Al di là delle varie strade che la nostra mente imbocca quando pensa, s’interroga, si confronta con la dimensione creativa nel suo farsi, al di là delle particolari specificazioni di linguaggio in quei casi intraprese, esiste, celata nella nostra essenza di esseri raziocinanti e senzienti, un substrato comune, capace di legare insieme tutte le diverse forme espressive di volta in volta messe in atto?
D’accordo, mi rendo conto di averla presa su per un verso eccessivamente intellettualardo…e si sa: tanto va l’intellettualardo, che ci lascia…ehm, diamoci un contegno. Dunque, cerco di porre in forma diversa la questione, circoscrivendola in tal modo: quando scriviamo e quando disegniamo, ci affidiamo a meccanismi mentali affini?
Ecco, non saprei rispondervi con certezza, ma un qualcosa di simile mi pare di averlo constatato dedicandomi alla realizzazione di qualche disegnetto, da abbinare ad alcuni miei scritti del passato. L'idea è quella (chissà quando, chissà se mai, magari un domani) di ricavarne una pubblicazioncella. In questo ipotetico libricino mi piacerebbe inserire una ventina di racconti, realizzati nel corso del tempo per il mio blog. Per ogni storiella (tutte scelte rigorosamente fra le più surreali), ho creato appunto una relativa immagine di “commento integrativo”, nel senso che ho cercato di illustrare lo spirito del racconto, magari arricchendolo con ingredienti figurativi non direttamente connessi a quanto si narra nel testo, ma pur sempre sintonizzati con l'atmosfera delle vicende tratteggiate.
Realizzando questi disegni, che inevitabilmente presentano venature fortemente surreali (dovendosi accordare a storie già strambe di per se stesse), mi sono accorto appunto di come il pensare finalizzato alla scrittura, risulti notevolmente imparentato al pensare finalizzato al disegno. Avendo io realizzato sia le storie, un po' di tempo fa, ed ora i disegni (pur sempre avvalendomi delle mie rudimentali capacità di disegnatore), ho provato nelle due circostanze sensazioni fra loro molto simili, tanto che mi è parso, durante il confezionamento di questi bozzetti grafici, di rivivere il “divertimento mentale” provato in occasione della scrittura dei testi relativi.
Insomma, ho capito che l'«andar per pensieri linguistico» ha molto a che vedere con l'«andar per pensieri grafico-illustrativo». La stessa gioia liberatoria di abbandonarsi alla follia di certi percorsi mentali quanto mai avulsi da esigenze strettamente razionali e logiche (nel limite della decenza, del “rispetto intellettuale” e di un minimo di comprensibilità, ovvio), la si può assaporare sia scrivendo, sia disegnando.
Questa affinità fra il pensare scritto e quello disegnato (per quanto sia faccenda piuttosto sfuggente) posso cercare di descriverla un po' con l'esempio del buffo disegno da me realizzato a commento di un vecchio raccontino, intitolato la «La topa di Munchausen». Per non sobbarcare l'onere di andarsi a rileggere tutto il testo a chi non ne avesse voglia, riassumo per sommi capi in cosa consisteva il tema di quella lontana storiella. All'epoca avevo acquistato appunto una “topa”: così viene familiarmente chiamato con espressione dialettale, dalle mie parti, il tipico colbacco in stile russo.
Quel copricapo, alquanto inusuale ed eccessivo per le mie latitudini, nella scala di valori dell'utilità immediata, occupava sicuramente una delle posizioni più basse, e mi offrì lo spunto per scrivere alcune divertite considerazioni riguardanti il meccanismo consumistico, spesso basato appunto sulla molla del “desiderare l'inutile”. Nel tempo stesso, tuttavia, non era mia intenzione avventurarmi in un'invettiva apocalittica e totalizzante contro la società dei consumi. La cosa, sostenuta da me che sono a mia volta un innegabile prodotto esistenziale di quella stessa società (già solo il computer su cui sto scrivendo ed il web usato per diffondere le mie parole, basterebbero a ricordamelo), sarebbe suonata piuttosto ipocrita, fasulla, e decisamente improntata ad un atteggiamento inutilmente manicheo. Le degenerazioni del consumismo sono soltanto la faccia offuscata di una medaglia che sull'altro suo verso riporta anche cose buone che vanno sotto il nome di benessere, prosperità, progresso materiale.
Riflettendo appunto su questi aspetti, mi venne allora in mente la figura del barone di Munchausen (protagonista di un'opera dello scrittore del Settecento tedesco, Rudolph Erich Raspe), il quale, fra le tante guasconate da lui raccontate, sosteneva di essersi cavato fuori da una palude in cui stava sprofondando, tirandosi da solo per il suo stesso codino. Mi sembrava l'immagine perfetta per metaforizzare l'atteggiamento del “critico apocalittico” del consumismo, ossia di colui che pretende di stigmatizzare, senza se e senza ma, tutta la complessità di un'epoca storica nella quale egli stesso ha vissuto e sta vivendo in pieno.
Questo era il succo introduttivo del mio testo, che poi evolveva in una faceta storiella, ispirata appunto più da un atteggiamento di ironico disincanto, che non dalla stroncatura dura e pura.
Nell'immagine che ho realizzato per quel raccontino, si vede invece come ho “trasposto” quei contenuti scritti, in contenuti disegnati. Ovviamente, come si potrà capire, non si è trattato di una semplice ed automatica “traduzione”. Il “fulcro iconografico” del disegno ruota sempre attorno alla presenza della “topa” (il colbacco), con tanto di riferimento al barone di Munchausen, rievocato attraverso un guanto, impegnato nella fatidica ed assurda operazione di tirarsi su da sé. Ma poi, per rendere l'idea di certe cavillosità assurde connesse al mondo dei consumi, di certe sue travolgenti illogicità, mi sono affidato ad altri spunti.
In pratica, mentre realizzavo il disegno, stava accadendo graficamente ciò che in precedenza era linguisticamente successo, quando confezionavo il testo. Quelle volte che mi metto a scrivere “andando per pensieri”, parto sempre da un’idea vaga e non meglio definita. Col tempo ho imparato che non ci si deve scoraggiare, né tale indefinitezza deve far paura più di tanto. La cosa da fare è invece molto semplice ed immediata: mettersi davanti alla tastiera (o magari prendere la penna in mano) e iniziare a scrivere. Dapprima si parte con in testa il solo nucleo dell’idea di base, ed anche se non è ancora ben definita, l’importante è iniziare a sminuzzarla per iscritto, a sgrossarla come fa lo scultore col blocco del suo materiale da lavorare. Mentre ci si addentra in questa operazione, ci si accorge di un piccolo miracolo: scrivendo, nascono nuove idee. E lo stesso mentre si crea un’immagine: disegnando, nascono nuove idee.
Ecco dunque che a partire dal primo abbozzo grafico della “topa” col guanto pseudo-settecentesco, che da sé si tira su, mi è scattata la molla mentale per andare a rendere ironicamente in immagine l’allegorica idea di certe perverse insensatezze introdotte da una “visione consumistica della realtà”. Mi piaceva far figurare la cosa rievocando quei buffi marchingegni che compaiono a volte nei cartoni animati, e dei quali Gatto Silvestro o Willy il Coyote sono gran “cerimonieri” ed esperti progettisti.
Il guanto è allora a sua volta infilato in una sorta di leva basculante, alla cui estremità è legato un filo che prende tutto a scorrere lungo una sequenza di pulegge, volani, carrucole, l’ultima delle quali termina con un fiammifero rotante come sua propaggine estrema, il quale è mosso dalla sgangherata forza cinetica di tutto il meccanismo. Il fiammifero viene colto proprio nell’attimo in cui il moto circolare ad esso impresso dall’ultima puleggia, lo costringe ad andarsi a sfregare contro un apposito piattello dal dorso “sgrattevole” e “scartavetrante”. Lo “sbraccio” della fiammella innescata dallo strusciamento è poi calcolato in modo da andare a lambire la miccia di una bomba (anch’essa resa nel modo “cartone-animatamente” più evocativo). La bomba è con gran sarcasmo calata a metà in una, “absit iniuria verbis”, tazza del cesso, lasciando così intuire le conseguenze non certo esaltanti che deriveranno dalla molto probabile deflagrazione.
La parte “pregiata” di tutta la composizione tuttavia, sta nel fatto che alla fine non si capisce bene se tutto questo assurdo movimento sia innescato in alto, dall’impercettibile sventolio nell’aria di quel cartellino richiamante una vaga allusione al mondo consumistico (la particolare deformazione dell’espressione nella versione “Li saldi”, si comprende poi leggendo il racconto), oppure se tutta la dinamica derivi “motu proprio” dall’abbrivio del guanto.
Insomma, cari amici viandanti per pensieri, per concludere: vi pare o non vi pare anche questa, seppur sul versante grafico stavolta, una gran gillipixata?
6 commenti:
Buona idea, o Hugo Pratt delle campagne tue, ma non originale: non l'ha già fatto qualcun altro nel "Piccolo principe"?
;-)
@->Occhi Blu: non saprei dirti, dear Oubee :-) a cosa ti riferisci in particolare nel Piccolo principe? Lo lessi anni fa, non ricordo molto i dettagli...e poi è uno di quei libri che mi strugge troppo...non sarei capace nemmeno di andarlo a rivedere, sul serio...non sopporterei l'eccesso di tenerezza che mi provoca...
Bacini sospesi :-)
anch'io lo lessi tanti tanti ma tanti anni fa; se non ricordo male ogni pagina aveva un disegno ...
@->Occhi Blu: aaahhh, ho capito, Oubee :-) pensavo che mi segnalassi una mia involontaria copiatura di tematiche :-) ma se è solo per quello, mi rassicuri :-)...credo sia una contaminazione espressiva lecita, anche se mille e una persona l'hanno già fatto prima di me :-)
Bacini mille e due :-)
Mio caro Gilli, secondo me la massima espressione allegorica del mondo consumistico è proprio il wc elegantemente tratteggiato da te.
Gilli, sei un genio!!! ahahahahaha
@->Marisa: ehehehhee, grazie, Mari :-) non so se sono proprio un genio, ma stavolta credo anche io di averla azzeccata alla grande :-)
Bacini allegorici :-)
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