“…Why should I care
If I have to cut my hair?...”
The Who - 1973
Stamattina mi son detto: voglio superare me stesso! Qual è la cosa più inutile, oziosa, minoritaria, marginale, essenzialmente fondata sul nulla assoluto, di cui io possa scrivere?
Detto, fatto: sono i goccioloni sulle verze!
Se qualcuno mai riuscirà a parlare di un tema più vacuo di questo, beh, lo vorrei proprio conoscere. Perché in quel caso, signori miei, ci troveremo al cospetto di un genio supremo.
Il fenomeno dei super agglomerati idrici diffusi sulla superficie fogliare della “brassica oleracea” (per gli amici: “verza”; per i più intimi ancora: “cavolo”) mi affascina ormai da un po’ di tempo. Sempre in virtù della mia spiccata propensione alla socialità in genere, che mi porta ad entrare maggiormente in confidenza con una verza di quanto non riesca a fare con un umano, ho osservato spesso questa manifestazione della natura tanto inessenziale quanto ricca di una sua piccola dose di defilata spettacolarità.
L’evento si verifica di preferenza sulla verza giovane. Bisogna infatti essere ancora lontani dalla formazione del tipico bozzolo cavoloso della verza matura, ed il vegetale deve presentarsi con le sue ampie foglie verde cupo belle distese. In questa fase, i nostri esemplari offrono al cielo giuste giuste le fattezze di piccoli ombrelli bene aperti, pronti a ricevere l’alternanza vivifica di raggi solari e di scrosci piovani, che sono la benedizione del loro successivo arruffamento nel delizioso panetto a palla, di cui i buongustai vanno ghiotti.
Ed è proprio con la complicità della pioggia, che il piccolo portento di cui vi voglio parlare, si concretizza. Se si tratta di un bel temporale, tanto meglio, oppure credo che basti anche una bella rigorosa rugiada come si deve, ma fatto sta che dopo il suo confronto con una qualche circostanza acquea di rilievo, potete ammirare la vostra rigogliosa verza impreziosita da una spruzzata di meravigliosi goccioloni obesi.
Ora qui s’impone di riflettere sulla questione della goccia. La goccia in natura, la possiamo considerare come una sorta di chimera evanescente quanto mai. Di gocce ne parliamo spesso, soprattutto a livello metaforico, in tantissimi dei nostri ragionamenti quotidiani. Ma in effetti sono pochissime le circostanze in cui ci siamo ritrovati a poter osservare, con nostro ampio agio, una goccia d’acqua ben formata, fermata e stabilizzata nello spazio e nel tempo.
Per fare alcuni esempi, le gocce di pioggia sono innumerevoli e di mille fogge, ma non si possono guardare attentamente con la calma sufficiente, perché tempo che l’occhio le catturi, son già belle e che fracassate al suolo. Le gocce di sudore, altresì, sono più addomesticabili dall’occhio, ma complice la superficie cutanea, si sfaldano presto, si diramano nelle mille strade di rivoli dettati dalle curve e dalle pieghe del corpo, perdendo ad ogni mm. del loro cammino-scia sempre più volume e consistenza.
Ecco dunque che la verza si prefigura come validissimo alleato nella non comune impresa dell’osservazione delle altrimenti fuggevoli gocce acquee. E che signore gocce, mi viene da dire!
Tutto si gioca, da quanto ho capito, sulle proprietà speciali che può vantare proprio la superficie delle foglie. L’impermeabilità di cui la verza può andare fiera è qualcosa di eccezionale. Ho provato poi anche a simulare il fenomeno versando sopra al soggetto una scodella d’acqua, tanto per vedere cosa succedeva, ed ho potuto assistere alla nascita in diretta di decine e decine di gocce perfette. Peccato però che riproducendo artificialmente il meccanismo, le gocce non si fermino. Anzi, dovevate vederle: scorrono via rapide dal mantello verzale con la stessa celerità di un nugolo di impiegati ed operai pendolari scesi da un treno alla stazione Cadorna di Milano nell’ora di punta.
Non è così facile infatti per la massa acquea trovare appigli lungo il super sofisticato tessuto da cui è formata quella serica cute cavolesca, quella sorta di Verzetex (©) che dovrebbe essere oggetto di studio scientifico al fine si sostituire l’ormai obsoleto Goretex.
Per questo è ancor più stupefacente lo spettacolo che si presenta dopo una bella pioggia abbondante. Chissà quali equilibri si sono giocati fra verza e Giove Pluvio, chissà quali compromessi fra goccia e foglia, quali accordi segreti di attriti e scivolamenti si sono stabiliti per contratto naturale, tanto da fare addensare una sequela di goccioloni tali.
Sono gocce grasse e rigogliose quelle che potete ammirare, belle incurvate nel punto di contatto fra la foglia ed il loro perimetro di base, divenuto quasi una sorta di ampio piedone placido posato indolente sul verde. Sembrano perle di varie misure, eleganti nella loro superficie tesa quasi al limite dell’infrangersi in un rivoletto improvviso, che però viene tenuto in sospensione costante. S’imbevono della luce e te la rimandano amplificata, com’è proprio della loro natura di effimeri diamanti tondeggianti. Sono sensuali e donano allo sguardo una sotterranea soddisfazione gioiosa, come accade con tutti i fenomeni naturali ricchi di curve ed abbondanza.
La bellezza dei goccioloni verzali sta quindi tutta in questo gioco di sottilissimi equilibri fra aria, acqua e flora, in grado di dar vita ad un fascino precario nella sua pur circoscritta stabilità.
Il sole infatti presto esigerà il suo tributo, richiamando verso il cielo, con un graduale svaporare, la loro luce che gli appartiene. Ma nel frattempo forse qualche occhio sfaccendato, non avendo per sua fortuna impegni più impellenti da onorare, si sarà ben pasciuto di quella piccola e fugace meraviglia.
If I have to cut my hair?...”
The Who - 1973
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Stamattina mi son detto: voglio superare me stesso! Qual è la cosa più inutile, oziosa, minoritaria, marginale, essenzialmente fondata sul nulla assoluto, di cui io possa scrivere?
Detto, fatto: sono i goccioloni sulle verze!
Se qualcuno mai riuscirà a parlare di un tema più vacuo di questo, beh, lo vorrei proprio conoscere. Perché in quel caso, signori miei, ci troveremo al cospetto di un genio supremo.
Il fenomeno dei super agglomerati idrici diffusi sulla superficie fogliare della “brassica oleracea” (per gli amici: “verza”; per i più intimi ancora: “cavolo”) mi affascina ormai da un po’ di tempo. Sempre in virtù della mia spiccata propensione alla socialità in genere, che mi porta ad entrare maggiormente in confidenza con una verza di quanto non riesca a fare con un umano, ho osservato spesso questa manifestazione della natura tanto inessenziale quanto ricca di una sua piccola dose di defilata spettacolarità.
L’evento si verifica di preferenza sulla verza giovane. Bisogna infatti essere ancora lontani dalla formazione del tipico bozzolo cavoloso della verza matura, ed il vegetale deve presentarsi con le sue ampie foglie verde cupo belle distese. In questa fase, i nostri esemplari offrono al cielo giuste giuste le fattezze di piccoli ombrelli bene aperti, pronti a ricevere l’alternanza vivifica di raggi solari e di scrosci piovani, che sono la benedizione del loro successivo arruffamento nel delizioso panetto a palla, di cui i buongustai vanno ghiotti.
Ed è proprio con la complicità della pioggia, che il piccolo portento di cui vi voglio parlare, si concretizza. Se si tratta di un bel temporale, tanto meglio, oppure credo che basti anche una bella rigorosa rugiada come si deve, ma fatto sta che dopo il suo confronto con una qualche circostanza acquea di rilievo, potete ammirare la vostra rigogliosa verza impreziosita da una spruzzata di meravigliosi goccioloni obesi.
Ora qui s’impone di riflettere sulla questione della goccia. La goccia in natura, la possiamo considerare come una sorta di chimera evanescente quanto mai. Di gocce ne parliamo spesso, soprattutto a livello metaforico, in tantissimi dei nostri ragionamenti quotidiani. Ma in effetti sono pochissime le circostanze in cui ci siamo ritrovati a poter osservare, con nostro ampio agio, una goccia d’acqua ben formata, fermata e stabilizzata nello spazio e nel tempo.
Per fare alcuni esempi, le gocce di pioggia sono innumerevoli e di mille fogge, ma non si possono guardare attentamente con la calma sufficiente, perché tempo che l’occhio le catturi, son già belle e che fracassate al suolo. Le gocce di sudore, altresì, sono più addomesticabili dall’occhio, ma complice la superficie cutanea, si sfaldano presto, si diramano nelle mille strade di rivoli dettati dalle curve e dalle pieghe del corpo, perdendo ad ogni mm. del loro cammino-scia sempre più volume e consistenza.
Ecco dunque che la verza si prefigura come validissimo alleato nella non comune impresa dell’osservazione delle altrimenti fuggevoli gocce acquee. E che signore gocce, mi viene da dire!
Tutto si gioca, da quanto ho capito, sulle proprietà speciali che può vantare proprio la superficie delle foglie. L’impermeabilità di cui la verza può andare fiera è qualcosa di eccezionale. Ho provato poi anche a simulare il fenomeno versando sopra al soggetto una scodella d’acqua, tanto per vedere cosa succedeva, ed ho potuto assistere alla nascita in diretta di decine e decine di gocce perfette. Peccato però che riproducendo artificialmente il meccanismo, le gocce non si fermino. Anzi, dovevate vederle: scorrono via rapide dal mantello verzale con la stessa celerità di un nugolo di impiegati ed operai pendolari scesi da un treno alla stazione Cadorna di Milano nell’ora di punta.
Non è così facile infatti per la massa acquea trovare appigli lungo il super sofisticato tessuto da cui è formata quella serica cute cavolesca, quella sorta di Verzetex (©) che dovrebbe essere oggetto di studio scientifico al fine si sostituire l’ormai obsoleto Goretex.
Per questo è ancor più stupefacente lo spettacolo che si presenta dopo una bella pioggia abbondante. Chissà quali equilibri si sono giocati fra verza e Giove Pluvio, chissà quali compromessi fra goccia e foglia, quali accordi segreti di attriti e scivolamenti si sono stabiliti per contratto naturale, tanto da fare addensare una sequela di goccioloni tali.
Sono gocce grasse e rigogliose quelle che potete ammirare, belle incurvate nel punto di contatto fra la foglia ed il loro perimetro di base, divenuto quasi una sorta di ampio piedone placido posato indolente sul verde. Sembrano perle di varie misure, eleganti nella loro superficie tesa quasi al limite dell’infrangersi in un rivoletto improvviso, che però viene tenuto in sospensione costante. S’imbevono della luce e te la rimandano amplificata, com’è proprio della loro natura di effimeri diamanti tondeggianti. Sono sensuali e donano allo sguardo una sotterranea soddisfazione gioiosa, come accade con tutti i fenomeni naturali ricchi di curve ed abbondanza.
La bellezza dei goccioloni verzali sta quindi tutta in questo gioco di sottilissimi equilibri fra aria, acqua e flora, in grado di dar vita ad un fascino precario nella sua pur circoscritta stabilità.
Il sole infatti presto esigerà il suo tributo, richiamando verso il cielo, con un graduale svaporare, la loro luce che gli appartiene. Ma nel frattempo forse qualche occhio sfaccendato, non avendo per sua fortuna impegni più impellenti da onorare, si sarà ben pasciuto di quella piccola e fugace meraviglia.
6 commenti:
Ma che bello! :-)
@->Rosa: ma grazie, Rose :-) è sempre un privilegio suscitare senso di bellezza in una persona bella come te :-)
Hai ufficialmente lanciato il "post-modernismo botanico"
Sei il Derrida della verza, e infatti a meta' come mi capita con Derrida ho avuto un capogiro.
:-)
E' bello Gilli.
:-)
@->Yossarian: ahahahhaha :-) grazie mille, Yoss, sono onorato dalle tue bellissime parole :-)
Il "Derrida della verza" è uno dei complimenti più belli che ho ricevuto in vita mia :-) Lo metto nel curriculum senza dubbio! Come prima voce assoluta:
"Inclinazioni naturali: Derrida della verza" :-)
Ciao Yoss, sei sempre di una gentilezza squisita :-)
che bella la verza vagamente proustiana, densa di baluginii luminosi mentre il sole si riflette sulle gocce... :-)
@->Farly: sapevo che anche la metà primaria della chimera avrebbe apprezzato la venustà verzale :-)
Bacini a gocce riflesse :-)
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