"Un pensiero ogni qualche giorno"
3 - "Il vecchio indiano"
Il vecchio indiano pedala sulla sua bici da donna un po' retrò, tracciando una scia di solennità nel verde della campagna. Tiene sempre il busto ben eretto, sfoggiando un'impeccabile curva all'indietro della schiena, senza abbandonare mai l'ideale posizione del loto, anche stando sulla sella.
A incontrarlo nei tardi pomeriggi di agosto, stagliato in lontananza sul cuscinetto tremolante dell'afa, sembra di sentir risalire dai fossi ineffabili accordi di sitar, intervallati da colpi di gran tamburo, "deglutiti" fra le classiche sonorità della sua terra lontana.
Il cortocircuito trans-continentale, para-extra-dimensionale, si fa particolarmente raffinato, se l'incontro capita sul moncone di tangenzialina che non porta da nessuna parte. Qui le ragioni del planetario rimescolio culturale si confondono alla perfezione con la mancanza di ragioni dell'imperizia progettual-aleatoria urbanistico-brutal-burocratica.
Allora, il vecchio indiano sì che si manifesta come pura visione trasfigurata. Con la sua elegante pedalata cavallina, sotto il turbante scelto sempre fra i colori di una nobile vivacità, la gran bella barba bianca scolpita sul viso ieratico, il vecchio indiano trafora le dimensioni. Passa per il lungo, tutto quanto lo spazio e il tempo, come attraversasse il tunnel dell'amore universale.
E arrivati in fondo, assieme a lui, dove la tangenzialina senza scopi ti invita a dar la precedenza, sfociando sulla provinciale dalle dieci macchine al giorno, sembra quasi che dal segnale a triangolo ribaltato e rosso-bordato, il sorriso di John Lennon faccia capolino, d'intesa con la trasognata pedalata dell'imperturbile vecchio indiano, suo malgrado padanizzato, con ancora tanto Gange a fluire nel cuore.
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