Sissel Tolaas.
Da oggi, l’affascinante signora titolare di questo nome dalle sonorità smaccatamente scandive, diventa uno dei miei beniamini cultural-scientifich-esistenziali. Sissel è una delle più esperte studiose al mondo di odori. Lavora per l’industria profumiera, ma studia odori ed essenze anche da un punto di vista antropologico, culturale, ed in ordine alle loro valenze, implicazioni e significati sociali, approfondendo fra l’altro uno degli oggetti della grande rimozione della modernità (sia in senso letterale, sia soprattutto nelle sue implicazioni psicologiche…), ossia gli odori dei corpi di uomini e donne.
Da sempre sono affascinato dall’universo degli odori e reputo l’olfatto, nella sua apparente rozzezza, il più misterioso e fatato dei sensi, quello in grado di suscitare “gamme di impressioni umane” fra le più sfumate e variegate, forse perché come nessuno degli altri cinque (i sensi sono sei, almeno: vista, udito, tatto, gusto, odorato e propriocezione) sa coprire ed interpretare i significati della “paradossalità”, tratto essenziale del nostro vivere.
Per chi ha letto lo straordinario e stranissimo (detto nel senso più lusinghiero del termine…) romanzo di Patrick Süskind, «Il profumo», diremo insomma che la signora Sissel Tolaas è il moderno Jean Baptiste Grenouille, un Mozart delle essenze olfattive che sta realizzando studi molto interessanti su questa affascinante prerogativa umana ed animale ad un tempo.
Ma non era di Sissel Tolaas in particolare che volevo parlare oggi, bensì di un paio di idee che mi sono balenate alla mente oggi per strada, mentre, fermo al semaforo aspettando il verde, cercavo di ricordare quel suo nome un po’ inusuale, letto solo poche ore prima da qualche parte su internet. Come ho già detto in altri articoletti, oltre che agli odori, ai profumi ed a mille altre cose, la mia meraviglia è spesso dedicata anche ai meccanismi secondo i quali la nostra mente richiama le parole dal magazzino della memoria.
Quello che mi pare di aver capito, armeggiando mnemonicamente fra le sillabe del nome “Sissel Tolaas”, è che quando cerchiamo di immagazzinare una nuova parola poco familiare, scatta in noi un meccanismo inconscio che appiccica a quel termine inedito dei piccoli segnali di riconoscimento, dei tratti “intermediari di familiarità”, che mediano gradualmente il nostro sforzo di ricordare un suono assolutamente nuovo, per il tramite di altre caratteristiche a noi già note e ben consolidate nel nostro patrimonio di conoscenze.
In pratica, si tratta di una sorta di “post-it”, attaccati sopra la parola nuova, o sopra alcune sue parti, che ci forniscono indizi utili per andarla a ritrovare. Oppure, per tornare metaforicamente al tema con cui ho aperto, sono come tracce di odore concettuale che lasciamo sopra le parole, strusciandoci contro di esse nel momento in cui le impariamo, e la cui scia possiamo tornare ad odorare in seguito per orientarci nel loro rinvenimento.
Ma com’è stato che questa caratteristica funzionale della memoria mi si è manifestata nel caso del nome “Sissel Tolaas”? Ecco, leggendo alcune cose di lei su internet, ho pensato che fosse un nome da tenere a mente per il futuro. Magari un giorno potrà interessarmi leggere qualche suo libro, se ne usciranno. In genere non ho tanta memoria per i nomi, mi scivolano via piuttosto facilmente, soprattutto quelli stranieri. Così ho pensato che se questo lo volevo ricordare, dovevo costruirmi qualche abbinamento. Un po’ come ho detto prima.
D’accordo, confesso, e mi vergogno pure un po’, che l'artificio mnemonico adottato a livello conscio per immagazzinare il nome, era dei più grossolanamente pecorecci pensabili. Trattandosi per di più di una donna, aggiungere una “l” a quel goliardico lemma dialettale così naturalmente connesso alla femminilità, come può essere il termine “sisse”, era gioco piuttosto agevole. Col cognome invece la cosa si presentava leggermente più articolata e preso nel frattempo da altre occupazioni, ho lasciato perdere.
Tutta la cosa mi è poi sovvenuta alcune ore dopo, fermo al semaforo appunto, come vi dicevo. Sissel lo ricordavo, ma il cognome non mi veniva più. Ed è stato lì che mi sono accorto di come il mio meccanismo della memoria avesse applicato un utile post-it a tutta la faccenda, senza che la mia volontà ci mettesse lo zampino. Stando ad un primo indizio vago, mi sembrava che ci fosse di mezzo la parola “attrezzo” in inglese, “tool”. Però il promemoria decisivo stava nel fatto della assoluta mancanza della fastidiosa “disparità fra scritto e pronunciato”.
Con le parole straniere in genere, e con quelle inglesi in particolare, questo è un fattore molto importante per me. Quando devo memorizzarne una, ci si mette sempre di mezzo la sensazione sgradevole della differenza fra ciò che è scritto, come correttamente va pronunciato, e come invece tenderemmo a pronunciarlo seguendo lo spontaneo istinto di italianizzare i suoni.
In questo caso, è stato il sollievo dato dall’assenza di un simile fastidio, che mi ha agevolato nel rintracciare l’inizio del cognome in questione, e poi il resto è venuto da solo. In pratica, non solo avevo memorizzato del tutto inconsciamente che la parola “tool” poteva essere un valido appiglio, ma per di più l'avevo qualitativamente resa efficace marcandola con la depurazione della difficoltosa disparità fra scrittura e pronuncia.
Insomma, cari amici, forse quest’oggi non avrò trattato tematiche strettamente cruciali per la sopravvivenza del genere umano, e nemmeno sono troppo sicuro di essermi spiegato poi così bene, ma l’importante è tenersi visti e continuare a razzolare fra i pensieri con giocondità.
Da oggi, l’affascinante signora titolare di questo nome dalle sonorità smaccatamente scandive, diventa uno dei miei beniamini cultural-scientifich-esistenziali. Sissel è una delle più esperte studiose al mondo di odori. Lavora per l’industria profumiera, ma studia odori ed essenze anche da un punto di vista antropologico, culturale, ed in ordine alle loro valenze, implicazioni e significati sociali, approfondendo fra l’altro uno degli oggetti della grande rimozione della modernità (sia in senso letterale, sia soprattutto nelle sue implicazioni psicologiche…), ossia gli odori dei corpi di uomini e donne.
Da sempre sono affascinato dall’universo degli odori e reputo l’olfatto, nella sua apparente rozzezza, il più misterioso e fatato dei sensi, quello in grado di suscitare “gamme di impressioni umane” fra le più sfumate e variegate, forse perché come nessuno degli altri cinque (i sensi sono sei, almeno: vista, udito, tatto, gusto, odorato e propriocezione) sa coprire ed interpretare i significati della “paradossalità”, tratto essenziale del nostro vivere.
Per chi ha letto lo straordinario e stranissimo (detto nel senso più lusinghiero del termine…) romanzo di Patrick Süskind, «Il profumo», diremo insomma che la signora Sissel Tolaas è il moderno Jean Baptiste Grenouille, un Mozart delle essenze olfattive che sta realizzando studi molto interessanti su questa affascinante prerogativa umana ed animale ad un tempo.
Ma non era di Sissel Tolaas in particolare che volevo parlare oggi, bensì di un paio di idee che mi sono balenate alla mente oggi per strada, mentre, fermo al semaforo aspettando il verde, cercavo di ricordare quel suo nome un po’ inusuale, letto solo poche ore prima da qualche parte su internet. Come ho già detto in altri articoletti, oltre che agli odori, ai profumi ed a mille altre cose, la mia meraviglia è spesso dedicata anche ai meccanismi secondo i quali la nostra mente richiama le parole dal magazzino della memoria.
Quello che mi pare di aver capito, armeggiando mnemonicamente fra le sillabe del nome “Sissel Tolaas”, è che quando cerchiamo di immagazzinare una nuova parola poco familiare, scatta in noi un meccanismo inconscio che appiccica a quel termine inedito dei piccoli segnali di riconoscimento, dei tratti “intermediari di familiarità”, che mediano gradualmente il nostro sforzo di ricordare un suono assolutamente nuovo, per il tramite di altre caratteristiche a noi già note e ben consolidate nel nostro patrimonio di conoscenze.
In pratica, si tratta di una sorta di “post-it”, attaccati sopra la parola nuova, o sopra alcune sue parti, che ci forniscono indizi utili per andarla a ritrovare. Oppure, per tornare metaforicamente al tema con cui ho aperto, sono come tracce di odore concettuale che lasciamo sopra le parole, strusciandoci contro di esse nel momento in cui le impariamo, e la cui scia possiamo tornare ad odorare in seguito per orientarci nel loro rinvenimento.
Ma com’è stato che questa caratteristica funzionale della memoria mi si è manifestata nel caso del nome “Sissel Tolaas”? Ecco, leggendo alcune cose di lei su internet, ho pensato che fosse un nome da tenere a mente per il futuro. Magari un giorno potrà interessarmi leggere qualche suo libro, se ne usciranno. In genere non ho tanta memoria per i nomi, mi scivolano via piuttosto facilmente, soprattutto quelli stranieri. Così ho pensato che se questo lo volevo ricordare, dovevo costruirmi qualche abbinamento. Un po’ come ho detto prima.
D’accordo, confesso, e mi vergogno pure un po’, che l'artificio mnemonico adottato a livello conscio per immagazzinare il nome, era dei più grossolanamente pecorecci pensabili. Trattandosi per di più di una donna, aggiungere una “l” a quel goliardico lemma dialettale così naturalmente connesso alla femminilità, come può essere il termine “sisse”, era gioco piuttosto agevole. Col cognome invece la cosa si presentava leggermente più articolata e preso nel frattempo da altre occupazioni, ho lasciato perdere.
Tutta la cosa mi è poi sovvenuta alcune ore dopo, fermo al semaforo appunto, come vi dicevo. Sissel lo ricordavo, ma il cognome non mi veniva più. Ed è stato lì che mi sono accorto di come il mio meccanismo della memoria avesse applicato un utile post-it a tutta la faccenda, senza che la mia volontà ci mettesse lo zampino. Stando ad un primo indizio vago, mi sembrava che ci fosse di mezzo la parola “attrezzo” in inglese, “tool”. Però il promemoria decisivo stava nel fatto della assoluta mancanza della fastidiosa “disparità fra scritto e pronunciato”.
Con le parole straniere in genere, e con quelle inglesi in particolare, questo è un fattore molto importante per me. Quando devo memorizzarne una, ci si mette sempre di mezzo la sensazione sgradevole della differenza fra ciò che è scritto, come correttamente va pronunciato, e come invece tenderemmo a pronunciarlo seguendo lo spontaneo istinto di italianizzare i suoni.
In questo caso, è stato il sollievo dato dall’assenza di un simile fastidio, che mi ha agevolato nel rintracciare l’inizio del cognome in questione, e poi il resto è venuto da solo. In pratica, non solo avevo memorizzato del tutto inconsciamente che la parola “tool” poteva essere un valido appiglio, ma per di più l'avevo qualitativamente resa efficace marcandola con la depurazione della difficoltosa disparità fra scrittura e pronuncia.
Insomma, cari amici, forse quest’oggi non avrò trattato tematiche strettamente cruciali per la sopravvivenza del genere umano, e nemmeno sono troppo sicuro di essermi spiegato poi così bene, ma l’importante è tenersi visti e continuare a razzolare fra i pensieri con giocondità.