivo “osceno” non è accertata con sicurezza. Esiste tuttavia un’ipotesi particolarmente suggestiva, anche se, con ogni probabilità, non molto fondata (ma io la uso lo stesso, va mo’ làh!). Stando a questa etimologia un po’ leggendaria, l’«o-sceno» si rifarebbe all’idea di un allontanarsi dalla scena, dapprima intesa in senso teatrale stretto ed in seguito ampiamente metaforizzata.
Se la scena è un luogo in cui vigono determinate regole, tirandosene fuori aderendo all’«o-sceno», si manifesta anche l’intenzione di non sottostare, seppur momentaneamente, a quelle regole.
Già qui, emerge una prima contraddizione, molto parente della faccenda della coca e del chinotto. Se l’uso della parolaccia è un tirarsi fuori dalle regole, ma poi quando mi trovo “fuori dalla scena”, rendo a sua volta l’osceno una regola, capite bene che c’è qualcosa che non quadra.
Dobbiamo allora capire meglio in cosa consista questo “portarsi fuori dalla scena”, questo «o-scenizzarsi», che credo si possa differenziare in due tipologie.
C’è l’«o-scenizzarsi» del pronunciatore seriale («serial teller»?) di parolacce, che assomiglia molto ad un ripiegamento in ritirata, al proclama di una sconfitta, di una resa. Il parolacciaio compulsivo ha l’aria di uno che si tira fuori dalla mischia dialettica, che rinuncia a combattere la battaglia argomentativa secondo le regole a disposizione di tutti i contendenti che calcano la scena della discussione, e si avvale, al limite della slealtà conclamata, di armi non convenzionali.
La cosa ricorda un celeberrimo passaggio del primo Indiana Jones (se non vado errando la citazione…), una scena in teoria divertente, ma in pratica piuttosto sgradevole, nella quale si vede l’archeologo castigamatti fronteggiare in singolar tenzone un fiero guerriero vagamente arabescato. Il feroce saladino brandisce il suo spadone nell’aria con grandi urla e strepiti intimidatori, Indiana lo guarda un po’ con aria di sufficienza, tira fuori il revolver, e lo fa secco col sorriso sardonico sulle labbra.
Un comportamento simile lo tiene l’abusatore di parolaccia.

C’è tuttavia anche l’«o-scenizzarsi» di chi si pone in sintonia più genuina con il linguaggio, di colui che rispetta la parolaccia in quanto evento straordinario. Questo tipo di utilizzatore oculato della volgarità sa che l’atto del “discendere dal palcoscenico” merita lo sforzo, solo se il luogo in cui ci si sposta è una riserva privilegiata della lingua, e non un insipido hard-discount di termini ormai svuotati della loro preziosità semantica a causa di un usurante utilizzo inflazionistico.
Ma non solo.
La parolaccia centellinata assume sfumature ludiche fra amici che, nel lungo tempo della loro conoscenza sempre più approfondita, hanno lentamente contrattato una complicità in crescendo giocoso.
E andando ancora oltre: nella sua più raffinata pertinenza linguistica, l’oscenità sa anche innalzarsi fino alle vertiginose altitudini delle cime innevate dal candore delle verbali schermaglie erotiche, laddove la parolaccia si fa diamante multi-sfaccettato nel torrido crogiolo della passione dialogica più intima, intessuta fra due esseri parlanti che stanno amando.

Ecco dunque la serie di motivi per i quali mi pare che l’utilizzo un tanto al chilo della parolaccia costituisca pratica banalizzante, nonché sintomo di trascuratezza linguistica.
Insomma: ad essere osceni, ci vuole tatto…acciderbolina perbaccosa!!!...che poi va a finire che m’indispettisco…e uffa!!!




16 commenti:

Rosa ha detto...

Mi vengono in mente due cose: mio padre, arrivato in un isola dove praticare nudismo era un "must", non volendosi scottare le palle si calava in calzoncini da bagno in segno di saluto per i presenti, per poi reinfilarseli e prendere il sole (a proposito di regole e trasgressione), e mi viene in mente quando, universitaria, seguivo un ragazzino per i compiti. Ogni volta che arrivavo da lui lo trovavo appiccicato allo schermo TV a vedere Georgie. Per scollarlo mi ci volevano dieci minuti di media. Una volta esasperata gli dissi "cazzo! Staccati da quella TV!" , e lui terreo e terrorizzato mi seguì istantaneamente, ancora rintronato dalla potente parola. Nei giorni successivi la riusai, e riusai e riusai fino a logorarla totalmente. Aveva vinto Georgie!
Bel post Gil!

Gillipixel ha detto...

@->Rose: ahahahaha :-) bellissimi i tuoi aneddoti, Rose :-)
tuo babbo era veramente geniale con quella sua tragressione trasgredita :-D
E' vero che la parolaccia si usura, ma alla fine va detto che è anche faccenda molto d'istinto, per cui a volte è difficile domarla :-)
Grazie a te del graditissimo commento e bacini forbiti :-)

Marisa ha detto...

Attento caro Gilli che la parolaccia sta entrando anche nel dizionario della lingua italiana...
Ora bisogna capire dove comincia l'oscenità e dove finisce, l'uso continuo ha fatto sì che il limite non abbia più contorni definiti.

Yossarian ha detto...

Hai proprio ragione, cazzo!


"il vero Jim Morrison dei giorni nostri è l’impiegato del catasto che va a letto alle nove e mezza, dopo aver sorbito tempestina scotta in brodo di dado."

Questa te la rubo.

:-)

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: la parolaccia "deve" entrare di diritto nel dizionario, Mari, questo non lo discuto...anzi, è proprio della sua preziosità che io mi preoccupo :-) Teniamocela cara, la buona vecchia oscenità: è così simpatica, nel suo misterico fremito :-)
Bacini mistico-turpiloquiali :-)

Gillipixel ha detto...

@->Yossarian: ahahahahha :-) lo sapevo, Yoss, che avresti fatto un commento con para-rimbalzo significativo contraddittoriale di ritorno :-D
Ad ogni modo, una cosa che non ho detto, perchè la reputo sottintesa, è che ritengo un valore assoluto la libertà di ciascuno di poter sacramentare a suo piacimento e porco-scazzaggiar di loquela :-)
Ciao :-)

P.S.: Sto finendo il primo volume di Shirer: la goduria storiografica è alle stelle :-)

maria rosaria ha detto...

il turpiloquio è come qualcosa che si indossa... a chi sta bene e a chi no, o a chi meglio e a chi meno. trovo alcune persone, che dicono parolacce, simpatiche mentre altre terribilmente volgari. non so da cosa dipenda, anche se ci ho pensato spesso. comunque, io le dico ma non sempre. solo quando l'occasione merita, e ultimamente c'è un po' di inflazione in merito ;))
inoltre, non mi trovo molto simpatica nel dirle :(
bacio al sempre grande gil!

Gillipixel ha detto...

@->Maria Rosaria: hai aggiunto uno spunto di riflessione in più e molto importante sull'argomento, EmRose :-) è proprio così: la parolaccia, c'è chi la sa indossare e chi invece figura inelegante e stonato quando la pronuncia...è difficile dire la ragione di questo fenomeno, ma io ipotizzo un mini-teoria :-)
Secondo me la parolaccia sta bene in bocca ad una persona quando sentiamo che il contesto in cui l'ha pronunciata era meritevole di incazzatura, o di sarcasmo pesante, ecc....per contrasto, ad esempio, quando sento certi ragazzini tutti pieni di roba firmata, l'ultimissimo cellulare alla moda, l'ipod da 200 euro, che dicono parolacce o bestemmie gratuite, l'impressione è solo quella di miserandi omiciattoli viziati :-)
In ogni caso, è rimane un concetto molto controverso :-)
Grazie EmRose, sei sempre carinissima e simpatica assai :-)
Baci depura parolacce :-)

scodinzola ha detto...

Le parolacce... alle volte sono un toccasana. Sono un'esternazione liberatoria non solo di concetti ma anche di sentimenti.
Non ho l'abitudine di intercalare le mie conversazioni con le parolacce e non mi piacciono le persone che lo fanno, anche se, come dice Maria Rosaria, ci sono degli individui che quando le dicono ti fanno solo sorridere.
Però meno male che esistono! Quando ti capita un attacco d'ira... sono un vero portento!
Buffetti dispettosi

Nutz ha detto...

A volte le parolacce danno quel tocco in più che rende una frase una esclamazione o insomma, un'espressione più forte e comprensibile.

Quando ce vò ce vò

Gillipixel ha detto...

@->Scodinzola: infatti, Scodi, la parolaccia va assolutamente tutelata :-) va difesa dall'inflazione e dalla gabbia salariale :-) bisognerebbe istituire il ministero della parolaccia, che provveda a mantenere stabile la riserva aurea di oscenità, per fare in modo che quando il cittadino si serve di un "porco qui" o di un "porco là", non si ritrovi in bocca una parola che non vale più nulla :-)
Grazie Scodi, buffetti economicosceni :-)

Gillipixel ha detto...

@->Nutz: sono assolutamente d'accordo, Nutz...quello che precisavo io è che, possibilmente, bisognerebbe saper scegliere i tempi e le occasioni giuste per calare l'asso del turpiloquione :-) Poi è chiaro che essendo la parolaccia legata a fattori umorali, succede che quando scappa scappa :-)
Grazie della visita, se passi di nuovo, mi farà molto piacere :-)
Bacini col retrovisore :-)

farlocca farlocchissima ha detto...

quel brano di indiana jones e'uno dei miei preferiti in assoluto :-)
uffa te pero', basta che mi distraggo un minuto e tu giu' a scrivere che poi io rimango indietro ... dunque cio' evoca un prestigioso anedotto paterno: campeggio, tenda con dentro genitore maschio con tre figli al seguito tra i 12 e gli 8 anni. tutti stesi nel sacco a pelo, parte l'usuale ridda da scuola media con turpiloquio annesso e gran risate... nessuno dorme ovviamente. l'augusto genitore, fine intellettuale e uomo di immensa cultura, seppur dal '68 contaminato, chiede silenzio piu' volte e alla fine erompe: "ma cazzo ragazzi parlate come un cesso!!", silenzio, poi una voce da fuori "e chissa' da chi hanno ripreso...."

Gillipixel ha detto...

@->Farly: ahahahahahhah :-) spassosissimo racconto, Farly :-) a quanto pare dunque, la parolaccia non solo si usura con l'abuso, ma è anche spesso fonte di giocosa contraddizione :-)
Chiedo venia per l'iperproduzione verbale...lo scrittino vien di notte, con le scarpe tutte rotte, e conviene metterlo nella botte :-)
Baci di metà brumaio :-)

Vanessa Valentine ha detto...

Dico solo che la parola di verifica è "billin",e non dico altro. Quando tocca soggiacere al destino...;))))))
Mirabile post, Gilli!
D'accordo con Yossarian, la tempestina scotta in brodo di dado dovrebbe diventare la prospettiva individuale del XXI secolo.:))))) Perché drogarsi, poi, quando si può avere il chinotto (o la tempestina?)
Ma sono andata fuori tema, credo (colpa della tempestina, non riesco a smettere di pensare a lei, così molletta, materna, affettuosa...):)))))
Le parolacce non sono belle, ma in certe situazioni sono un potente collante sociale, cementano amicizie e salvano le nazioni. Ce ne vuole una sola, quella giusta, ed è fatta. Abusarne è davvero deprecabile, poffarbacco.
Le parolacce dialettali, però, sono un capolavoro (e infatti, quando si fa amicizia con qualcuno di nazionalità diversa, la prima cosa che si impara sono le sconcezze - io sapevo un sacco di cose sugli organi sessuali in croato, tempo fa, non chiedetemi perché, però).:))))))
Gli è, Gilli, che siamo personcine ammodo. E le parolacce non si dicono (mi dispiace ammetterlo, ma a volte la Mama, con il suo linguaggio, riesce a turbare i camionisti...):))))))

Gillipixel ha detto...

@->Vale: ehehehehe :-) onorato del tuo pregevole commento, Vale, grazie di cuore :-)
Hai aggiunto pure un elemento che mi sono scordato di introdurre nel discorso: la parolaccia dialettale :-) Quella fa eccezione rispetto a tutta la mia argomentazione: infatti il turpiloquiar vernacolare possiede certe sfumature oserei dire para-poetiche, introduce certe coloriture linguistiche nobilitanti, che ne fanno un capitolo privilegiato dell'espressività umana :-)
Infatti, io stesso mi concedo di intercalare di tanto in tanto con un "minchia" o una "beata fava" :-) che pur essendo termini alquanto alieni rispetto al mio dialetto, rimangono pur sempre bellissime espressioni ricche di popolaresco calore :-)
Debbo poi aggiungere che la possanza turpiloqiuale della Mama non fa che avvalorare ancor più la tesi generale: la parolaccia in bocca ad un mite è mille volte più fragorosa ed alluvionale :-)
Blogspot mi dice rhozol: è un tipo di rozzoa dall'animo gentile, come un po' mi sento molte volte anche io :-)
Ciao Vale, bacini tempestini :-)