martedì 26 aprile 2011

In the name of the Word


Un po’ tutti noi di casa Pixel siamo sempre stati sensibili alle parole. Con “casa Pixel” intendo la mia stirpe, la mia genia. Il mio parentame vario, insomma.
Sensibili però non nel senso di grandi virtuosi quantitativi del linguaggio. Fra i miei avi ci saranno stati anche dei chiacchieroni abili intortatori verbali, ma perlopiù ho parecchie notizie di diversi rappresentanti antichi della mia famiglia che per cavargli fuori una parola di bocca, se non erano in vena, non sarebbe bastato un argano dei più poderosi.

La sensibilità per le parole, noi di casa Pixel la indirizziamo di preferenza verso le modalità qualitative del comunicare verbalmente. Quello che del linguaggio ci affascina è la bellezza di quell’attimo in cui il significante va ad inchiodarsi senza scampo contro il significato, nella stessa maniera che fa un’ infallibile freccia, quando s’infigge nel centro esatto del bersaglio.

A questa piacevole e leggiadra tradizione non si è sottratta nemmeno la mia nipotina. Lei è sempre stata una bambina buona, ma prova un po’ a farle fare una cosa che non le va a genio e ti pago una cena da Savini in galleria. Questo suo caratterino si è sempre riflesso anche nell’uso delle parole. La sua predisposizione alla chiacchiera risente ovviamente del suo appartenere al genere femminile, ma non è mai stata il tipo da sprecare troppe parole. Quando le dice, sono sempre ben ponderate ed è segno che andavano proprio dette.

Ormai è già grandicella, ma quand’era proprio piccina, a volte mi stupivo fortemente per la straordinarietà dei costrutti linguistici che mi capitava di sentire uscire da quel piccolo individuo roseo e paffutello. E’ vero che i bambini di oggi sono sottoposti a tantissime stimolazioni verbali, molte più di quante ne potevo ricevere io ai miei tempi, quando mi mettevano lì in un cantone con i miei Lego e contento come una Pasqua, mi gustavo i miei fantastici e silenziosi voli dell’immaginazione, costruendo mille edifici, astronavi e veicoli della mia meraviglia.

Adesso hanno la tele con centinaia di canali, mille diavolerie per fare musica, filmati e casini di ogni tipo, sono più coinvolti a frequentare compagnie varie, di diverse età (non vi faccia sorridere se aggiungo anche questo fattore: per un bambino cresciuto in campagna come me, non è un dettaglio da trascurare…). Per cui, può capitare che un bambino finisca per ripetere certe frasi o certe espressioni in maniera piuttosto meccanica, essendo a quell’età una sorta di piccola spugna di informazioni, immagazzinate spesso senza farle passare più di tanto attraverso il filtro di una possibile valorizzazione di senso.

Fatto sta che certe volte, la mia nipotina se ne veniva fuori con delle espressioni che pareva quasi ci fosse dentro un adulto a parlare al suo posto. E’ un peccato che non me le sia annotate in un taccuino di sue “memorabilia fanciullesche”, sarebbe stato piacevole rileggerle oggi. Me ne ricordo tuttavia una molto divertente, che sentenziò quando aveva più o meno l’eta di tre anni e mezzo, o quattro. In quell’occasione era in giro col nonno, seduta sul seggiolino della bici appeso al manubrio. Successe che s’imbatterono in un’altra accoppiata di nonno e nipotina, con quest’ultima più o meno dell’età della mia, e di nome Benedetta.

Come spesso si usa fare fra persone accessoriate di nipotame in simili circostanze, la mini-esponente di casa Pixel venne invitata dal nonno ad imitarlo in un cordiale saluto da rivolgere all’altra piccola bimba: «…Ciao Benedetta…su, dì ciao, dai!...». Al che, la mia nipotina non si accontentò di una semplice espressione di circostanza, ma memore di full-immersion ecclesiastico-oratoriali già subite fin da allora in copiosa misura, e forse leggermente infastidita di quella richiesta alla quale aderire con scarsa spontaneità, se ne uscì con la seguente sentenza: «…Ciao, Benedetta fra le donne!!!...». Chissà se si rendeva pienamente conto del senso di quanto detto. Fatto sta che a me parve un’uscita veramente spettacolare, per ironia e sagacia “non-sensuali”, anche se molto probabilmente involontarie.

Qualche tempo dopo, successe il fenomeno opposto: questa volta, la mia nipotina possedeva il concetto, ma fu l’espressione giusta a venirle meno. Il tutto però sempre con modalità gradevoli ed interessanti al tempo stesso.
Era l’epoca della sua prima elementare e l’apprendimento dell’alfabeto incombeva su di lei. A dire il vero, lei sapeva già leggere e scrivere fin dai tempi dell’asilo (e se vi dico che fin da poco dopo lo svezzamento ha sempre mangiato parole a colazione e merenda, non vi sto a raccontare una balla…).

Sapeva dunque già bene la giusta sequenza ufficiale delle lettere e si stupì non poco quando si accorse che la maestra le aveva presentate alla classe con un ordine diverso, raggruppandole probabilmente in base alle affinità di suono e di posizionamento di labbra e lingua in fase di pronuncia. Alla mia nipotina non tornavano i conti, e una volta che capitai da lei mentre si esercitava, mi fece una domanda con la quale voleva che le spiegassi se era stato usato un qualche criterio di suddivisione fra le lettere, se erano state in qualche modo radunate in quei piccoli mucchietti con una precisa logica.

Come vi dicevo però, stavolta possedeva l’idea, ma non il modo corretto di imprimerle la sua forma. La frase che tuttavia alla fine pronunciò, mi regalò un moto di divertimento altrettanto significativo e il fatto che la ricordo ancora a distanza di alcuni anni, la dice lunga su quanto quel nuovo piccolo miracolo della “fanciullitudine” toccasse le mie corde di appassionato della parola.

Per espormi la sua titubanza riguardo allo strano radunarsi delle lettere in quei piccoli plotoni anomali, mi domandò infatti la mia nipotina: «…Zio…ma abbiamo fatto in un modo?...», intendendo appunto una cosa tipo: «…Che criterio ha usato la maestra, secondo te, per presentarci le lettere in questa disposizione?...».
E quella volta fu non solo divertente, ma anche teneramente molto poetica.
Fu quasi come osservare la prorompente creatività già tutta potenzialmente presente in uno scultore, frenata tuttavia solo dalla sua ancora acerba abilità nel plasmare i materiali della propria arte.


4 commenti:

Lara ha detto...

Che tenerezza questo post!
Io credo che la tua nipotina abbia preso da te e, chissà, se è già così adesso, potrebbe davvero diventare una scrittrice o un'artista in genere.
Ciao Gill, davvero un bellissimo post :)
Lara

Gillipixel ha detto...

@->Lara: grazie, Lara, i tuoi commenti sono sempre speciali :-)
Un po' mi somiglia la mia nipotina, o almeno così a me pare :-) Però, diversamente da me, lei ha anche carattere, il che non guasta :-)
La cosa che spero di più per lei è che diventi brava in qualche disciplina non solo per il gusto d'imporsi, ma soprattutto per l'importanza di acquisire conoscenza e consapevolezza di ciò che è la bellezza ed armonia nel mondo :-)

Ancora grazie, cara Lara...

Bacini in un modo :-)

farlocca farlocchissima ha detto...

va be' siamo zii e pure rincretiniti dai nipoti ammettiamolo! io mi sono squagliata (e morta dalle risate) quando uno dei piccoli farlocchi, allora 3enne, dopo aver tentato qualsiasi cosa per ottenere ciò che voleva senza però far breccia nell'arido cuore della zia, venne da me e tirandomi la maglia mi disse: "zia, tu sei più carogna di me!" e se ne andò :-D

baci zieschi

Gillipixel ha detto...

@->Farly: davvero, Farly, questi nipotini a volte sembrano dei marziani dotati di poteri soprannaturali, per le cose che dicono e per certi atteggiamenti che sfoggiano :-)
Per fortuna però poi che si rifanno con mille candori e tutto il conto alla fine torna :-)

Bacini Qui Quo e Qua :-)