Gillipixel - 2010
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Oggi volevo parlare dell’importanza suprema di una cosa molto infima. Non tanto perché di per sé questo elemento sia così schifoso, anche se in effetti può diventarlo, in certe circostanze particolari. Questa cosa è invece infima per il fatto di stare in basso.
Anzi, è l’«in basso» per eccellenza. Sto parlando del piano su cui posiamo i piedi e più propriamente di quando questo supporto si trova in spazi esterni, pubblici. Il suolo, il terreno, la superficie “per terra”, la pavimentazione, chiamatelo un po’ come volete. O anche, per citare il sommo Vito Catozzo (prima che diventasse un romanziere famoso): il «…porch’immondo che c’ho sott’i piedi…».
L’idea (banale di per sé, ma quasi mai tenuta nella debita considerazione) sarebbe questa: un suolo non curato, sciatto, trasandato, lasciato andare, inficia fortemente la nostra percezione dello spazio che ci troviamo ad attraversare e a vivere. Il riferimento va soprattutto ad ambienti urbani o perlomeno caratterizzati dalla presenza significativa di edificato (quindi anche paesi, e anche piccoli), ma il discorso è estendibile ad ogni superficie piana che, pur conservando una propria “naturalità”, sia tuttavia fortemente modificata dalla mano dell’uomo (tutta una gran perifrasi lagnosa, solo per dire: i giardini, i parchi, le aiuole, ecc.). E ci metterei dentro anche i pavimenti dei negozi o dei grandi magazzini, o dei teatri e così via. Insomma, tutti quei “suoli” che pur essendo parte di un “interno”, sono tuttavia per loro natura aperti alla frequentazione pubblica.
Ma vi dirò di più, mi spingo ancora più in là con la tesi (voi sempre liberi di mettere mano a frutta e uova marce “da lancio”…). Un suolo non curato influisce negativamente anche sul nostro umore. Ora, la cosa ovviamente non è così matematica, né immediata, né tanto meno drammatica. E ancora meno, un suolo impeccabile potrà eventualmente consolarvi dai vostri guai con la professionalità di uno psicoterapeuta.
Non dico questo.
Però magari, la prossima volta che vi trovate in un ambiente che non vi aggrada tanto, pur essendo di per sé “in teoria” ben curato e progettato, e non riuscite a capire il perché di quel fastidio di fondo apparentemente ingiustificato…provate a gettare un occhio a dove state posando i piedi. Può essere che sia quella superficie la causa del vostro sentirvi fuori posto, stonati.
A farci bene caso, quando camminiamo in giro (“antiperifrasi” rozza per dire: quando ci troviamo a muoverci in uno spazio pubblico) e manteniamo lo sguardo ad un’altezza media, una buonissima fetta del nostro campo visivo è occupata dalla superficie orizzontale. Addirittura, in spazi ampi come può essere una grande piazza o un giardino urbano, se si fa un inventario dello spazio visivo che si spartiscono fra loro gli elementi verticali (i muri delle case) e quelli orizzontali, vediamo il suolo prevalere alla grande.
Psicologicamente, la tendenza a considerare il nostro intorno “naturalmente” impostato secondo una struttura “ternaria” formata da “una base + un’estensione in verticale + un tetto” rappresenta una delle eredità ataviche più forti che il nostro inconscio si porta dietro, dalla notte dei tempi.
Senza scomodare gli “archetipi dell’incoscio collettivo” di junghiana memoria, è un fatto che millenni di confronto con elementi quali gli alberi (base + tronco + chioma), i monti (piedi + pendici + vetta), gli scenari naturali (suolo + alberi o monti + cielo), hanno creato nella nostra percezione dello spazio un’aspettativa di “tripartizione ascendente” ormai radicata fortemente nel nostro immaginario. Non a caso, la colonna, uno degli elementi più simbolici, antichi e duraturi di tutta la storia dell’«edificazione umana», è tripartita in “base + fusto + capitello”, ed a questo schema nel corso della storia delle costruzioni erette dall’uomo, hanno pagato poi un tributo anche tante altre forme architettoniche (il palazzo signorile, i campanili, le chiese, persino i modernissimi grattaceli, e così via).
Inoltre il suolo reca con sé tantissime altre valenze simboliche.
E’ il nostro contatto diretto col mondo, ci passa sotto i piedi, ci trasmette gli “umori” del nostro pianeta e se un giorno ci gira il ghiribizzo di dare un bacio alla Terra, perché di colpo ci siamo accorti di quanto sia bella (magari perché una cara amica ce l’ha appena data, ma queste sono motivazioni grevi e superficiali…), l’unico modo è chinarci giù a posare le labbra sul suolo.
Perché dunque, nelle nostre città, nei nostri paesi, nei nostri paesaggi, la superficie su cui posiamo i piedi dovrebbe essere poco importante, se è da lì che tutto trae origine, tutto si dispone per ascendere?
Un esempio di armonia mediamente ben curata fra suolo ed edifici, lo si può trovare nelle località “nordiche”. Mi riferisco a Parigi e Vienna, perché non ho viaggiato molto (sapete com’è: noi campagnoli pigri...) e conosco un po’ meglio queste stupende città, ma sono sicuro che posti come Oslo, Copenaghen o Stoccarda sono altrettanto degni di considerazione sotto questo aspetto.
A Parigi in particolare, quando ci andai, tanti anni fa, notai parecchia attenzione per i particolari della pavimentazione, e so che questo contribuì non poco a farmela percepire come un posto in cui si ama molto la bellezza.
Esempi poco belli invece, ahimè, li ho visti sempre in Italia.
Roma è la città in cui forse si può capire meglio l’importanza del suolo, perché offre esempi sia buoni sia cattivi. E poi a Roma gli esempi di “suoli negativi” risaltano ancor di più, in quanto spesso stridono fortemente, magari con le portentose architetture di cui la nostra cara città eterna è piena zeppa. Basta un marciapiede semi-sfondato o rappezzato male, un cordolo che cede continuamente, oppure una commistione balzana di materiali a formare un balordo patchwork “cementizio-asfaltizio-lapideo” mal distribuito, che anche il più bel palazzo si trasforma in un gigante dai piedi d’argilla, in un gran signore di classe, elegantissimamente vestito, ma con le scarpe bucate ai piedi.
Un altro caso che mi duole citare (ahimè doppio!) è quello di Milano, perché è una città alla quale voglio bene e sono molto affezionato, ma va detto che sotto l’aspetto dei suoi “suoli”, lascia spessissimo a desiderare. E se nel caso di Roma, questo handicap può rappresentare talvolta un “neo”, per Milano, città generalmente non nota per i suoi pregi estetici, può diventare un’aggravante notevole.
Insomma, cari amici viandanti per pensieri: la prossima volta che vi ritroverete a passeggiare per le vie della vostra cara città, del vostro amato paese, posando gli occhi in giro col piacere di tornare a gustarvi l’ambiente a voi familiare, fate caso un po’ anche al suolo, dedicategli qualche occhiata in più: c’è tanto da vedere pure lì, ne vale la pena.
E non solo per risparmiare le suole dalle cacche di cane.
Anzi, è l’«in basso» per eccellenza. Sto parlando del piano su cui posiamo i piedi e più propriamente di quando questo supporto si trova in spazi esterni, pubblici. Il suolo, il terreno, la superficie “per terra”, la pavimentazione, chiamatelo un po’ come volete. O anche, per citare il sommo Vito Catozzo (prima che diventasse un romanziere famoso): il «…porch’immondo che c’ho sott’i piedi…».
L’idea (banale di per sé, ma quasi mai tenuta nella debita considerazione) sarebbe questa: un suolo non curato, sciatto, trasandato, lasciato andare, inficia fortemente la nostra percezione dello spazio che ci troviamo ad attraversare e a vivere. Il riferimento va soprattutto ad ambienti urbani o perlomeno caratterizzati dalla presenza significativa di edificato (quindi anche paesi, e anche piccoli), ma il discorso è estendibile ad ogni superficie piana che, pur conservando una propria “naturalità”, sia tuttavia fortemente modificata dalla mano dell’uomo (tutta una gran perifrasi lagnosa, solo per dire: i giardini, i parchi, le aiuole, ecc.). E ci metterei dentro anche i pavimenti dei negozi o dei grandi magazzini, o dei teatri e così via. Insomma, tutti quei “suoli” che pur essendo parte di un “interno”, sono tuttavia per loro natura aperti alla frequentazione pubblica.
Ma vi dirò di più, mi spingo ancora più in là con la tesi (voi sempre liberi di mettere mano a frutta e uova marce “da lancio”…). Un suolo non curato influisce negativamente anche sul nostro umore. Ora, la cosa ovviamente non è così matematica, né immediata, né tanto meno drammatica. E ancora meno, un suolo impeccabile potrà eventualmente consolarvi dai vostri guai con la professionalità di uno psicoterapeuta.
Non dico questo.
Però magari, la prossima volta che vi trovate in un ambiente che non vi aggrada tanto, pur essendo di per sé “in teoria” ben curato e progettato, e non riuscite a capire il perché di quel fastidio di fondo apparentemente ingiustificato…provate a gettare un occhio a dove state posando i piedi. Può essere che sia quella superficie la causa del vostro sentirvi fuori posto, stonati.
A farci bene caso, quando camminiamo in giro (“antiperifrasi” rozza per dire: quando ci troviamo a muoverci in uno spazio pubblico) e manteniamo lo sguardo ad un’altezza media, una buonissima fetta del nostro campo visivo è occupata dalla superficie orizzontale. Addirittura, in spazi ampi come può essere una grande piazza o un giardino urbano, se si fa un inventario dello spazio visivo che si spartiscono fra loro gli elementi verticali (i muri delle case) e quelli orizzontali, vediamo il suolo prevalere alla grande.
Psicologicamente, la tendenza a considerare il nostro intorno “naturalmente” impostato secondo una struttura “ternaria” formata da “una base + un’estensione in verticale + un tetto” rappresenta una delle eredità ataviche più forti che il nostro inconscio si porta dietro, dalla notte dei tempi.
Senza scomodare gli “archetipi dell’incoscio collettivo” di junghiana memoria, è un fatto che millenni di confronto con elementi quali gli alberi (base + tronco + chioma), i monti (piedi + pendici + vetta), gli scenari naturali (suolo + alberi o monti + cielo), hanno creato nella nostra percezione dello spazio un’aspettativa di “tripartizione ascendente” ormai radicata fortemente nel nostro immaginario. Non a caso, la colonna, uno degli elementi più simbolici, antichi e duraturi di tutta la storia dell’«edificazione umana», è tripartita in “base + fusto + capitello”, ed a questo schema nel corso della storia delle costruzioni erette dall’uomo, hanno pagato poi un tributo anche tante altre forme architettoniche (il palazzo signorile, i campanili, le chiese, persino i modernissimi grattaceli, e così via).
Inoltre il suolo reca con sé tantissime altre valenze simboliche.
E’ il nostro contatto diretto col mondo, ci passa sotto i piedi, ci trasmette gli “umori” del nostro pianeta e se un giorno ci gira il ghiribizzo di dare un bacio alla Terra, perché di colpo ci siamo accorti di quanto sia bella (magari perché una cara amica ce l’ha appena data, ma queste sono motivazioni grevi e superficiali…), l’unico modo è chinarci giù a posare le labbra sul suolo.
Perché dunque, nelle nostre città, nei nostri paesi, nei nostri paesaggi, la superficie su cui posiamo i piedi dovrebbe essere poco importante, se è da lì che tutto trae origine, tutto si dispone per ascendere?
Un esempio di armonia mediamente ben curata fra suolo ed edifici, lo si può trovare nelle località “nordiche”. Mi riferisco a Parigi e Vienna, perché non ho viaggiato molto (sapete com’è: noi campagnoli pigri...) e conosco un po’ meglio queste stupende città, ma sono sicuro che posti come Oslo, Copenaghen o Stoccarda sono altrettanto degni di considerazione sotto questo aspetto.
A Parigi in particolare, quando ci andai, tanti anni fa, notai parecchia attenzione per i particolari della pavimentazione, e so che questo contribuì non poco a farmela percepire come un posto in cui si ama molto la bellezza.
Esempi poco belli invece, ahimè, li ho visti sempre in Italia.
Roma è la città in cui forse si può capire meglio l’importanza del suolo, perché offre esempi sia buoni sia cattivi. E poi a Roma gli esempi di “suoli negativi” risaltano ancor di più, in quanto spesso stridono fortemente, magari con le portentose architetture di cui la nostra cara città eterna è piena zeppa. Basta un marciapiede semi-sfondato o rappezzato male, un cordolo che cede continuamente, oppure una commistione balzana di materiali a formare un balordo patchwork “cementizio-asfaltizio-lapideo” mal distribuito, che anche il più bel palazzo si trasforma in un gigante dai piedi d’argilla, in un gran signore di classe, elegantissimamente vestito, ma con le scarpe bucate ai piedi.
Un altro caso che mi duole citare (ahimè doppio!) è quello di Milano, perché è una città alla quale voglio bene e sono molto affezionato, ma va detto che sotto l’aspetto dei suoi “suoli”, lascia spessissimo a desiderare. E se nel caso di Roma, questo handicap può rappresentare talvolta un “neo”, per Milano, città generalmente non nota per i suoi pregi estetici, può diventare un’aggravante notevole.
Insomma, cari amici viandanti per pensieri: la prossima volta che vi ritroverete a passeggiare per le vie della vostra cara città, del vostro amato paese, posando gli occhi in giro col piacere di tornare a gustarvi l’ambiente a voi familiare, fate caso un po’ anche al suolo, dedicategli qualche occhiata in più: c’è tanto da vedere pure lì, ne vale la pena.
E non solo per risparmiare le suole dalle cacche di cane.
13 commenti:
come hai ragione, gil! io a firenze sono sempre in continua lotta con le strade, i marciapiedi e il pavimento di casa. i primi due sono completamente devastati, e camminarci su mette a rsichio la vita, e il terzo mi rende schiava di cencio e ramazza perché chiaro e pronto a insudiciarsi mediamente ogni tre minuti.sempre creativo e profondo, il nostro!
un bacio raso terra ;)
@->Maria Rosaria: eheheheh :-) l'aspetto di cencio e ramazza non l'avevo valutato, Em Rose, ma ha i suoi perchè...eccome :-)
Firenze è una di quelle città nelle quali il discorso del "suolo" è particolarmente importante, tali e tanti sono i gioielli architettonici che presenta...le volte che ci sono stato, mi è sembrato che questo aspetto sia abbastanza curato, ma si sa: si può sempre fare meglio...certo, le attuali condizioni precarie di pecunia che ci sono in giro, mica aiutano questa cosa...ecco, forse quando si ritornterà ad occuparsi di pavimentazioni, sarà un segno che sono tornati tempi migliori :-)
Grazie, sei sempre carinissima :-)
Bacini ben pavimentati :-)
Mio caro Gilli, sei decisamente un uomo affascinante e per carità non arrossire.
Questo post è così pieno di significati che solo una mente brillante come la tua poteva esplicitarli.
Baci panoramici perchè la cosa più bella è vedere dall'alto un pavimento ben fatto.
(hai presente Marostica?)
che bella canzone mi riporta indietro in un passato dolcissimo...
@->Marisa: ehm...mi spiace di darti una delusione, Mari, ma sono arrossito eccome :-) sei troppo gentile, grazie...non sum dignus :-)
Ecco, a Marostica non sono mai stato (il mio solito pigrismo campagnolesco...:-), ma ho chiesto lumi a san google :-) e ora mi pento di non esserci mai stato...
E' vero: un suolo ben curato è sintomo della civiltà del popolo che lo abita...e purtroppo, l'Italia in questo spesso offre riflessi scoraggianti del suo scarso civismo...per fortuna non ovunque, e marostica è un bell'esempio positivo (ma anche Firenze e Roma in questo danno conforto)...
Grazie ancora per le parole stupende che mi hai riservato :-)
Bacini estesi su belle superfici :-)
@->Marisa: ah, Mari...con la canzone, al di là che l'ho scelta per il fatto che mi piace parecchio, ho voluto introdurre una specie di scherzoso gioco di parole e riferimenti: era la colonna sonora di "Un uomo da marciapiede" e mi pareva buffamente in sintonia coi miei temi di oggi :-)
Ribacini musici :-)
ma quelle gambe e quella scarpa sono tue? ;o)
@->Marisa: aspetta che faccio mente locale, Mari...uhm...sì, mi pare fossero mie :-) è una fotina rubata col telefonino dal barbiere :-)
Bacini svelarcani :-)
si comincia così e poi.... ahhahahaha
@-Marisa: :-)
insomma stavolta stavi con il naso a terra invece che per aria :-) i suoli sono cosa fondamentale e mica solo fuori, io mi sono innamorata della mia casa di adesso per i pavimenti... un giorno te li racconto... baci striscianti
ps c'ho la lacrimuccia da canzone... questa la canticchiava sempre la mi mamma (sospiro)
@->Farly: sapevo che la mia metà principale di chimera non avrebbe sottovalutato il fattore suolo :-)
La canzone mi è sempre piaciuta, ma un filo di malinconia me l'ha sempre messo addosso, forse per i riferimenti al film...attendo la storia dei tuoi pavimenti :-)
Bacini lucidati a cera :-)
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