giovedì 6 dicembre 2012

L’androgino di Babele


Che i miti rappresentino tutt’altro che favolette innocue per bambini scemi, l’ho ribadito già in diverse occasioni. Nei miti sono custodite conoscenze molto remote, sia in senso cronologico, sia in termini interiori. Si tratta di una sapienza pre-filosofica e pre-razionale che merita ancora estrema attenzione da parte di noi moderni abitatori di un universo di senso prevalentemente fondato su orizzonti tecnico-scientifici.

Fra le “mancanze” umane più gravi, la cultura greca antica annovera un atteggiamento indicato con il termine «ubrij» (“hýbris”, se traslitterato in caratteri latini, da pronunciarsi: “hübris”). La traduzione letterale di “hýbris” non rende sufficiente giustizia alla profondità delle implicazioni concettuali di questa parola. Normalmente il termine viene reso in italiano con “tracotanza”, “arroganza”, “alterigia”. Ma andandolo a scandagliare con spirito d’indagine ermeneutico più raffinato, il termine “hýbris” si potrebbe tradurre con questa perifrasi: “tentativo di forzare la realtà ad essere qualcosa di diverso ed ulteriore (qualcosa di “snaturato”) rispetto alla propria essenza”.

I miti greci, in modo particolare quando passano attraverso il filtro della reinvenzione tragica,  sono pieni zeppi di episodi nei quali la via della “hýbris”viene praticata dagli uomini. L'esempio più clamoroso lo ritroviamo nel mito di Prometeo (lo scaltro “Pro – meteo”, ossia colui che riflette “per – tempo”, “prima”), che in varie versioni del racconto tenta di ingannare a più riprese gli dèi, rubando loro la “conoscenza” e venendo punito col celeberrimo supplizio del rodimento del fegato da parte di una vorace aquila, organo che prontamente ricresce all’infinito, per perpetuare la terribile punizione.

Non poche soddisfazioni dettate da “stupore epifanico” derivano quando, facendo considerazioni incrociate su miti derivanti da tradizioni culturali abbastanza diverse e distanti fra loro, si riescono a cogliere affascinanti similitudini. A proposito di Prometeo ad esempio, un certo parallelismo è possibile evidenziarlo con la vicenda biblica di Adamo ed Eva, segnatamente nel passo in cui i nostri imprudenti progenitori mangiarono della mela dell’albero della conoscenza. Per aggiungere solo una battuta, lascio in questo caso libera interpretazione al lettore riguardo a dove si debba andare a leggere il parallelismo del rodimento di fegato, fra le righe dello svolgimento delle vicende umane successive al rodimento vero e proprio della mela da parte degli sventati proto-nonni.

Un’altra significativa associazione fra narrazione biblica e mito greco mi è venuta da farla recentemente. Di certo molte altre voci più autorevoli della mia avranno già sottolineato questa affinità narrativa e di contenuti, ma almeno lasciatemi gustare la piccola soddisfazione di esser giunto alle considerazioni che vi vado ad esporre, percorrendo i sentieri di una mia elucubrazione autonoma.

C’entra ancora la “hýbris”. Anzi, forse è uno dei più eclatanti casi di manifestazione di “hýbris” rinvenibile in tutti i miti greci. Mi riferisco alla famosa figura dell’androgino (o ermafrodito), narrata da Aristofane nel «Simposio» di Platone. Avrete già sentito citare questo racconto in millanta occasioni. Vi chiedo la cortesia di ascoltarlo ancora una volta da me.

Questi ermafroditi erano una sorta di super-uomini delle origini. In loro si condensavano gli attributi fisici e caratteriali di due persone odierne: erano al contempo maschio e femmina, avevano quattro gambe ed altrettante braccia, doppi organi genitali (uno per genere), due volti e così via. Possedendo in sostanza otto arti, i raddoppiati super-avi dell’umanità  potevano muoversi molto rapidamente all’occorrenza, rotolando su gambe e braccia come fossero una palla e spostandosi ad alta velocità: «…Avevano una forza prodigiosa…» aggiunge Aristofane, «…nonché un’arroganza senza limiti, tanto che si misero in urto con gli dèi e quel che dice Omero […], che tentarono di scalare il cielo, va riferito a costoro…».

Giove e gli altri dèi, preoccupati per le mire espansionistiche degli arrampicanti androgini, si riunirono in consiglio per meditare sul da farsi. Al padrone di casa dell’Olimpo non sarebbe costato nulla lanciare un paio di lampi ben assestati, incenerendo quei prepotenti sul principio della loro scalata. Ma annientando gli uomini sarebbero venuti a mancare gli onori ed i sacrifici da essi tributati agli dèi (e sarebbe venuta a mancare loro anche una buona fonte di divertimento, aggiungo io...). Ecco allora che Zeus escogita una trovata decisiva per ridimensionare l’alterigia umana, pur senza estinguere la specie. Invia Apollo con l’incarico di tagliare di netto a metà gli androgini, di modo che tutto quanto avevano di doppio, se lo ritrovassero dimezzato, assumendo la foggia umana che ancora oggi ciascuno di noi si reca appresso. Apollo recideva a tutto spiano e da un singolo essere ne ricavava due. Ricomponeva poi il taglio e «...tirando la pelle, tutta verso quel punto che noi ora chiamiamo ventre, come chi fa per chiudere coi lacci una borsa, faceva una specie di groppo, che legava proprio in mezzo alla pancia, quello che noi chiamiamo ombelico...». Sempre per incarico di Zeus, a ciascuno dei nuovi singoli ottenuti ruotava nel contempo il viso di 180°, ossia rivolgendolo verso la parte del ventre, «...in modo che l’uomo, vedendosi sempre la sua spaccatura, diventasse più mansueto...».

Un’assonanza molto suggestiva con questo mito l’ho dunque rinvenuta nel racconto biblico, laddove si narra della torre di Babele. Anche in questo caso, gli uomini danno prova di grande arroganza, costruendo un edificio col quale minacciano di scalare il cielo. In similitudine col mito greco, la potenza “tracotante” che nell’androgino risiedeva nella sua unità di essere primigenio indiviso, nel caso del mito della torre di Babele viene trasferita all’elemento del linguaggio. L’umanità in possesso di un linguaggio universale unificato, nell’ambito dell’«economia del creato», rappresenta un fattore eccessivo di minaccia agli occhi di Dio, il quale considera: «...Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio delle loro imprese: nessuno potrà impedire tutto ciò che hanno meditato di fare...». Quali provvedimenti prende allora la divinità per affievolire l’usurpazione umana di ambiti che travalicano la sua essenza? Anche stavolta, entra in gioco una separazione, non fisica, ma comunicativa: «...Su, discendiamo e confondiamo la loro lingua, cosicché essi non comprendano più la lingua l’uno dell’altro...».

In apparenza le similitudini fra mito dell’androgino e torre di Babele finiscono qui. Ma a ben guardare, si possono afferrare ulteriori attinenze anche per quanto riguarda i rispettivi epiloghi di queste storie. Il mito greco si concludeva con queste parole: «...Da tempi remoti, quindi, è innato negli uomini il reciproco amore che li riconduce alle origini e che di due esseri cerca di farne uno solo, risanando, così, l’umana natura...».

Non succede forse un fenomeno simile anche con il linguaggio? Assieme all’inestinguibile sete di fusione esistenziale con un altro essere umano, ogni individuo non si porta dietro per tutta la propria esistenza una parallela sete di fusione linguistica con gli altri? O per dirla meglio: la pretesa di fusione esistenziale non passa anche attraverso la pretesa di fusione linguistica? Nel nostro “simile parlante” ci troviamo riflessi in misura maggiore di quanto non si possa verificare con chi utilizza una lingua straniera. E non mi riferisco solo al linguaggio inteso in senso stretto, letterale. Intendo, più in generale, ogni forma di linguaggio. Ciascuno di noi è sempre alla ricerca di chi parla e sa comprendere la propria stessa lingua. Due innamorati rinsaldano il loro legame con invenzioni linguistiche continue che vanno a costituire un proprio codice esclusivo. Lo stesso accade fra amici, oppure in altre cerchie affini sulla base di mille altre caratteristiche ed interessi comunicativi. Ogni gergo creato da gruppi di parlanti alla ricerca di quell’unità di linguaggio originaria, battezza nuove forme di complicità e di affinità elettiva fra individui.

E prima di concludere, cari amici viandanti per pensieri, vi lascio col poetico invito a compiere un delicato gesto simbolico. Date un’occhiata al vostro ombelico e vi accorgerete che in quel minimo incavo, oltre al ricordo della nostra remota condizione di essere completi, si può scorgere anche il riflesso in negativo di una piccola torre di Babele.

8 commenti:

Marisa ha detto...

Con i nostri canoni estetici l'uomo androgino (di Aristofane o Platone?) risulterebbe oggi un mostro di cui aver paura.
Inoltre un essere così arrogante non sarebbe mai stato soddisfatto della sua condizione per cui il seguito romantico che racconta di come queste creature private della loro metà avrebbero cercato per sempre il loro perduto amore è solo letteratura.
In verità qualcosa di cui essere scontenti lo si trova sempre :-)

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: ma sei terribile, Mari :-) non ti va mai bene niente!!! :-) ...scherzo...in effetti, una cosa che non ho detto è che i miti mi sono particolarmente simpatici anche perché ci puoi ironizzare su...loro non se la prendono, accettano ogni obiezione, non sono come le verità dogmatiche, così suscettibili e musone :-)

Altra cosa che non ho precisato, vero: allora, "Il simposio" è uno dei dialoghi platonici ed il suo contenuto riporta la conversazione di diversi pensatori e uomini di cultura intorno al tema dell'amore, a loro volta riuniti intorno ad una mensa festosa...il banchetto è offerto dal poeta tragico Agatone...sono invitati Socrate e il suo discepolo Aristodemo, il medico Erissimaco, il commediografo Aristofane, Pausania l'amante di Agatone e il suo amico Fedro...ognuno di loro, su invito di Erissimaco, terrà un discorso che ha per oggetto un elogio di Eros...

Il mito degli androgini nell'ambito dell'opera platonica, per l'appunto, è narrato da Aristofane...

E' vero, l'androgino oggi risulterebbe un mostro, ma due amanti allacciati nell'atto erotico percepiscono forse se stessi come mostri, in quell'attimo? :-) A parte questa estemporanea e un po' scherzosa osservazione, va detto che alla fine i miti non vanno mai presi troppo alla lettera...più che d'accordo invece sul fatto che intorno all'amore romantico, nel corso della storia, si è fatta una sopravvalutazione letteraria irragionevole...

Bacini androgini :-)

Marisa ha detto...

Che meraviglia quel simposio, ti immagini poter essere presenti ed ascoltare la voce di quei grandi pensatori?
Nel modo in cui tu l'hai raccontato mi è sembrato quasi di esserci.

e di rimando... Bacini erotici (ehehehehe)

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: proprio così, cara Mari, una festa così spettacolare credo che poi non si sia proprio più vista :-) Chissà, magari conoscendo un cugino in seconda di Agatone e dando la mancia ad un cameriere, si sarebbe potuto imbucarsi anche noi :-)

Altra cosa che non ho detto è che, ovviamente, il più bello, il più profondo, il più articolato e complesso fra i discorsi pronunciati fu quello di Socrate...tra l'altro "Il simposio" è una bellissima lettura che consiglio a tutti :-)

Grazie Mari :-)

Bacini a-eros-tatici :-)

MR ha detto...

Gilli, tu sei un mostro!!! Di preparazione, di cultura, di bravura. Mi lasci sempre più sbalordita per quanto sai. Ti invidio e ti ammirò tanto. Io il simposio di Platone lo lessi una ventina di anni fa, molto bello, davvero consigliato. I miti un po' mi confondono, e anche se ho comprato tanto materiale da leggere mi arrendo sempre :( baci mitici

Gillipixel ha detto...

@->Maria Rosaria: ehehehe, non mi sarei mai immaginato, cara EmRose, che sentirsi dare del mostro fosse così piacevole :-) Grazie, sei troppo gentile, come tuo solito...mi piace interessarmi di tante cose e poi fare delle shakerate di nozioni e vicende sentite, lette, ascoltate :-) alla fine, forse, so tante piccole cose, ma nessuna seriamente :-)

Non demordere coi tuoi libri e non demoralizzarti: prima o poi saranno loro a chiamarti per essere letti :-)

Bacini mostruosamente delicati :-)

ross ha detto...

" E Dio creava l'uomo a sua immagine,li creò maschio e femmina "
" Non è bene che l'uomo sia solo ,gli farò un aiuto a suo completamento.Dio fece cadere l'uomo in un profondo sonno e mentre dormiva prese una delle sue costole e chiuse la carne sul posto d'essa.E Dio edificava dalla costola che aveva preso dall'uomo ,una donna e la conduceva all'uomo"
Vorrei riflettere su questi 2 miti e vedere le somiglianze ... e differenze , la babele dei 2 miti

Gillipixel ha detto...

@->Ross: è vero, Ross, osservazione più che pertinente :-) la Bibbia è in un certo senso una Babele letteraria di per sé, perché si contraddice a raffica nel corso della sua narrazione, anche a distanza di poche pagine o righe...questo viene spiegato col fatto che nella Bibbia convergono diverse tradizioni di narrazioni tramandate, per cui la coerenza, per così dire, non è proprio il forte della Bibbia :-)

Ma ci sarà modo di sviscerare ancora questi ed ulteriori temi...grazie per il commento stimolante...

Bacini con galaverna :-)