venerdì 7 gennaio 2011

Femminea orchestrazione

Il bello di non avere una reputazione è che te la puoi rovinare fino in fondo in ogni momento, quando più ti aggrada. E’ questo l’impervio sentiero che intendo percorrere oggi, facendo leva sul “secondo principio della mancanza di pudore”, che recita: «…l’ordinario individuo anonimo e scarsamente considerato è pienamente libero di rovinarsi la reputazione che non ha…».

In che modo intendo procedere a tale demolizione di rispettabilità, peraltro già mancante?
Presto detto: mi presenterò niente meno che sotto le vesti del qualunquistico allupato medio.

Inopinatamente, tutto il discorso viene introdotto dalle festività di fine ed inizio anno, attraverso le quali abbiamo appena terminato di guadare nei giorni recenti. E’ in tale periodo infatti che fioccano particolarmente fitti in televisione i diversi concerti di musica classica trasmessi dalle più svariate sedi. Se c’è un concerto, ci dev’essere un’orchestra; se c’è un’orchestra, ci devono essere gli orchestrali e fra questi, spesso e volentieri, anche diverse orchestrali donne.

Per farla breve, che cosa ha notato il mio bacato istinto tele-visionario assistendo ai concerti di musica classica durante le feste? Ha notato che le donne orchestrali sono sensualissime, forse una delle più potenti espressioni di sensualità femminea che è dato vedere sprigionarsi dalle anguste pareti della scatoletta catodica (o “ElleCiDiaca” che dir si voglia...che dirsi…).

Va beh, si obietterà, ma tu non fai testo. Tu drizzi le orecchie allupatorie anche al solo sentir parlare di qualcosa di vagamente femminile: ”...al menomo stormir di femminea foglia, te già c’hai ‘na mezza voglia...”. D’accordo, d’accordo. Può anche darsi che sia così, ma lasciatemi dire e poi obietterete in santa pace.

Le componenti che fanno della musicista classica inserita nell’ambito di un’orchestra una creatura particolarmente ammantata di charme ed avvenenza, sono tautologicamente tre: è donna, suona uno strumento “classico” (“da conservatorio”, e come tale, particolarmente complesso), e lo fa in un contesto umano molto articolato.

Sul primo punto (“è donna”), non mi soffermo più di tanto: anche un bel controfagottista dalla lussureggiante barba, nerboruto, aitante e villoso, avrà il suo perché, ma con tutta la buona volontà, non è il mio genere.

La seconda questione è invece cruciale: assodato nel “punto uno” che di donna s’ha da trattare, viene subito dopo il fatto che lei suona uno strumento “classico”. Ora, io non sono per nulla esperto, ma da quel poco che so, lo studio della musica ai massimi livelli qualitativi è una faccenda mentale, caratteriale e fisica tremendamente difficile. Ci vuole una volontà di ferro, una pazienza infinita, un talento fuori dal normale. Ecco allora che l’immagine proiettata dalla donna orchestrale, mentre te la gusti sbocconcellando tortellini, bolliti e pandoro, principia già ad emanare un’aura femminile non comune.

E’ proprio in questa fase dei vagheggiamenti gastronomico-musical-televisivi, che affluiscono alla mente fondamentali “flash-back ipotizzati”, necessari ad introdurre peculiari vibrazioni di iper-pregiata fisicità muliebre. Dinnanzi agli occhi dell’immaginazione mi scorre praticamente mezza carriera della leggiadra orchestrale in oggetto.

La rivedo sulle travagliate carte pentagrammate. Con la fantasia narrativa la incontro giovinetta mentre rincorre treni, autobus, corriere che la portano al conservatorio, sotto il peso della grossa custodia contrabbassistica o tutta intenta a difendere l’incolumità del suo amato violino dalla folla spintonante e prosaica.

La ritrovo ancora immaginata nelle estenuanti prove fino a tarda notte, nella quiete della sua stanzetta presa in affitto in città, bardata di pesanti maglioni durante i rigidi inverni, momentaneamente “dis-ingentilita” nel sembiante da tute sformate ma “teporose”, oppure discinta, sudata ed inconsciamente provocante nelle torride afe estive, fra lievi ondeggiamenti di polso complici dell'andirivieni di una trombonesca coulisse, la brezza che soffia fra le fessure delle persiane, ad accarezzare braccia rugiadose e ritmanti al seguito dell'archetto, a vellicare labbra increspate e gote caparbie a mongolfiera, a sorreggere dita leggiadre che pizzicano e premono tasti, cosce che si avvinghiano a violoncellevoli propaggini, braccia che si aggrappano salde a contrabbassezze profonde e penetranti.

Sempre attaccata allo strumento, sempre in simbiosi, tanto che esso diventa una parte del suo corpo, un suo organo vitale e pulsante, un suo prolungamento sensibile e sensuale.

Tutto questo retroterra immaginato si proietta dunque trionfalmente nell'immagine della donna orchestrale, solennizzata dal momento dell'esibizione ufficiale con ripresa televisiva.
Il fine spettatore, gozzovigliante e festaiolo, leggermente inebetito da leccornie e liquidi inebrianti, non può a quel punto fare altro che lasciarsi travolgere dalla ventata di sensualità spirante dall'immagine della donna orchestrale rapita nell'acme della propria vigoria musicale.

Perché prima ancora che nota ed armonia diffusa nella sala del teatro, e poi nella nostra sala da pranzo attraverso la tele, quella musica soave che possiamo delicatamente centellinare sotto il palato insieme a fette di cotechino ingentilite da mostarde e cucchiaiate di pure, è stata alito caldo amorosamente soffuso dalla graziosa clarinettista, è stata guizzo di muscolo sapientemente dosato dalla deliziosa violinista, è stata premurosa carezza regalata dalla serafica arpista alle corde del proprio mastodontico strumento turgido di emozione.

Al punto che, estatico spettatore e masticante in siffatto turbillon di sensazioni, ad un bel momento ti accorgi come torni a farsi vivo (con accessoria e parziale riabilitazione anche del nerboruto controfagottista di prima...) il terzo fattore di sensualità che menzionavo sopra, ossia il fatto che una donna orchestrale è inserita in un contesto umano molto articolato.

E' infatti allora che ti rendi conto di quanto l'orchestra sia in realtà un grande e perfetto meccanismo mosso dalla brama di dar vita ad una dimensione superiore, al regno puro delle pulsazioni amorose più elevate. Donne ed uomini orchestrali non fanno apparentemente niente di più che emettere suoni dai loro strumenti, ma nella rivelazione dell'effettività poetica, essi emanano verso l'atmosfera porzioni delle proprie anime, frammenti di desiderio di fusione spirituale.

Ed è proprio lì, in sospensione sopra gli sguardi ormai bolliti d'estasi degli spettatori in teatro e a casa, che quegli aliti caldi, quelle vigorose carezze, quei trapestii di tasti, quegli indugiati sfregamenti di corde, si fondono attraverso l'aria nel più rarefatto degli amplessi corali mmaginabili.

Però!!! Non avrei mai pensato che con la reputazione completamente rasata a zero, ci si sentisse poi così leggeri...




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2 commenti:

farlocca farlocchissima ha detto...

ooodiat dice blogspot! nel senso oddio ma che dice costui :-D bellissimo mi sono divertita un sacco a leggerti. Ora però anche chi si prende un dottorato in materia scientifica si fa un gran culo, anzi forse più che il/la talentuoso/a musicista, ma mai qualcuno che ci ricami su un bel filmino prono come il tuo... ah indegno destino!

purtroppo il nerboruto musicista anche se può aizzare i sensi, a me ricorda l'esperienza pregressa e il fatto che di musica poco si vive, spesso disoccupati, i musici, poi li devi mantenere.

baci sinfonici
ps scelta musicale esaltante e il prestigioso dialogo ben chiude il film di cui sopra :-D

Gillipixel ha detto...

@->Farly: invece, cara Farly, a me blogspot dice "sincone": deve trattarsi del principio attivo presente nei funghetti che pensavo di non aver mangiato, ma forse forse...devo averlo fatto e però ora non lo ricordo :-) Si vede che oltre alle proprietà deliranti, ha anche effetti di oblio :-)

Eh...anche se è un po' più difficile, il filmino sensualeggiante sulle studiose scientifiche si potrebbe anche architettare :-) aspetta solo che trovi il funghetto giusto nel prato, e poi arrivo anche a quello :-)

Alla fin fine, dopo questi due passi nel regno del delirio, la cosa più seria di tutto ciò che ho scritto non è una frase mia, ma quella pronunciata in ultimo dai due neri napoletani: quando un uomo si sente giù di morale, non deve scrivere queste vaccate, ma "ha da truà 'na femmena e se l'ha da..." :-)

Bacini più pazzi del mondo :-)