Ci si può innamorare di una frase? A me capita continuamente.
Certo, è molto meglio quando succede con persone vere e proprie. Un bel pezzo di figliola per gli ometti, o un fustaccione con due baffetti da sparviero per le fanciulle. Ma l’innamoramento “frasesco” ha anch’esso i suoi perché.
Per certi aspetti, rassomiglia tra l’altro all’infatuazione propriamente detta, quella classica fra esseri umani. Magari conosciamo una donna o un uomo da tanto tempo, ma solo a partire da un certo momento particolare in poi, intorno alla sua aura s’innesca l’accensione di una miccia di stupore che ci fa vedere quell’individuo con occhi diversi e rinnovati. Con le frasi può succedere una cosa simile.
C’è una canzone di Simon & Garfunkel che a voler esser tirchi nel conteggio, posso dire di aver ascoltato non meno di 8563 volte: «The 59th street bridge song». In altre occasioni ho già parlato del mio inglese un po’ zoppicante e della mia propensione a lasciarmi ammaliare dalla sonorità e dall’esoterismo delle parole, trascurando forse troppo i significati effettivi dei testi in questione. Anche «The 59th street bridge song» l’ho sempre canticchiata senza dare troppa importanza al senso delle parole, gustandomi semplicemente la bellezza dei loro suoni.
Ma l’altro giorno mi è venuto da fischiettarla e mi sono fermato a rifletterci un attimo, ho considerato con più attenzione quello che il testo diceva, me lo sono chiarito meglio cercandolo sul web e “zac!”: ecco là la frase galeotta e tutta scintillante di seducente magnetismo.
Già il clima generale della canzone è molto avvolgente, come un manto di suoni e significati. A voler individuare un tema principale trattato, possiamo dire che sia l’estasi celata nell’inutilità di certi momenti. O meglio ancora: come nell’assenza di scopi possano nascondersi talvolta folgorazioni di senso fra le più belle ed intense che vorremmo la vita possedesse.
Il testo è molto semplice:
«...Slow down, you move too fast.
You got to make the mornin' last.
Just kickin' down the cobblestones,
Lookin' for fun and feelin' groovy.
Ba da da da da da da, feelin' groovy.
Hello, lamp-post, whatcha knowin'?
I come to watch your flowers growin'.
Ain'tcha got no rhymes for me?
Doo it doo doo, feelin' groovy.
Ba da da da da da da, feelin' groovy.
I got no deeds to do, no promises to keep.
I'm dappled and drowsy and ready to sleep
Let the morningtime drop all it's petals on me
Life, I love you, all is groovy!
Ba da da da da da da, feelin' groovy...»
Come vedete, si parla di una giornata spesa semplicemente a far passare il tempo. Una vera e propria enunciazione dei perfetti “compiti” del perdigiorno provetto. Ai primi due versi, compare subito una considerazione fantastica:
«...Slow down, you move too fast.
You got to make the mornin' last...»
«...Rallenta, ti muovi troppo alla svelta.
Devi farti durare la mattinata...».
L’idea di una mattinata da far durare, come un lungo bicchiere di buon Chianti, o un articolo di giornale particolarmente coinvolgente, oppure il capitolo di un libro che non dà tregua alla fame di leggere oltre, o ancora un pacchetto di insidiose gelatine, è bellissima da immaginare.
Ma il passo oggetto della mia infatuazione verbale vera e propria cade un po’ più avanti, in apertura della seconda strofa:
«...Hello, lamp-post, whatcha knowin'?
I come to watch your flowers growin'...»
Il primo verso è di per sé un inno alla gratuità pura: «...Ciao, lampione, cosa mi dici?...».
Ebbene sì, immersi in un'atmosfera pervasa da una particolare armonia esistenziale, quando ci si sente un pulviscolo di molecole espanse sino ad andare a coincidere con tutto le particelle che immaginiamo occupate dall’universo a noi più caro, rivolgere la parola ad un lampione può essere il gesto più normale del mondo.
Ed è poi appena di seguito che sboccia la grazia poetica più profonda, nella sua sconvolgente banalità: «...Sono venuto a veder crescere i tuoi fiori...». Questa frase implica una serie di insospettabili risvolti “sentimental-amicali”.
E’ vero che qui l’affermazione rimane surrealmente sempre rivolta al lampione. Ma per me si può idealmente espandere a qualsiasi tipo di interlocutore a noi universalmente caro. Se abbiamo l’opportunità di vedere i fiori crescere insieme a qualcuno, vuol dire che il tempo trascorso insieme a quel qualcuno è portatore di un pregio particolare. E’ il tempo più disinteressato che possiamo pensare, un tempo disponibile a lunghissime dosi, un tempo il cui trascorrere non importa.
Insieme ad una persona con la quale si può anche stare a vedere crescere i fiori, non c’è bisogno di parlare tanto. Ampi spazi di silenzio sono tollerati, valgono come i discorsi più complessi, perché l’intesa è consolidata su una confidenza ed una familiarità a lungo esperite. Una persona con la quale si sta bene guardando crescere i fiori, ci fa star bene anche in tutte le altre situazioni immaginabili. Con una persona così, si possono fare le cose più inutili del mondo, come stare semplicemente vicini senza dire nulla e sentendosi l’un l’altro, oppure fare l’amore.
Insomma, può capitare di pensare un po’ a tutte queste cose, quando ci s’innamora di una frase. Eppure alla fine, si può anche concludere: in fondo, è soltanto una canzone.
Certo, è molto meglio quando succede con persone vere e proprie. Un bel pezzo di figliola per gli ometti, o un fustaccione con due baffetti da sparviero per le fanciulle. Ma l’innamoramento “frasesco” ha anch’esso i suoi perché.
Per certi aspetti, rassomiglia tra l’altro all’infatuazione propriamente detta, quella classica fra esseri umani. Magari conosciamo una donna o un uomo da tanto tempo, ma solo a partire da un certo momento particolare in poi, intorno alla sua aura s’innesca l’accensione di una miccia di stupore che ci fa vedere quell’individuo con occhi diversi e rinnovati. Con le frasi può succedere una cosa simile.
C’è una canzone di Simon & Garfunkel che a voler esser tirchi nel conteggio, posso dire di aver ascoltato non meno di 8563 volte: «The 59th street bridge song». In altre occasioni ho già parlato del mio inglese un po’ zoppicante e della mia propensione a lasciarmi ammaliare dalla sonorità e dall’esoterismo delle parole, trascurando forse troppo i significati effettivi dei testi in questione. Anche «The 59th street bridge song» l’ho sempre canticchiata senza dare troppa importanza al senso delle parole, gustandomi semplicemente la bellezza dei loro suoni.
Ma l’altro giorno mi è venuto da fischiettarla e mi sono fermato a rifletterci un attimo, ho considerato con più attenzione quello che il testo diceva, me lo sono chiarito meglio cercandolo sul web e “zac!”: ecco là la frase galeotta e tutta scintillante di seducente magnetismo.
Già il clima generale della canzone è molto avvolgente, come un manto di suoni e significati. A voler individuare un tema principale trattato, possiamo dire che sia l’estasi celata nell’inutilità di certi momenti. O meglio ancora: come nell’assenza di scopi possano nascondersi talvolta folgorazioni di senso fra le più belle ed intense che vorremmo la vita possedesse.
Il testo è molto semplice:
«...Slow down, you move too fast.
You got to make the mornin' last.
Just kickin' down the cobblestones,
Lookin' for fun and feelin' groovy.
Ba da da da da da da, feelin' groovy.
Hello, lamp-post, whatcha knowin'?
I come to watch your flowers growin'.
Ain'tcha got no rhymes for me?
Doo it doo doo, feelin' groovy.
Ba da da da da da da, feelin' groovy.
I got no deeds to do, no promises to keep.
I'm dappled and drowsy and ready to sleep
Let the morningtime drop all it's petals on me
Life, I love you, all is groovy!
Ba da da da da da da, feelin' groovy...»
Come vedete, si parla di una giornata spesa semplicemente a far passare il tempo. Una vera e propria enunciazione dei perfetti “compiti” del perdigiorno provetto. Ai primi due versi, compare subito una considerazione fantastica:
«...Slow down, you move too fast.
You got to make the mornin' last...»
«...Rallenta, ti muovi troppo alla svelta.
Devi farti durare la mattinata...».
L’idea di una mattinata da far durare, come un lungo bicchiere di buon Chianti, o un articolo di giornale particolarmente coinvolgente, oppure il capitolo di un libro che non dà tregua alla fame di leggere oltre, o ancora un pacchetto di insidiose gelatine, è bellissima da immaginare.
Ma il passo oggetto della mia infatuazione verbale vera e propria cade un po’ più avanti, in apertura della seconda strofa:
«...Hello, lamp-post, whatcha knowin'?
I come to watch your flowers growin'...»
Il primo verso è di per sé un inno alla gratuità pura: «...Ciao, lampione, cosa mi dici?...».
Ebbene sì, immersi in un'atmosfera pervasa da una particolare armonia esistenziale, quando ci si sente un pulviscolo di molecole espanse sino ad andare a coincidere con tutto le particelle che immaginiamo occupate dall’universo a noi più caro, rivolgere la parola ad un lampione può essere il gesto più normale del mondo.
Ed è poi appena di seguito che sboccia la grazia poetica più profonda, nella sua sconvolgente banalità: «...Sono venuto a veder crescere i tuoi fiori...». Questa frase implica una serie di insospettabili risvolti “sentimental-amicali”.
E’ vero che qui l’affermazione rimane surrealmente sempre rivolta al lampione. Ma per me si può idealmente espandere a qualsiasi tipo di interlocutore a noi universalmente caro. Se abbiamo l’opportunità di vedere i fiori crescere insieme a qualcuno, vuol dire che il tempo trascorso insieme a quel qualcuno è portatore di un pregio particolare. E’ il tempo più disinteressato che possiamo pensare, un tempo disponibile a lunghissime dosi, un tempo il cui trascorrere non importa.
Insieme ad una persona con la quale si può anche stare a vedere crescere i fiori, non c’è bisogno di parlare tanto. Ampi spazi di silenzio sono tollerati, valgono come i discorsi più complessi, perché l’intesa è consolidata su una confidenza ed una familiarità a lungo esperite. Una persona con la quale si sta bene guardando crescere i fiori, ci fa star bene anche in tutte le altre situazioni immaginabili. Con una persona così, si possono fare le cose più inutili del mondo, come stare semplicemente vicini senza dire nulla e sentendosi l’un l’altro, oppure fare l’amore.
Insomma, può capitare di pensare un po’ a tutte queste cose, quando ci s’innamora di una frase. Eppure alla fine, si può anche concludere: in fondo, è soltanto una canzone.
7 commenti:
Beh ... ieri sono stato al Camposanto e quella frase «...Sono venuto a veder crescere i tuoi fiori...» sembrerebbe dire altro se ci si perde nel significato letterale delle parole.
In realtà esprime totalmente il senso di che cosa significhi l'Amore, qualcosa di consolidato, che fa stare bene senza pretendere o aspettarsi altro da chi amiamo ricambiati ... ed è, paradossalmente, una serenità che perdura nel tempo, anche in assenza ... talmente è compenetrata.
A costo di ripetermi e di essere noioso, Gillipixel sei molto bravo a esprimere, con parole semplici e, a volte con delle note musicali, concetti che semplici non sono.
Un saluto
Paolo
Diamo un sostegno a Yroma ...
coinvolgi altre persone se puoi:-)
Ciao Gill
Prima di tutto, splendida la citazione calemburrosa del titolo...una bellissima canzone cantata da storici crooner, dolcissima...:))))))
e poi Simon&Garfunkel! Proprio loro, i vellicaorecchie della mia adolescenza, con le loro armoniose voci angelicamente fuse...la canzone di cui scrivi è anche una di quelle che amo in modo particolare proprio per le parole rilassate e pigre e per quel dolce farsi piovere la vita addosso...life, I love you, la dichiarazione d'amore per eccellenza.
Bravo Gilli, un gustosissimo post.;))))
@->Paolo: son d'accordo, Paolo, lo stato d'animo è ad ogni modo sempre fondamentale per determianre la nostra sintonia con le parole...in questo modo, nella frase di cui parlo si potrebbe leggere qualsiasi significato...è lo spirito che fa sempre da interprete :-)
Grazie per i tuoi complimenti sempre gentilissimi e molto graditi...
Riguardo ad Yroma, non saprei bene cosa fare...mi è spiaciuto molto vedere che ha chiuso il blog e spero che magari ci ripensi e si rimetta a scrivere...ultimamente la leggevo spesso irrequieta e delusa...spero che possa trovare un suo equilibrio, al di là della questione del blog...che ci siano persone vicine a lei che sappiano darle un buon esempio di energia e di positività...
Grazie ancora, Paolo, ciao :-)
@->Vale: grazie, Vale, sei troppo gentile :-) e come sempre crei nuove irresitibili parole: "calemburrosa" è bellissimo :-)
Sapevo che queste tematiche avrebbero solleticato la tua sensibilità di saggissima pigra :-)
Simon & Garfunkel mi sono sempre piaciuti un sacco, e anche se a volte possono risultare un po' mielosi, lo sono sempre con misura :-) dalle loro canzoni traspira sempre un senso di fierezza che attenua, se ce ne fosse bisogno, i toni eccessivamente melliflui :-)
E poi, quando uno vuole cambiare sapore, basta che metta su i Nirvana e non ci sono problemi :-)
Bacini slip slindin' away :-)
ma che bella cosa che hai scritto! non aggiungo una virgola
bacini commossi
@->Farly: grazie, Farly, sei troppo carina :-) è sempre bello entrare in sintonia con la tua sensibilità :-)
Bacini groovy :-)
Posta un commento