Oggi tenterò di stabilire il nuovo record mondiale di immersione in assetto variabile nelle più estreme profondità del fraseggio sul nulla. Con sommo sprezzo del pericolo, mi produrrò in una performance mai tentata prima nemmeno dai più grandi venditori di fumo, affrontando un tema che rasenterà la vacuità assoluta.
Giusto venerdì scorso, me ne sono andato in libreria. Dovete sapere che ultimamente sto attraversando una fase di notevole e rinnovato ingiallimento. Inteso non come recrudescenza di una malcurata itterizia (oh, oh, oh!...battutona!…), ma come ritrovata passione per i libri gialli. Reputo i gialli opere narrative di “pura struttura”. Spiegherò meglio in seguito cosa intendo dire, ma fatto sta che, proprio per questo motivo, da parecchio tempo avevo accantonato la lettura di questo genere (eccezion fatta per le avventure del commissario Maigret, di Simenon, che fra i gialli è un capitolo a parte…), preferendogli altri ambiti letterari maggiormente portatori di contenuti, sostanze e ben più densi addentellati esistenziali.
Questo mio giudizio nei confronti dei gialli è fra l’altro parecchio parziale e zoppicante, ed anche questo si scoprirà dopo. Ad ogni modo, un primo dato sta nel fatto che, se hai già più o meno idea di cosa ci puoi trovare dentro, del libro giallo ad un certo punto senti il “bisogno”, la “necessità”.
Senza dunque anticipare più di tanto, vi stavo dicendo che sono andato in libreria, e l’intenzione era di accaparrarmi qualche titolo di Rex Stout. Avevo letto tanti anni fa alcune avventure del più raffinato ed intrattabile fra i detective, Nero Wolfe, e da allora è sempre rimasto fra i miei preferiti. Peccato che il mondo dei gialli, in Italia (ma forse anche da altre parti), patisca fortemente la dittatura della terribile “vecchietta inglese”. O almeno è così che me la immagino io, quando penso a quella scrittrice, sovrapponendo nella mia fantasia la sua immagine a quella di una delle sue investigatrici più famose, Miss Marple, trasposta nella fattispecie cinematografica attraverso le paciose fattezze della nonnetta Margaret Rutherford.
Ovviamente sto parlando di Agatha Christie. Di suo, ho sempre letto pochissimo anche per questo. Il reparto dei gialli classici di quasi ogni libreria è sempre stracolmo di romanzi della Christie, mentre ho sempre faticato a trovare titoli un po’ rari di altri autori notevoli, “giallisticamente” parlando, dei quali mi ero appassionato nel frattempo. Come Rex Stout, appunto, o Ellery Queen (pseudonimo condiviso dei cugini Frederic Dannay e Manfred Lee), oppure Erle Stanley Gardner, il creatore di Perry Mason. Con Agatha Christie, mi succede un po’ come con il calcio: non è che non mi piaccia di per sé, ma mi fa venire l’orticaria il fatto che te lo vogliano rifilare a tutti i costi. Lo so, lo so, le librerie e le tv devono andare dietro la suonata del mercato e se il pubblico vuole calcio e Christie, ingozziamolo pure di quello, ma non per questo io sono tenuto a rinunciare ad una mia privata, quanto infruttuosa e poco lineare ribellione.
Anche stavolta insomma, mi sono ritrovato immerso nel mare magnum della strabordante pletora “Agatha-Christieana”, mentre il povero Rex Stout non era pervenuto nemmeno di striscio. Decido allora di chiedere a qualche addetto della libreria. Lo faccio di rado, un po’ perché di solito mi piace razzolare fra i volumi allo stato brado, riservandomi il piacere di venir sorpreso da qualcosa di inaspettato, e un po’ per la mia “…natural salvaticità che schivo mi rende agli umani et al loro dozzinal commercio verbale…” (sembrerebbe quasi Petrarca...In realtà è una vaccata da me or ora concepita…).
Come anticipavo prima, però, dietro la ricerca del giallo si cela un bisogno e i bisogni fanno superare anche le più inveterate abitudini. Tanto più che stavolta l’impresa non si presentava poi così ardua e sgradevole. Il soggetto con cui intrattenere “commercio verbale” era infatti una leggiadra libraia. Non più una ragazza, ma una giovane donna, presenza non vistosa ma gradevole alla vista e pregiatamente incastonata nel contesto libresco tutto. Le dico cosa sto cercando e lei si mette a smacchinare sul computer per verificare: fra gli scaffali le risultano quattro titoli di Rex Stout.
Bene.
Passo anche sopra al dettaglio del suo pronunciare un po’ bislaccamente il nome dello scrittore (dice “Stutt” invece di “Stàut”) e la seguo nella ricerca per le varie scansie. Mi trova subito uno dei libri presenti, ma un po’ per strategia commerciale e po’ perché le avevo fatto intendere che avrei gradito acquistarne anche più di uno, se ci fossero stati, non si arrende nella ricerca. Gli altri titoli però non saltano fuori, per cui decide di far ritorno al terminale per una seconda verifica.
A questo punto s’impone un avviso: da qui in avanti, il racconto, pur rimanendo strettamente fedele ai dettagli dei fatti accaduti, s’immerge nelle plaghe della pura fantasia per quel che riguarda le interpretazioni dei medesimi.
E’ stato esattamente nel momento in cui la libraia si accingeva a riguadagnare la postazione al computer, che una micro magia valida mezza frazione di secondo si è verificata. Ho sentito un rumore piccolo ma distinto, un suono ben circostanziato, uno “sciaccch!” delicato, provenire dalla persona della libraia, mentre già si era trincerata di nuovo dietro il bancone della cassa, e quasi in contemporanea ho visto la sua mano riemergere da qualche parte là sotto, per tornare ad armeggiare coi tasti del terminale.
Ora, non mi voglio assolutamente spacciare per il “Mozart delle sonorità femminee”, ma non era impresa così ardua capire la natura e l’origine di quel suono: si trattava dello schiocco dell’elastico degli slip. E nemmeno volendo millantare il possesso dell'orecchio musicale assoluto per le melodie “mutandali”, credo di poter dire con un certo grado di precisione che si trattasse non del “principale reggente in vita”, bensì di uno dei due delimitanti inferiori, ai quali, com'è noto, spettano compiti di “presidio della frontiera” ben più delicati e misteriosi.
Come si sa, le teorie sui significati reconditi della gestualità spicciola che s'innesca a parallelo commento delle situazioni colloquiali, si sprecano.
Una donna si tocca continuamente le ciocche della chioma mentre vi parla?
E' un segnale inconscio di disponibilità sessuale!
Un tizio vi sta spiegando una cosa e nel frattempo armeggia senza tregua con i bordi della bocca?
E' un segnale inconscio di carenza sessuale!
Un altro ancora vi parla senza accompagnare le parole con nessun gesto di sorta?
E' senz'altro un segnale inconscio di disinteresse sessuale!
Possibile, mi sono domandato spesso, che quando ci si trova faccia a faccia con qualcuno, qualsiasi “parola gestuale” che diremo potrà essere usata sessualmente conto di noi? E se tutti quegli atti all'apparenza così innocenti e privi d'intenzione possono esser fatti risalire sempre ad un matrice sessuale, cosa si dovrà dire allora di un gesto come l'arpeggio delle corde “mutandesche”, che sembra invece addentrarsi con ben maggiore evidenza in tematiche inequivocabilmente pertinenti a quella sfera?
E invece no. Questa volta la teoria me la faccio in casa. Una teoria che non varrà un cicca frusta, ma dotata di una spettacolarità senza dubbio molto più elevata. Vi dico dunque che quel gesto non aveva proprio nulla a che fare con la dimensione sessuale. La libraia esprimeva invece molto più semplicemente, e molto più inconsciamente, la propria sintonia d'animo alla presenza di un lettore preso nel gorgo dell'impellente “bisogno” di gialli.
Così come il lettore di gialli è erroneamente ritenuto un ricercatore assiduo ed esclusivo di novità, di emozioni e di colpi di scena, allo stesso modo uno schiocco di mutanda in quel frangente faceva affiorare la punta dell'iceberg dell'intenzione subconscia di calarsi in una dimensione di domesticità e familiarità particolari. Che è poi quello che in effetti si ricerca nella lettura di una vicenda gialla.
Il lettore nel giallo cerca soprattutto la ripetitività celata dietro le mutazioni. Cerca qualcosa di stabile, cerca certezze e riferimenti affettivamente fondati. Cerca le abitudini ed i vezzi del detective prediletto, cerca tutto quel mosaico di personaggi accessori che gli fanno da regolare contorno. Cerca un mondo di sicurezze che, nella costante minaccia incombente di stravolgimenti epocali sempre in agguato, acquistano un grado di valore esistenziale ancor più prezioso.
Ecco allora spiegato come mai il mio ritenere i gialli un genere letterario apprezzabile soltanto per ragioni di “pura struttura”, rifletta in realtà un giudizio frettoloso ed imperfetto. Non c'è solo la bellezza possibile di un'architettura della trama costruita con particolare maestria. I gialli ci offrono invece a modo loro uno strumento molto sottile di consolazione filosofica, un lenitivo per l'anima.
Allo stesso modo, per via delle circostanze in cui è stato vibrato, il “la” mutandale irradiato dal diapason della libraia non aveva nulla delle tematiche erotiche e del loro senso più strettamente inteso, fatto di misteri e di disvelamenti che amiamo rimandare sempre col cuore in gola. Quella leggera nota di mutanda recava semmai con sé una sensazione di complicità amicale stabile e poggiata sulla padronanza delle emozioni. E se mai un lieve retrogusto di erotismo lo avesse pur avuto, si trattava di quello quotidiano e speso nella conoscenza perfetta delle reciproche abitudini ed attitudini sensuali.
Alla sera poi, a casa, ripensavo un po' a tutte queste impressioni, mentre assaporavo il piacere di iniziare uno dei Nero Wolfe che mi ero procurato. Tra le altre cose, proprio in quegli attimi su Gillipixiland si è abbattuto un nubifragio coi fiocchi. Alla mattina, gli esiti di quella baraonda meteorologica non erano dei più confortanti: la violenza del vento aveva tranciato a metà due alberi, cosa che mi ha costretto a tre o quattro ore di lavoro straordinario nei panni di improvvisato boscaiolo.
Mentre ero lì a smanettare e a sacramentare a suon di colpi di rampina e scure, fra rami e ceppi fracassati, improvvisamente mi è tornato alla mente il celeberrimo interrogativo un po' leggendariamente e un po' metropolitanamente assunto come postulato presunto della legge del caos: «...Può il batter d'ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?...».
Ed ho deciso che era giunto il momento di rivisitarlo nel seguente modo: «...Può lo schiocco della mutanda di una libraia in città provocare un nubifragio a Gillipixiland?...».
4 commenti:
Ciao Gill
Senza alcun dubbio credo valga la pena di tornare ed approfondire la conoscenza della graziosa libraia
cercando di interessarsi il più possibile a Lei, al lavoro che svolge,alle sue passioni, capire quanto è impegnata sentimentalmente e quanto gli interessi
Bon chance:-)
@->Paolo: eheheheh :-) mah, non ti saprei dire, Paolo...in effetti non mi sembrava tanto interessata a me, ma è stata comunque bella come micro-avventura dal sapore calviniano :-) (...con riferimento a "Gli amori difficili", bellissima raccolta di racconti di Italo Calvino, ovvio :-)
Ad ogni modo, non mettiamo mai limiti alla provvidenza :-)
Ciao Paolo, grazie del simpatico commento :-)
splendida conclusione! sono qui che rido da 5 minuti :-D
sul giallo avrei da discutere per un pezzo, per me la lettura dei gialli non è un fatto di affezione ad un pesonaggio o ad una struttura, è la storia e come viene articolata ciò che mi cattura. essendo una lettrice in giallo da sempre, tendo spesso ad indovinare molto presto colpevoli e moventi, se così accade, il proseguire della lettura dipende da quanto scrive bene l'autore. insomma il giallo, come qualunque libro, se è scritto bene lo finisco se no lo abbandono.
ehm se vuoi qualche titolo ehm ecco ne avrei un po' da passarti...
bacini allo zafferano
@->Farly: forse è perchè, cara Farly, della nostra chimera io sono la metà meno scientifica (...pur prendendo da te un bel "dieci a zero" anche sul piano umanistico :-)...
E allora anche nei gialli, mi rifugio sul lato affettivo, e gli intrichi delle trame (che mi piaciono, va beh...) alla fine mi appassionano meno... :-)
Lieto di averti fatto sorridere con questa mutandeide, mi firmo gillipix e lascio qui un mazzo di bacinix :-)
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