sabato 6 novembre 2010

Il cacciatore di unicità


“...Whistling men in yellow vans
They came and drew us diagrams
Showed us how it all worked it out
And wrote it down in case of doubt...”

Build
The Housemartins- 1987

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C’è una scena del film «Il cacciatore» («The deer hunter», Michael Cimino 1978) che mi ha sempre impressionato per il suo forte “simbolismo”.
Pur essendo questo film ricchissimo di scene memorabili, non mi sento di esagerare se dico che la scena in questione è la più importante di tutta la storia narrata (poi sono pronto alle smentite di chiunque, in proposito, ma questo è un altro discorso).
Più che di una singola scena, si tratta di una “sequenza tematica”, per così dire, ripetuta tra l'altro un paio o tre volte nel corso del film. Per “sequenza tematica” intendo un nucleo di immagini caratterizzato da una forte carica di espressività e di significati coinvolti.

Il film (per chi non lo conoscesse) narra le vicende di un gruppo di amici americani, figli di immigrati russi, operai in un acciaieria di Pittsburgh tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70. La guerra del Vietnam incombe sui giovani e i drammatici eventi che coinvolgeranno i protagonisti sono letteralmente scissi fra il tragico scenario bellico asiatico e la quotidianità della provincia USA nella quale sono cresciuti.

Il gruppo di amici ha in comune anche una grande passione: la caccia al cervo (da cui il titolo originale del film). Una battuta di caccia al cervo sottolinea diversi momenti cruciali della narrazione: prima di partire per la guerra, ma anche in occasione di una licenza (se non ricordo male...) ed infine dopo il congedo finale dall'esercito.

Il leader “morale” del gruppo è Mike (interpretato da Robert De Niro). Mentre tutti gli altri amici sono rappresentati come figure comuni, tipici “americani medi” (qualsiasi cosa questo possa significare...), Mike viene raccontato come personaggio quasi investito da un non meglio precisato incarico “fatale” di compiere una “missione”.
Mike si distingue dagli amici anche nella considerazione che ha della caccia. Se per gli altri è poco più di un divertimento, per Mike si trasforma in un rituale (tra l'altro, tutta la figura di Mike, grazie all'interpretazione magistrale di De Niro, è ammantata da una sorta di “aura sacrale”).

Nucleo principale del rito di caccia di Mike è la regola di concedersi solo una pallottola per colpire il cervo. Gli amici, nella loro semplicità caratteriale, utilizzano lo strumento moderno nel pieno delle sue potenzialità: se il fucile ha più colpi, a loro pare scontato utilizzarli tutti. Per Mike invece no: il suo motto all'inizio di ogni battuta è «un colpo solo».

Ho sempre interpretato la scelta d'inserire questo particolare nel racconto, come un inno alla lealtà pura. Mike si confronta con l'animale col maggior rispetto possibile, con la riverenza quasi religiosa dovuta ad una realtà vasta e misteriosa qual è il contorno naturale in cui le nostre vite sono calate.

Certo, fra i significati del rito del «colpo solo», c'è anche questa sfumatura. Anzi, senza dubbio è quella che s'impone con più evidenza. Ma è stato solo ripensando di recente a quella scena, fortuitamente incrociandola con differenti considerazioni riguardanti un altro film, all'apparenza del tutto slegate dal discorso, che un'altra più sottile chiave d'interpretazione mi si è fatta chiara alla mente.

L'altro film a cui mi riferisco è «Alien». Parlo esclusivamente del primo episodio della saga, anche se, in virtù di ciò che vi sto per dire, per mio conto è assolutamente inutile parlare sia di episodio, sia di saga. Non temo infatti di sfidare addirittura le leggi grammatico-gravitazionali, affermando che per me “i film di «Alien» è uno solo”, il primo, con la regia di Ridley Scott (1979).
So che ci sarà fra di voi, cari amici viandanti per pensieri, chi storcerà il naso, chi dirà che anche il secondo («Aliens – Scontro finale» di James Cameron, del 1986) non è male, e pure gli altri sono accettabili. Non è mia intenzione di mettermi qui a criticare il diritto Hollywoodiano ai sequel, né sollevare questioni cinematografiche particolarmente complesse.

Il riferimento ad «Alien» mi serve invece solo per parlare dell'«unicità» (partendo da un esempio banale, se si vuole...). Ve lo confesso, autorizzandovi automaticamente anche all'insulto senza ritegno: io gli episodi successivi di «Alien» non li ho nemmeno visti, se non giusto qualche scena. L'incoerenza del mio discorso è notevole, ma il punto è un altro: «Alien» di Ridley Scott è un film perfetto nella sua unicità, da un punto di vista estetico-emotivo è propriamente “conchiuso”. Non c'era niente da dire, né da fare vedere in più.

Ripeto: mentre affermo queste apparenti contraddizioni, non mi interessa l'analisi cinematografica più strettamente intesa (in quella potrei avere torto, ve lo concedo: magari mi potrà capitare di vedere anche i sequel di «Alien», trovandoci del buono pure in quelli...).
Quello che mi interessa invece, il punto nodale del ragionamento, è un parallelo con le cose della vita.
Nostro “crudele ed estatico” destino è ritrovarci perennemente ad avere a che fare con le «unicità». I momenti sono unici nella loro drammaticità, così come lo sono nella loro bellezza.
Non c'è ripetibilità.
Per questo «Alien» di Ridley Scott, nella sua compiutezza formale e narrativa (a mio avviso perfette), non può avere sequel. Non perché questi non possano essere altrettanto degne opere filmiche, ma molto più semplicemente perché sono “un'altra cosa” rispetto a quella perfezione prima, che rimane per sempre fissata nella sua architettura estetica completa ed autosufficiente.

Ecco allora che a questo punto rientra in scena il «colpo solo» di Mike, nel «Cacciatore» di Cimino. Al di là dell'eterna, già omerica e “melvilleiana”, sfida fra l'uomo e la natura, quel «colpo solo» intende cogliere la paradossale composizione dell'esperienza umana, fatta di singolarità irripetibili, ma pur sempre accumulate in una qualche forma di sapienza.

Quante volte abbiamo tentato di ricreare l'atmosfera rara di un momento, vissuto con amici o con le persone alle quali più vogliamo bene. Ci siamo premurati di fare in modo che fossero lo stesso posto, le stesse condizioni, lo stesso periodo dell'anno, gli stessi “ingredienti” di contorno.
Mai l'incanto di quella singolare volta si è più ripetuto.
Magari un altro tipo di magia sarà pronto dietro l'angolo, a sbucare fuori in un altro contesto, alla prima inaspettata occasione. Ma sarà sempre un'altra cosa.
Invece quella “roba là” rimarrà fissata nella sua sospensione “spazio-temporale” perfetta e definita per sempre.

Ecco perché, per vincere il “duello” col cervo, puoi contare ogni volta su di «un colpo solo». Magari lasciandolo alla fine in canna e concedendo scampo all'animale, come sceglie di fare Mike nell'epilogo del film.

Il «colpo solo» di “Mike-De Niro” ci svela così che la gioia e la malinconia sono due facce della stessa medaglia, due capi della stessa corda. L'attimo d'incanto ci colma ad un tempo la bocca dell'ineffabile sapore di una felicità che subito è pronta a sfumare nel retrogusto di una fuggevole irrimediabilità.
L'esperienza umana è fatta di infiniti «colpi soli», che alla fine vanno ad intessere la trama, paradossalmente ripetuta ad intreccio, della vita di ciascuno.



6 commenti:

farlocca farlocchissima ha detto...

zen cinematografico :-)

anche il tuo post è un attimo (su di una particolare scala temporale tutta gillypixiana), una pausa di un istante nello scorrere delle ore

baci meditabondi

Ps pensa alla proposta libresca ;-)

Lara ha detto...

Che bello ritrovarti, Gillipixiel!
E soprattutto leggerti.
Stupenda questa tua rilessione di due film accomunati da "un colpo solo", dalla unicità.
Considerazioni che ammiro profondamente.
Grazie!

Gillipixel ha detto...

@->Farly: a volte me lo domando, cara Farly: chissà come mai, un gattaccio randagio delle pianure italiche del nord, si ritrova spesso in sintonia con lo spirito zen? :-)
Dev'essere il lambrusco che trinco ad aprirmi "la Via" :-)

Bacini libreschi progettuali :-)

Gillipixel ha detto...

@->Lara: anche per me è un piacere delizioso tornare a leggere il tuo blog, cara Lara...guardavo spesso sul mio elenco di blog, il titolo del tuo fermo al Ntale scorso, e mi dicevo che era un peccato...però sapevo che saresti tornata, ci spravo tanto...ho pazientato e infatti non mi sbagliavo :-)
Grazie :-)

Bacini di ben ritrovata :-)

Lara ha detto...

Scusa, ho sbagliato il tuo nome, mettendo una "i" in più, Gillipixel.
Chiedo venia :))

Gillipixel ha detto...

@->Lara: figurati, Lara: no problem :-)