Vi avevo promesso Lucio Fontana, e Lucio Fontana sia.
Come mai la mia nuova rubrica «Piccole sbrodolate d’arte sulla camicia» inizia proprio da questo artista? Ve lo confesso: ho aperto a caso il quarto volume della storia dell’arte dell’Argan e ho beccato il primo tema sbucato fuori, che era appunto un capitoletto (breve, ma significativo e molto intenso, come capita sempre con la prosa di Argan), riguardante l’artista delle tele tagliate.
Ma siccome le cose fatte a caso sono spesso le migliori, non viene neanche male partire da Fontana, perché mi offre lo spunto di introdurre già diversi importanti concetti sull’arte in generale, su quella moderna in particolare, e sul confronto fra le due.
Mi concentro sulle tele tagliate, che sono le creazioni per le quali Fontana è maggiormente conosciuto e rappresentano anche la classica opera moderna che fa esclamare lo scettico: «…E beh? Ma sarà mica arte questa? Son capace anch’io di fare una roba del genere…». Ecco: come dare torto allo scettico? Ma proviamo ad andare per ordine e vedere se si può dire qualcosa di più. Mi affido a Giulio Carlo Argan, per partire.
Argan richiama la nostra attenzione sul piano, sulla superficie bidimensionale: per secoli è stata (e continua ad essere tutt’oggi) la dimensione privilegiata della finzione pittorica. Già: non so se ci avete mai riflettuto sopra, ma la pittura è intrinsecamente “menzognera”. L’azione dell’artista che col disegno e i colori cerca di “comprimere” un mondo a tre dimensioni fisiche, sulle due risicate dimensioni di una tela, si può senz’altro chiamare un “inganno concordato”.
C’è un patto stretto tra l’artista e chi osserverà la sua opera: si sono accordati sulla riduzione del loro discorso alla bidimensionalità, che diviene il linguaggio convenzionale del loro dialogo.
Ora, come s’inquadra in questo discorso la scelta di Fontana di tagliare le tele? L’intenzionalità che c’è dietro quei tagli, sta nell’azzeramento di secoli di finzione: aprendo un varco sulla superficie della tela, Fontana ristabilisce il naturale contatto fra lo spazio che sta davanti e quello che sta dietro di essa. Torna in questo modo a rendere allo spazio tutti i meriti che gli competono, risarcisce la tridimensionalità di secoli di “compressione” innaturale. Ridona allo spazio il suo “continuum naturale”, sfondando la membrana della pittura che per secoli l’ha interrotto. Non a caso, tutte le tele con tagli di Fontana hanno titoli nei quali ricorre sempre l’espressione “concetto spaziale”.
Il senso dei tagli di Fontana sta dunque nella demolizione di una finzione espressiva secolare, e al riguardo, Argan chiosa: «…distruggere una finzione significa recuperare una verità…».
A questo punto, mi pare di risentire lo scettico di prima, che torna alla carica: «…Ah…però! Visti in questa prospettiva, ‘sti tagli non fanno poi così schifo…ma mi rimane sempre un grosso dubbio: gli artisti del passato non c’era bisogno che me li spiegassero. Con questi qui moderni invece, sembra sempre di avere in mano un frullatore nuovo o un lettore dvd: non si può mai fare a meno del libretto delle istruzioni. Prendi Michelangelo, ad esempio: lui mi arriva più direttamente, in lui riesco a trovarci subito elementi familiari…tutto sommato allora, preferisco farmi ingannare da Michelangelo, che non sorbirmi la sincerità di Fontana…».
Obiezioni legittime, caro scettico.
Ma lasciami fare un esempio banale e magari poi ne riparliamo. Ribadisco: si tratterà di un espediente argomentativo proprio banale, ma certe volte, riducendo il discorso ai minimi termini, ci si avvicina meglio ai concetti.
Prendiamo, per il mio “banal-esperimento”, la seguente immagine tratta da una delle opere più celeberrime di tutti i tempi: la scena della creazione, dagli affreschi della Cappella Sistina, del buon Buonarroti (ehehheheeh…).
Prima di proseguire nella lettura, mi raccomando di osservare bene la foto, cercando di cogliere tutti i significati che questo dipinto vi suggerisce. Prendetevi tutto il tempo per l’osservazione, e solo dopo proseguite nella lettura.
Ora, come direbbe Giovanni Muciaccia di «Art Attack»: fatto?!?!?
Per chi conoscesse già l’arcano, quanto sto per dirvi suonerà ancor più banale, ma per tutti gli altri (sempre che non se ne siano accorti durante la loro disamina del dipinto michelangiolesco…) magari sarà fonte di piacevole stupore sapere che quella sorta di nicchia (formata da un mantello svolazzante e dal coacervo di angeli in esso contenuti) nella quale è compresa la figura dipinta di Dio, Michelangelo la dipinse volutamene con la sagoma di un cervello umano visto di profilo. Riguardate bene e non avrete alcun dubbio.
Sia a chi possedeva già questa informazione, sia a chi l’ha appresa solo ora che gliel’ho segnalata io, adesso chiedo: se non vi avessero avvertito, avreste colto direttamente questa sfumatura del disegno michelangiolesco?
Ora capirete ancor meglio perché il mio esempio era banale, ma in qualche modo utile. Quello che volevo dire è in sostanza questo: Michelangelo e i grandi maestri del passato, quelli che ci sembrano più familiari, quelli che pensiamo di capire meglio, in realtà non hanno meno bisogno di “libretto d’istruzioni” di quanto ne abbia bisogno Lucio Fontana.
L’arte moderna in genere, e soprattutto quelle sue “porzioni” denominate “astratta” e “concettuale”, hanno abbandonato il contatto diretto con la realtà sensibile, per affidarsi ad un contatto con essa mediato dall’intelletto. Le sillabe del linguaggio sono sempre le stesse: linee, spazio, fisicità evocata tramite segni e materiali. Ma le corrispettive “…sollecitazioni psichiche, culturali, emozionali…” (come dice Sottsass: vedi precedente articolo) sono ora circoscritte ai “meccanismi puri” da cui esse scaturiscono.
Per banalizzare ancora: una linea zigzagante diventa “direttamente” espressione di uno stato d’animo d’eccitazione, così come un tratto sinuoso può suggerire “direttamente” una dimensione di quiete. Ecco perché a partire dall’arte moderna, abbiamo cominciato a vedere opere fatte di linee pure o colori puri (Mondrian – Mirò – Klee - El Lisickij - and so on), senza riferimento, o quasi, ad elementi sensibili, reali, concreti: il linguaggio era stato ridotto alle sue sillabe.
Anche i tagli di Fontana sono “sillabe pure”, isolate nell’ambito del linguaggio che muovendo dalla fisicità giunge alla significazione emotiva e culturale.
Se nell’arte antica era dunque la “mediazione naturale” a dettar legge, ossia il “raccontare” a partire da un sottofondo naturalistico, nell’arte moderna, spesso non si può prescindere dalla mediazione intellettuale. Solo se accettiamo questo assunto, potremo accettare opere come le tele tagliate di Fontana o l’orinatoio di Duchamp.
Cosa dice a questo punto lo scettico, sempre quello di prima? Continua a dichiararsi tale? Va beh, è del tutto lecito. Io chiudo solamente dicendo che quelle piccole fessure d’aria create da Fontana sulle sue tele, quei silenti salvacondotti per passare fra due spazi separati per secoli al di qua e al di là della tela, alla fine un loro discreto fascino ce l’hanno.
Come mai la mia nuova rubrica «Piccole sbrodolate d’arte sulla camicia» inizia proprio da questo artista? Ve lo confesso: ho aperto a caso il quarto volume della storia dell’arte dell’Argan e ho beccato il primo tema sbucato fuori, che era appunto un capitoletto (breve, ma significativo e molto intenso, come capita sempre con la prosa di Argan), riguardante l’artista delle tele tagliate.
Ma siccome le cose fatte a caso sono spesso le migliori, non viene neanche male partire da Fontana, perché mi offre lo spunto di introdurre già diversi importanti concetti sull’arte in generale, su quella moderna in particolare, e sul confronto fra le due.
Mi concentro sulle tele tagliate, che sono le creazioni per le quali Fontana è maggiormente conosciuto e rappresentano anche la classica opera moderna che fa esclamare lo scettico: «…E beh? Ma sarà mica arte questa? Son capace anch’io di fare una roba del genere…». Ecco: come dare torto allo scettico? Ma proviamo ad andare per ordine e vedere se si può dire qualcosa di più. Mi affido a Giulio Carlo Argan, per partire.
Argan richiama la nostra attenzione sul piano, sulla superficie bidimensionale: per secoli è stata (e continua ad essere tutt’oggi) la dimensione privilegiata della finzione pittorica. Già: non so se ci avete mai riflettuto sopra, ma la pittura è intrinsecamente “menzognera”. L’azione dell’artista che col disegno e i colori cerca di “comprimere” un mondo a tre dimensioni fisiche, sulle due risicate dimensioni di una tela, si può senz’altro chiamare un “inganno concordato”.
C’è un patto stretto tra l’artista e chi osserverà la sua opera: si sono accordati sulla riduzione del loro discorso alla bidimensionalità, che diviene il linguaggio convenzionale del loro dialogo.
Ora, come s’inquadra in questo discorso la scelta di Fontana di tagliare le tele? L’intenzionalità che c’è dietro quei tagli, sta nell’azzeramento di secoli di finzione: aprendo un varco sulla superficie della tela, Fontana ristabilisce il naturale contatto fra lo spazio che sta davanti e quello che sta dietro di essa. Torna in questo modo a rendere allo spazio tutti i meriti che gli competono, risarcisce la tridimensionalità di secoli di “compressione” innaturale. Ridona allo spazio il suo “continuum naturale”, sfondando la membrana della pittura che per secoli l’ha interrotto. Non a caso, tutte le tele con tagli di Fontana hanno titoli nei quali ricorre sempre l’espressione “concetto spaziale”.
Il senso dei tagli di Fontana sta dunque nella demolizione di una finzione espressiva secolare, e al riguardo, Argan chiosa: «…distruggere una finzione significa recuperare una verità…».
A questo punto, mi pare di risentire lo scettico di prima, che torna alla carica: «…Ah…però! Visti in questa prospettiva, ‘sti tagli non fanno poi così schifo…ma mi rimane sempre un grosso dubbio: gli artisti del passato non c’era bisogno che me li spiegassero. Con questi qui moderni invece, sembra sempre di avere in mano un frullatore nuovo o un lettore dvd: non si può mai fare a meno del libretto delle istruzioni. Prendi Michelangelo, ad esempio: lui mi arriva più direttamente, in lui riesco a trovarci subito elementi familiari…tutto sommato allora, preferisco farmi ingannare da Michelangelo, che non sorbirmi la sincerità di Fontana…».
Obiezioni legittime, caro scettico.
Ma lasciami fare un esempio banale e magari poi ne riparliamo. Ribadisco: si tratterà di un espediente argomentativo proprio banale, ma certe volte, riducendo il discorso ai minimi termini, ci si avvicina meglio ai concetti.
Prendiamo, per il mio “banal-esperimento”, la seguente immagine tratta da una delle opere più celeberrime di tutti i tempi: la scena della creazione, dagli affreschi della Cappella Sistina, del buon Buonarroti (ehehheheeh…).
Prima di proseguire nella lettura, mi raccomando di osservare bene la foto, cercando di cogliere tutti i significati che questo dipinto vi suggerisce. Prendetevi tutto il tempo per l’osservazione, e solo dopo proseguite nella lettura.
Ora, come direbbe Giovanni Muciaccia di «Art Attack»: fatto?!?!?
Per chi conoscesse già l’arcano, quanto sto per dirvi suonerà ancor più banale, ma per tutti gli altri (sempre che non se ne siano accorti durante la loro disamina del dipinto michelangiolesco…) magari sarà fonte di piacevole stupore sapere che quella sorta di nicchia (formata da un mantello svolazzante e dal coacervo di angeli in esso contenuti) nella quale è compresa la figura dipinta di Dio, Michelangelo la dipinse volutamene con la sagoma di un cervello umano visto di profilo. Riguardate bene e non avrete alcun dubbio.
Sia a chi possedeva già questa informazione, sia a chi l’ha appresa solo ora che gliel’ho segnalata io, adesso chiedo: se non vi avessero avvertito, avreste colto direttamente questa sfumatura del disegno michelangiolesco?
Ora capirete ancor meglio perché il mio esempio era banale, ma in qualche modo utile. Quello che volevo dire è in sostanza questo: Michelangelo e i grandi maestri del passato, quelli che ci sembrano più familiari, quelli che pensiamo di capire meglio, in realtà non hanno meno bisogno di “libretto d’istruzioni” di quanto ne abbia bisogno Lucio Fontana.
L’arte moderna in genere, e soprattutto quelle sue “porzioni” denominate “astratta” e “concettuale”, hanno abbandonato il contatto diretto con la realtà sensibile, per affidarsi ad un contatto con essa mediato dall’intelletto. Le sillabe del linguaggio sono sempre le stesse: linee, spazio, fisicità evocata tramite segni e materiali. Ma le corrispettive “…sollecitazioni psichiche, culturali, emozionali…” (come dice Sottsass: vedi precedente articolo) sono ora circoscritte ai “meccanismi puri” da cui esse scaturiscono.
Per banalizzare ancora: una linea zigzagante diventa “direttamente” espressione di uno stato d’animo d’eccitazione, così come un tratto sinuoso può suggerire “direttamente” una dimensione di quiete. Ecco perché a partire dall’arte moderna, abbiamo cominciato a vedere opere fatte di linee pure o colori puri (Mondrian – Mirò – Klee - El Lisickij - and so on), senza riferimento, o quasi, ad elementi sensibili, reali, concreti: il linguaggio era stato ridotto alle sue sillabe.
Anche i tagli di Fontana sono “sillabe pure”, isolate nell’ambito del linguaggio che muovendo dalla fisicità giunge alla significazione emotiva e culturale.
Se nell’arte antica era dunque la “mediazione naturale” a dettar legge, ossia il “raccontare” a partire da un sottofondo naturalistico, nell’arte moderna, spesso non si può prescindere dalla mediazione intellettuale. Solo se accettiamo questo assunto, potremo accettare opere come le tele tagliate di Fontana o l’orinatoio di Duchamp.
Cosa dice a questo punto lo scettico, sempre quello di prima? Continua a dichiararsi tale? Va beh, è del tutto lecito. Io chiudo solamente dicendo che quelle piccole fessure d’aria create da Fontana sulle sue tele, quei silenti salvacondotti per passare fra due spazi separati per secoli al di qua e al di là della tela, alla fine un loro discreto fascino ce l’hanno.
6 commenti:
a me fontana piace, senza chiedermi perché. poi esistono autori contemporanei che non hai bisogno di chiederti perché, non come per fontana almeno. ad esempio de dominicis ha, nel primo periodo della sua attività, messo insieme delle opere straordinarie, tipo "mozzarella in carrozza". una carrozza vera, senza cavalli, apparentemente vuota, ma se guardi bene, dentro c'è una mozzarella... geniale!
@->Farly: hai sottolineato una componente della critica d'arte fondamentale, Farly :-) spesso non c'è bisogno di farsi domande, ma stare solo lì e vedere cosa si prova...
Grazie per avermi ricordato questa opera di De Dominicis...ne avevo sentito vagamente parlare, ma ora non la ricordavo proprio più :-)
Bacini in calesse :-)
Hai esordito divinamente, Gill!
Ho imparato tanto, spero che tu abbia intenzione di continuare.
Complimenti!
@->Lara: ehm...mi fai arrossire, Lara :-) Grazie, sei troppo gentile...
Allora vorrà proprio dire che la rubrica prosegue :-) Su questi schermi: stay tuned :-)
Grazie ancora...bacini artistici :-)
I tagli di Fonrana un discreto fascino ce l'hanno come dice sopra , si ma solo quello e una opera d arte come di Michekangelo non ha un fascino e semplicemente geniale e li si che che bravura e talento ma un taglio lo puoi spiegare in più modi na non può paragonar si con arte di un Muchtksngelo o Monet o Caravaggio ecc
Se legge bene quanto scritto sopra, vedrà che non ho fatto nessun paragone qualitativo fra Fontana e Michelangelo, perché non avrebbe nessun senso. Ogni artista va compreso nell'ambito della cultura della sua epoca. Michelangelo l'ho citato solamente per dire che anche la sua opera necessita di spiegazioni, a meno che non si voglia ripetere tutti in coro "che è un genio" perché lo dicono tutti, senza però saper spiegare in cosa consista la sua genialità :-)
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