Lo si sarà ormai capito alla grande, io sono uno che s’inventa le parole.
Non si dovrebbe fare, lo so. La scrittura è come un gioco, un bellissimo gioco. E come in tutti i giochi, ciascun contendente ha la facoltà di esprimersi al massimo della riuscita estetica, fin al momento in cui sappia attenersi alle regole che assegnano i confini stessi al significato ludico generale del contesto in cui si muove.
In questo senso, sono un baro quindi, gioco scorretto.
Ma lo faccio in buona fede, o almeno credo. E soprattutto lo faccio quasi inconsapevolmente. Nel senso che molte volte sono spinto a fabbricarmi dei neologismi “fatti in casa”, solamente per il fatto di appassionarmi talmente a talune tematiche affrontate, da non sembrarmi quasi vera la bellezza di poterle condividere con voi, cari amici viandanti per pensieri. Mi piace spingermi all’estremo di certi pensieri (spesso facendo non poca confusione, d’accordo…), in territori dello “sragionare” così inoltrati, che senza uno scafandro da palombaro semantico forgiato ad hoc per l’occasione, si rischierebbe di soffocare per la penuria di ossigeno concettuale contenuto nei vocaboli comunemente codificati.
Stavolta però volevo fare del mio stesso “giocare fuor dalle regole del gioco”, l’argomento del presente scribacchiamento. Ossia, vi propongo tre vocaboli creati per l’occasione, in maniera del tutto gratuita, giusto per il gusto di inventare parole. Per ora saranno solo tre, ma con le cose scritte oggi intendo inaugurare un piccolo vocabolario di neologismi gillipixiani, da incrementare magari nel tempo, di man in mano che me ne verranno in mente altri.
A volte un nuovo termine buffo può nascervi in zucca anche solamente giochicchiando a casaccio coi suoni di diverse parole, accostate in modo estemporaneo e insensato.
Proprio così mi è successo quando mi sono sentito crescere nella capoccia il seguente neologismo, del quale solo in un secondo momento son riuscito a cogliere un plausibile significato: “substinace”.
Substinace è un tizio con un carattere che sa esaltarsi nei pregi della tenacità, accrescendola col riverbero semantico-sonoro del suo essere anche pertinace.
Ma come mai anche il prefisso “sub”?
Un po’ perché altrimenti la parola stentava a reggersi in piedi (“Stinace” liscio mi cadeva un po’ sul davanti…), ma soprattutto perché la persona substinace sa dare il meglio della propria “persistenza emotiva”, nella sotterraneità di questo suo tratto caratteriale distintivo.
Il substinace è un “deciso nascosto”, è il classico buono che non si augurerebbe mai a nessuno di ritrovarsi davanti incazzato. Non so se vi siete mai visto «Cane di paglia», un film del 1971 di Sam Peckinpah, con Dustin Hoffman: beh, se vi capiterà di vederlo, non ci sarà migliore modo di cogliere il significato di un carattere substinace, se non considerando il personaggio interpretato dal buon Dustin.
La seconda parola fatta in casa che tratterò, mi è molto cara. L’ho inventata solo qualche minuto fa, ma già mi ci sono affezionato. In modo particolare perché sono affezionato all’oggetto-soggetto che da tale termine è vocabolariamente “dipinto”.
Qui devo però fare umile atto d’ammenda anticipato con le gentili lettrici: spero proprio che la parola non suoni carica di certe sfumature vetero-maschiliste, ormai esauste come l’olio. Intendetela invece come espressione coniata da un cultore “sineddottico”, da un estimatore della “parte per il tutto”.
“Sedeureolata” è la parola, un aggettivo detto di signora, o signorina, particolarmente fornita di qualità e quantità posteriori. Ci sono donne che recano con sé un didietro quasi intriso di un’aura profetica, tali e tante sono le emozioni che sa suscitare nell’animo di chi è assiso sull’opposta riva erotica. Quasi parla, quel benedetto rotore binato di morbide sfere, quel soffice e fessurato cuscino consolatore del viril travaglio esistenziale. Ecco, per tutti questi casi, si può dire di quella donna che trattasi di leggiadra creatura sedeureolata.
E veniamo ora a concludere con l’ultimo vocabolo di oggi, che vi offro in omaggio per servirvene nelle occasioni in cui vi occorresse un giudizio negativo incisivo, ma elegante, da affibbiare a qualche individuo rozzo e poco gradito, in genere non particolarmente dotato di grande acume. Se un tizio così vi capiterà fra i piedi, procurandovi per giunta non poco fastidio, lo potrete dunque definire tranquillamente “idiotalpico”, che immagino non vi sbaglierete di molto.
L’idiotalpico non è un idiota comune: è un idiota con l’aggravante di una miopia che rasenta la cecità, anche di fronte alle questioni più scontate. Con tutto il rispetto per la talpa, simpatico animaletto dal quale mutuo solamente la sua caratteristica fisica più nota e proverbiale, astenendomi assolutamente dal reputargli qualità o de-qualificazioni umane che assolutamente non la riguardano.
Nella speranza che i miei neologismi vi abbiano arrecato due minuti di sorrisi e qualche secondo di destabilizzazione mentale, a questo punto, cari amici viandanti per pensieri, vi saluto, perché anche per oggi è giunto il momento di dirvi: that’s all folks!!!
Non si dovrebbe fare, lo so. La scrittura è come un gioco, un bellissimo gioco. E come in tutti i giochi, ciascun contendente ha la facoltà di esprimersi al massimo della riuscita estetica, fin al momento in cui sappia attenersi alle regole che assegnano i confini stessi al significato ludico generale del contesto in cui si muove.
In questo senso, sono un baro quindi, gioco scorretto.
Ma lo faccio in buona fede, o almeno credo. E soprattutto lo faccio quasi inconsapevolmente. Nel senso che molte volte sono spinto a fabbricarmi dei neologismi “fatti in casa”, solamente per il fatto di appassionarmi talmente a talune tematiche affrontate, da non sembrarmi quasi vera la bellezza di poterle condividere con voi, cari amici viandanti per pensieri. Mi piace spingermi all’estremo di certi pensieri (spesso facendo non poca confusione, d’accordo…), in territori dello “sragionare” così inoltrati, che senza uno scafandro da palombaro semantico forgiato ad hoc per l’occasione, si rischierebbe di soffocare per la penuria di ossigeno concettuale contenuto nei vocaboli comunemente codificati.
Stavolta però volevo fare del mio stesso “giocare fuor dalle regole del gioco”, l’argomento del presente scribacchiamento. Ossia, vi propongo tre vocaboli creati per l’occasione, in maniera del tutto gratuita, giusto per il gusto di inventare parole. Per ora saranno solo tre, ma con le cose scritte oggi intendo inaugurare un piccolo vocabolario di neologismi gillipixiani, da incrementare magari nel tempo, di man in mano che me ne verranno in mente altri.
A volte un nuovo termine buffo può nascervi in zucca anche solamente giochicchiando a casaccio coi suoni di diverse parole, accostate in modo estemporaneo e insensato.
Proprio così mi è successo quando mi sono sentito crescere nella capoccia il seguente neologismo, del quale solo in un secondo momento son riuscito a cogliere un plausibile significato: “substinace”.
Substinace è un tizio con un carattere che sa esaltarsi nei pregi della tenacità, accrescendola col riverbero semantico-sonoro del suo essere anche pertinace.
Ma come mai anche il prefisso “sub”?
Un po’ perché altrimenti la parola stentava a reggersi in piedi (“Stinace” liscio mi cadeva un po’ sul davanti…), ma soprattutto perché la persona substinace sa dare il meglio della propria “persistenza emotiva”, nella sotterraneità di questo suo tratto caratteriale distintivo.
Il substinace è un “deciso nascosto”, è il classico buono che non si augurerebbe mai a nessuno di ritrovarsi davanti incazzato. Non so se vi siete mai visto «Cane di paglia», un film del 1971 di Sam Peckinpah, con Dustin Hoffman: beh, se vi capiterà di vederlo, non ci sarà migliore modo di cogliere il significato di un carattere substinace, se non considerando il personaggio interpretato dal buon Dustin.
La seconda parola fatta in casa che tratterò, mi è molto cara. L’ho inventata solo qualche minuto fa, ma già mi ci sono affezionato. In modo particolare perché sono affezionato all’oggetto-soggetto che da tale termine è vocabolariamente “dipinto”.
Qui devo però fare umile atto d’ammenda anticipato con le gentili lettrici: spero proprio che la parola non suoni carica di certe sfumature vetero-maschiliste, ormai esauste come l’olio. Intendetela invece come espressione coniata da un cultore “sineddottico”, da un estimatore della “parte per il tutto”.
“Sedeureolata” è la parola, un aggettivo detto di signora, o signorina, particolarmente fornita di qualità e quantità posteriori. Ci sono donne che recano con sé un didietro quasi intriso di un’aura profetica, tali e tante sono le emozioni che sa suscitare nell’animo di chi è assiso sull’opposta riva erotica. Quasi parla, quel benedetto rotore binato di morbide sfere, quel soffice e fessurato cuscino consolatore del viril travaglio esistenziale. Ecco, per tutti questi casi, si può dire di quella donna che trattasi di leggiadra creatura sedeureolata.
E veniamo ora a concludere con l’ultimo vocabolo di oggi, che vi offro in omaggio per servirvene nelle occasioni in cui vi occorresse un giudizio negativo incisivo, ma elegante, da affibbiare a qualche individuo rozzo e poco gradito, in genere non particolarmente dotato di grande acume. Se un tizio così vi capiterà fra i piedi, procurandovi per giunta non poco fastidio, lo potrete dunque definire tranquillamente “idiotalpico”, che immagino non vi sbaglierete di molto.
L’idiotalpico non è un idiota comune: è un idiota con l’aggravante di una miopia che rasenta la cecità, anche di fronte alle questioni più scontate. Con tutto il rispetto per la talpa, simpatico animaletto dal quale mutuo solamente la sua caratteristica fisica più nota e proverbiale, astenendomi assolutamente dal reputargli qualità o de-qualificazioni umane che assolutamente non la riguardano.
Nella speranza che i miei neologismi vi abbiano arrecato due minuti di sorrisi e qualche secondo di destabilizzazione mentale, a questo punto, cari amici viandanti per pensieri, vi saluto, perché anche per oggi è giunto il momento di dirvi: that’s all folks!!!