venerdì 15 aprile 2011

A lì Pucciacci tua e de’ tu’ nonno!


Cosa c’è di più delicato delle smancerie scambiate fra due innamorati?
Cosa c’è di più volatile, di più etereo, di più impalpabile, di più riservato, di più intimo, di più esoterico anche, delle piccole confidenze sdolcinate, delle svenevoli melensaggini che possono passare dalla bocca dello spasimante all’orecchio della sua innamorata, o viceversa, pagando di buon grado il piacevole biglietto di un’andata e ritorno affettiva?

Pochi ambiti dell’umano esistere e sentire sono più di tutto questo, se considerati rispetto a tali specificazioni. Ma al tempo stesso, forse poche cose al mondo sono altrettanto fragili e suscettibili di così immediata e catastrofica “rottura”, quanto lo possono essere quelle medesime carinerie amorose, nell’attimo in cui vengono trasportate al di fuori del loro riservatissimo ambito a due.

I “ci-ci fru-fru co-co” intessuti dall’amante e dall’amata fra gli interstizi del loro edificio amoroso, appartengono ad un codice unico, irripetibile e non trasmissibile all’esterno. Quando un nuovo amore nasce, viene ogni volta fondato anche un inedito linguaggio appartenente alle due persone coinvolte e a loro soltanto. Quell’edificio sostenuto dai pilastri della passione e tenuto insieme dalle travi del suo proprio linguaggio, è solido come una potente struttura d’acciaio, fino al momento in cui rimane insediato e confinato nel mistero della condivisione vicendevole. Nell’attimo in cui, per la sventatezza di uno dei due protagonisti, quel parlare misterico viene lasciato trapelare “fuori”, è come se il costrutto d’acciaio venisse di botto immerso in un violento bagno di azoto liquido, che ne tramuta i possenti legami molecolari in labilissimi collegamenti pronti ad esplodere sotto le forze travolgenti del ridicolo e dell’inopportuno.

Figuriamoci poi quando queste sdolcinature nate per essere vissute nell’esclusività della privatezza più rigorosa, vengono sconsideratamente sbattute sulla strada e sottoposte allo sguardo impietoso di chiunque. In quei casi, io mi sento autorizzato a servirmi del sarcasmo più feroce, della cattiveria ironica che non conosce sconto alcuno.

Eh sì, caro mio: hai voluto infrangere il sacro recinto confidenziale che non andrebbe abitato se non dai quattro occhi che lo hanno creato? Allora adesso sono fattacci tuoi e io ti beffeggio a mio piacimento. Intendiamoci, niente di insensibile o di apertamente offensivo per nessuno: la mia ribellione me la gioco tutta internamente con considerazioni mie. Ma l’atto del solipsistico bearmi qualche secondo in questa mini-crudeltà, mi regala sempre qualche momento di fuggevole soddisfazione da poco.

Perché mai mi sono preso la briga dunque di intavolare tutta una menata siffatta quest’oggi?
La causa scatenante di un simile delirio argomentativo è più semplice di quanto si possa immaginare. Tutte le mattine, nell’ormai famigerato tragitto che mi sbarbo a piedi fra la macchina parcheggiata e l’ufficio, mi tocca infatti sorbirmi due preclari esempi di quell’infrangimento del codice amoroso che ho cercato di sunteggiare sopra.

Si tratta di due meste scritte tratteggiate con la bomboletta spray sopra degli altrettanto squallidi pannelli di legno, che recintano un cantiere di edifici in costruzione. Sarà anche per via del fatto che la mattina presto, con davanti la prospettiva di diverse ore da passare in ufficio, uno non può pretendere di trovarsi nelle condizioni psicofisiche più benevole. Ad ogni modo, va sempre a finire che quelle scritte mi fanno un po’ pena, mi infastidiscono leggermente e mi fanno anche un po’ incazzare.
Perché sono ad un tempo un insulto alla bellezza del mistero amoroso e a quella delle arcane ragioni della parola.

Una delle due frasi in questione dice: «…con te non serve sognare…amore 6 tutto…» ed immancabilmente, ogni volta che me la ritrovo sotto gli occhi, a me viene da pensare: «…sì, e con te non sono serviti neanche secoli e secoli di letteratura mondiale, se eravamo destinati a ridurci così male…».

La seconda perla linguistico-amorosa che mi passa in rassegna quotidianamente, recita invece così: «…Vita mia, ti amo…non voglio perderti…il tuo Pucci…». Ecco, ora vi chiedo se vi è mai capitato di leggere un’accozzaglia di banalità e di frasi scontate, più raffazzonata di questa. Ci mancava soltanto il famigerato «…grazie di esistere…» e a quel punto mi sarei sentito autorizzato ad andare a stanare quel fine dicitore di Pucci fino in casa sua, per rifilargli delle sonore “dizionariate” di italiano sulle unghie dei ditoni dei piedi.

Va beh, mi si obietterà tuttavia che io parlo solo per invidia, solo perché questi anonimi scrittori sono certamente dei ragazzi nel pieno fulgore del loro fuoco passionale, mentre a me non rimangono che alcune sparute fiammelle da centellinare con parsimonia.
D’accordo, non dico di no.
E infatti, è proprio il fatto di presumere che siffatti fraseggi dozzinali siano stati vergati da giovanili mani, che mi fa usare una dose di indulgenza maggiore nel considerarli.

Prima di chiudere però, un paio di consigli in favore dei suddetti giovani mi permetto di agevolarli. Il primo è questo: se per caso incidentalmente non capita che di cognome facciate Shakespeare e di nome William, oppure Salinas e poi Pedro, magari la prossima volta lasciate anche perdere…

L’ultima considerazione riguarda invece le innamorate destinatarie di cotanta poesia metropolitana: potrà anche succedere che il vostro spasimante dia successivamente prova di valentia amorosa in tante altre più nobili forme, però poi, quando dopo un po’ di tempo, eventualmente, vi renderete conte di avere per le mani un emerito fesso, non venite a lamentarvi con me, dicendomi che non vi avevo avvertito che il tizio in questione era uno capace di spiaccicare l’amore sul truciolato di un cantiere edile.



2 commenti:

farlocca farlocchissima ha detto...

va be' gilly, ma questi sono veditori-di-isola-dei-famosi et similia, che pretendiamo? dalle mie parti dove l'umanità è più variegata e cinica, una scritta ha capeggiato da un cavalcavia per molto tempo "ciccia, sei un'emerita stronza, ma ti amerò per sempre" ... e a questo che je voi dì?

Baci dai muri

Gillipixel ha detto...

@->Farly: ah beh, cara Farly :-) di fronte a certi fini dicitori mi inchino anche io senza aggiungere nella in più :-) diciamo che lo scribacchinismo sui muri è anch'esso un'arte...ci vuole il talento: o lo si ha, o non lo si ha :-) Il tuo ce l'aveva, eccome :-)

Bacini graffitati :-)