Il vecchio pioppo non c’è più. Anzi: «…la vècia piòpa…».
E’ curioso come tanti tipi di albero, passando dall’italiano al dialetto gillipixilandese, risultino femminilizzati: il noce diventa la “nu’z”, l’albicocco la “burgnàga”, il ciliegio invece è la “sré’za”. Ora che ci penso, forse questa legge grammatical-botanico-vernacolare scatta solamente nel caso delle piante da frutto. Giustamente, l’immaginazione popolare le avrà da sempre associate alla fertilità, alla trasmissione della vita, sarà per questo che ha trasformato il loro genere forzando la normale classificazione prevista dalla lingua ufficiale.
Stando a questa regola però, non si spiegherebbe come mai il pioppo sia stato anch’esso linguisticamente mutato da maschio in femmina. Forse perché il pioppo per le zone lungo il fiume è sempre stato fonte di sostentamento per le famiglie, con la sua legna che si forma in tempi relativamente rapidi ed è presto pronta per essere smerciata. Il suo frutto è da sempre il suo legname ed esso ha rappresentato il corrispettivo del maiale nel mondo della flora, rapido a crescere ed interamente utile, dalle foglie al tronco. Ho saputo che dalla sua linfa, i nostri vecchi ricavavano addirittura una sorta di linimento buono per tanti mali ed acciacchi.
Oppure, beffardamente, il suo frutto fittizio sono anche quello strambo fenomeno che va sotto il nome di “piumini”, sintomo delle sfumature anche scherzose presenti nell’«indole» di questo albero. Il pioppo da una parte si piglia il privilegio della “femminilizzazione”, ma poi l’unica parvenza di frutto effettivo che riesce a sganciare è una sorta di fasulla nevicata primaverile, per niente adatta ad allietare i palati con fruttifere dolcezze saccarine, bensì capace tutt’al più di far incazzare interi eserciti di nasi allergici.
I vecchi boscaioli d’un tempo passavano le loro giornate fra i filari ordinati di pioppi allineati nei campi limitrofi alle acque fluviali, a raccogliere quello che il bosco poteva offrire nelle diverse stagioni. Sempre appesa alla cintola, sul fianco, la fedele “rampina”. Una specie di “machete” ricurvo in punta, che non abbandonavano mai, nemmeno quando entravano all’osteria e si sedevano intorno al tavolo per una briscola, come una sorta di cow-boy campagnoleschi, seduti per la loro mano di poker e rassicurati da un tocco di dita sulla colt, sempre a portata nella fondina.
Il pioppo è forse l’albero che meglio riflette il carattere della mia terra. Non è molto appariscente quanto a fattezze, non si pavoneggia in fioriture particolarmente spettacolari, ma possiede una sua bellezza austera ed in qualche modo speciale. Certe sue varietà, quando presentano il dorso argentato della foglia alle possenti brezze che di tanto in tanto s’incanalano lungo in grande imbuto del fiume, ricordano lo sfavillio multicolore del cimiero di valorosi cavalieri medievali completamente assorbiti nella sempiterna tenzone ingaggiata fra le forze della natura.
Poi il pioppo sopporta bene l’umidità. Addirittura, in tanti casi rappresenta l’unica soluzione agricola possibile nelle ampie distese di terra in balia delle periodiche inondazioni del fiume. Laddove ogni altra coltura soccomberebbe sotto i flutti, il pioppo se li lascia scivolare paziente lungo il tronco, incurante di qualunque ira alluvionale.
Il pioppo è protagonista del mio panorama fin da quando ero uno sbarbatello alto un metro e niente. Sopra la corona dell’argine, i gruppetti di pioppi formano spesso delle folte chiome verdi ondeggianti al vento ed era fiancheggiata da pioppi anche la casa vecchia in cui sono cresciuto. Con la sua generosa ed affusolata estensione in altezza, il pioppo è facile vittima di raffiche temporalesche e di fulmini. Quando si spezza in seguito alla furia degli elementi, non so a causa di quale fenomeno chimico-botanico, può capitare che la sua fibra bianca interna scoperta dallo schianto, risulti velata di una sfumatura che ricorda vagamente il sangue. Addirittura, anche la carne del pollo ormai severamente prosciugata in lunghe ore di bollitura per ricavarne il brodo della domenica, nella stoppacciosa asciuttezza delle sue candide fibre, in gillipixilandese viene familiarmente chiamata «piòpa».
Una di quelle notti lontane, si abbatté un grosso temporale sulla casa vecchia e su tutto il mio mondo infantile. Alla mattina, noi bimbi rinvenimmo dei frammenti di grossi rami e di corteccia di pioppo, maltrattati dagli eventi e precipitati violentemente al suolo, per di più intrisi di quello stupefacente sangue vegetale. Nella nostra ingenuità immaginifica bambineggiante, volemmo inscenare una sorta di funerale vegetale per il povero pioppo. Come succede nelle faccende di quell’età, ricordo la leggerezza fantasiosa attivata per l’occasione, ma nello stesso tempo, anche la serietà dei sentimenti spesi nel corso dello svolgimento di quello strano rituale. Nella consapevolezza della finzione, nondimeno esprimevamo a nostro modo una buffa e giocosa religiosità, come i rappresentanti senza tempo di un ludico primitivismo, radicato in chissà quali profondità ancestrali.
Di pioppi era coronata anche la casa nuova in cui andammo ad abitare non molto tempo dopo. Lo spazio per l’edificio era stato ricavato giusto giusto levando il necessario riquadro di piante, ma per il resto il campo rimase per qualche anno ancora tutto costellato da quella incombente presenza vegetale. Tutti gli alberi parlano, quando le loro fronde stormiscono nel vento, ma il modo di parlare del pioppo è particolarmente elegante. La nuova casa era in questo modo spesso immersa in un armonico coro arboreo e potete immaginare cosa potesse significare tutto questo agli occhi perennemente meravigliati di un bambino.
E’ stato in virtù di tutti questi ricordi che ieri mattina, quando le motoseghe si sono alternate in una rapida sarabanda potatoria, riducendo nel giro di poche ore il grande pioppo di fronte a casa in un mucchio di trucioli e grossi ceppi, tutto ciò non è stato un evento qualsiasi. Pur sapendo che era necessario, per il pericolo che ormai, ad ogni nuovo violento temporale, la pianta rappresentava con la sua minacciosa mole, così prossima alla strada e alle case vicine, non poteva essere un fatto qualsiasi. Di pioppi belli ce ne saranno ancora tanti, tutto intorno qua, ma questo era il mio e in qualche modo la sua voce mi mancherà. Con la sua ombra mi ha salutato fedele ogni giorno, andando verso scuola alle elementari, tornando da scuola alle medie, sbiciclettando verso la corriera per andare in città, al liceo e poi ancora smacchinando verso l’università. I suoi sospiri si sono uniti ai miei nel profondo delle notti, rimettendo l’auto in garage di ritorno dalla discoteca, dove regolarmente non avevo beccato niente, se non qualche due di picche o platonici allupamenti.
Non dev’essere un caso allora nemmeno il fatto che pioppo in latino si dica “populus”. Un popolo al quale anche io un po’ mi sento di appartenere.
Post Scriptum:
Pur essendo perfettamente consapevole della differenza fra flora (mondo vegetale) e fauna (mondo animale), non so come mai nel mio cranio alberga inveterato un ancestrale lapsus che mi fa confondere continuamente le due cose. Lo strano fenomeno si è verificato anche nel presente testo, in cui avevo scritto due o tre volte "faunistico" riferendomi però ovviamente al mondo vegetale. Ora ho corretto queste sviste con sinonimi o perifrasi all'uopo, ma volevo che restasse in ogni caso traccia del mio errore in queste due righe di precisazione, a beneficio di chi magari se ne fosse accorto prima della correzione.
A presto, a tutti!
E’ curioso come tanti tipi di albero, passando dall’italiano al dialetto gillipixilandese, risultino femminilizzati: il noce diventa la “nu’z”, l’albicocco la “burgnàga”, il ciliegio invece è la “sré’za”. Ora che ci penso, forse questa legge grammatical-botanico-vernacolare scatta solamente nel caso delle piante da frutto. Giustamente, l’immaginazione popolare le avrà da sempre associate alla fertilità, alla trasmissione della vita, sarà per questo che ha trasformato il loro genere forzando la normale classificazione prevista dalla lingua ufficiale.
Stando a questa regola però, non si spiegherebbe come mai il pioppo sia stato anch’esso linguisticamente mutato da maschio in femmina. Forse perché il pioppo per le zone lungo il fiume è sempre stato fonte di sostentamento per le famiglie, con la sua legna che si forma in tempi relativamente rapidi ed è presto pronta per essere smerciata. Il suo frutto è da sempre il suo legname ed esso ha rappresentato il corrispettivo del maiale nel mondo della flora, rapido a crescere ed interamente utile, dalle foglie al tronco. Ho saputo che dalla sua linfa, i nostri vecchi ricavavano addirittura una sorta di linimento buono per tanti mali ed acciacchi.
Oppure, beffardamente, il suo frutto fittizio sono anche quello strambo fenomeno che va sotto il nome di “piumini”, sintomo delle sfumature anche scherzose presenti nell’«indole» di questo albero. Il pioppo da una parte si piglia il privilegio della “femminilizzazione”, ma poi l’unica parvenza di frutto effettivo che riesce a sganciare è una sorta di fasulla nevicata primaverile, per niente adatta ad allietare i palati con fruttifere dolcezze saccarine, bensì capace tutt’al più di far incazzare interi eserciti di nasi allergici.
I vecchi boscaioli d’un tempo passavano le loro giornate fra i filari ordinati di pioppi allineati nei campi limitrofi alle acque fluviali, a raccogliere quello che il bosco poteva offrire nelle diverse stagioni. Sempre appesa alla cintola, sul fianco, la fedele “rampina”. Una specie di “machete” ricurvo in punta, che non abbandonavano mai, nemmeno quando entravano all’osteria e si sedevano intorno al tavolo per una briscola, come una sorta di cow-boy campagnoleschi, seduti per la loro mano di poker e rassicurati da un tocco di dita sulla colt, sempre a portata nella fondina.
Il pioppo è forse l’albero che meglio riflette il carattere della mia terra. Non è molto appariscente quanto a fattezze, non si pavoneggia in fioriture particolarmente spettacolari, ma possiede una sua bellezza austera ed in qualche modo speciale. Certe sue varietà, quando presentano il dorso argentato della foglia alle possenti brezze che di tanto in tanto s’incanalano lungo in grande imbuto del fiume, ricordano lo sfavillio multicolore del cimiero di valorosi cavalieri medievali completamente assorbiti nella sempiterna tenzone ingaggiata fra le forze della natura.
Poi il pioppo sopporta bene l’umidità. Addirittura, in tanti casi rappresenta l’unica soluzione agricola possibile nelle ampie distese di terra in balia delle periodiche inondazioni del fiume. Laddove ogni altra coltura soccomberebbe sotto i flutti, il pioppo se li lascia scivolare paziente lungo il tronco, incurante di qualunque ira alluvionale.
Il pioppo è protagonista del mio panorama fin da quando ero uno sbarbatello alto un metro e niente. Sopra la corona dell’argine, i gruppetti di pioppi formano spesso delle folte chiome verdi ondeggianti al vento ed era fiancheggiata da pioppi anche la casa vecchia in cui sono cresciuto. Con la sua generosa ed affusolata estensione in altezza, il pioppo è facile vittima di raffiche temporalesche e di fulmini. Quando si spezza in seguito alla furia degli elementi, non so a causa di quale fenomeno chimico-botanico, può capitare che la sua fibra bianca interna scoperta dallo schianto, risulti velata di una sfumatura che ricorda vagamente il sangue. Addirittura, anche la carne del pollo ormai severamente prosciugata in lunghe ore di bollitura per ricavarne il brodo della domenica, nella stoppacciosa asciuttezza delle sue candide fibre, in gillipixilandese viene familiarmente chiamata «piòpa».
Una di quelle notti lontane, si abbatté un grosso temporale sulla casa vecchia e su tutto il mio mondo infantile. Alla mattina, noi bimbi rinvenimmo dei frammenti di grossi rami e di corteccia di pioppo, maltrattati dagli eventi e precipitati violentemente al suolo, per di più intrisi di quello stupefacente sangue vegetale. Nella nostra ingenuità immaginifica bambineggiante, volemmo inscenare una sorta di funerale vegetale per il povero pioppo. Come succede nelle faccende di quell’età, ricordo la leggerezza fantasiosa attivata per l’occasione, ma nello stesso tempo, anche la serietà dei sentimenti spesi nel corso dello svolgimento di quello strano rituale. Nella consapevolezza della finzione, nondimeno esprimevamo a nostro modo una buffa e giocosa religiosità, come i rappresentanti senza tempo di un ludico primitivismo, radicato in chissà quali profondità ancestrali.
Di pioppi era coronata anche la casa nuova in cui andammo ad abitare non molto tempo dopo. Lo spazio per l’edificio era stato ricavato giusto giusto levando il necessario riquadro di piante, ma per il resto il campo rimase per qualche anno ancora tutto costellato da quella incombente presenza vegetale. Tutti gli alberi parlano, quando le loro fronde stormiscono nel vento, ma il modo di parlare del pioppo è particolarmente elegante. La nuova casa era in questo modo spesso immersa in un armonico coro arboreo e potete immaginare cosa potesse significare tutto questo agli occhi perennemente meravigliati di un bambino.
E’ stato in virtù di tutti questi ricordi che ieri mattina, quando le motoseghe si sono alternate in una rapida sarabanda potatoria, riducendo nel giro di poche ore il grande pioppo di fronte a casa in un mucchio di trucioli e grossi ceppi, tutto ciò non è stato un evento qualsiasi. Pur sapendo che era necessario, per il pericolo che ormai, ad ogni nuovo violento temporale, la pianta rappresentava con la sua minacciosa mole, così prossima alla strada e alle case vicine, non poteva essere un fatto qualsiasi. Di pioppi belli ce ne saranno ancora tanti, tutto intorno qua, ma questo era il mio e in qualche modo la sua voce mi mancherà. Con la sua ombra mi ha salutato fedele ogni giorno, andando verso scuola alle elementari, tornando da scuola alle medie, sbiciclettando verso la corriera per andare in città, al liceo e poi ancora smacchinando verso l’università. I suoi sospiri si sono uniti ai miei nel profondo delle notti, rimettendo l’auto in garage di ritorno dalla discoteca, dove regolarmente non avevo beccato niente, se non qualche due di picche o platonici allupamenti.
Non dev’essere un caso allora nemmeno il fatto che pioppo in latino si dica “populus”. Un popolo al quale anche io un po’ mi sento di appartenere.
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Post Scriptum:
Pur essendo perfettamente consapevole della differenza fra flora (mondo vegetale) e fauna (mondo animale), non so come mai nel mio cranio alberga inveterato un ancestrale lapsus che mi fa confondere continuamente le due cose. Lo strano fenomeno si è verificato anche nel presente testo, in cui avevo scritto due o tre volte "faunistico" riferendomi però ovviamente al mondo vegetale. Ora ho corretto queste sviste con sinonimi o perifrasi all'uopo, ma volevo che restasse in ogni caso traccia del mio errore in queste due righe di precisazione, a beneficio di chi magari se ne fosse accorto prima della correzione.
A presto, a tutti!
7 commenti:
Non vale! stavolta mi hai commosso!
un saluto da cristina :=)
@->Cristina: eheheheh :-) nooooooooooooooooooooo :-) non sia mai che i miei scritti rechino lacrime al ciglio di una gentile donzella :-) Spero almeno sia stata una commozione simpatica e costruttiva :-)
Grazie per aver letto e partecipato, Cristina...il tuo commento mi ha lusingato molto.
Bacini faunistici :-)
@->Cristina: devo correggere anche i bacini, Cristina :-) non sono "faunistici", ma floreali :-)
Come ho scritto nel post scriptum, confondo spesso le due cose, pur sapendo benissimo qual è una, e quale l'altra :-) Anzi, sono stati proprio questi bacini che mi hanno fatto venire in mente il lapsus :-)
E dunque:
Bacini di gratitudine :-)
poco male! :=))
e comunque io sono un po' come Idefix, il cagnolino di Asterix che si arrabbia molto quando Obelix sradica gli alberi.
a presto
:=)
@->Cristina: eh, lo so, Cristina, è dispiaciuto molto anche a me, ma era diventato pericoloso nella posizione in cui stava, il taglio non era più rimandabile...ti consolerà forse il fatto che intorno a casa avrò almeno altri 50 alberi e lo spazio per metterne anche 100, volendo :-)
Ciao, bacini alberati :-)
eh sigh sigh, quando mi levano un albero anche se proprio proprio tocca farlo mi viene una senso di mancanza terribile... condoglianze per il pioppo
bacini a foglia
@->Farly: eh già, Farly, dispiace sempre tanto...l'importante però è che ce ne siano sempre migliaia di altri intorno, che continuano a dare ossigeno, verde, bellezza e ombra :-) e soprattutto l'importante è tenere rinnovato il popolo quando qualche individuo se ne va :-)
Bacini popolosi :-)
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