giovedì 6 gennaio 2011

Paul Klee: silenzio! …parla l’immagine (episodio 2)


Cari amici viandanti per pensieri, vi debbo ancora una puntata riguardante l'opera e la figura artistica di Paul Klee. Anzi, la debbo in primo luogo alla cara Rosalucsemblog, richiedente ufficiale di uno scritto sul grande artista del '900, nell'ambito della mia rubrica “Piccole sbrodolate di sugo artistico sulla camicia bianca”.

Dopo la prima sbrodolata teorica, mi ero ripromesso di affrontare stavolta degli esempi diretti, analizzando nel concreto alcune opere del maestro svizzero-tedesco. Se non alcune, almeno una, di opere.
Tuttavia, se per quanto riguarda gli aspetti teorici delle “strutture creative” di questo grande dell’arte del ‘900, ho dovuto sudare sette camice, in questa seconda parte dovrò sudare 47 camice, 6 paltò, 4 piumini d’oca e 22 paia di braghe alla zuava.

Sappiamo che il compito del critico, dell’esegeta, del commentatore d’arte si presenta ogni volta improbo ed irto di paradossi. Suo obiettivo è infatti parlare dell’ineffabile, dell’indicibile, perché se i significati, le emozioni che un’opera riesce a trasmettere, fossero stati raccontabili a parole, lo stesso pittore, o scultore, o regista cinematografico, non si sarebbero presi la briga di fare tutta la fatica di colorare tele, smazzolare marmi o imprimere di luce kilometri di pellicola: avrebbero semplicemente preso la penna e un quaderno, scrivendo quello che avevano da dire.

La missione del critico d’arte è dunque già parecchio complessa, ma figuriamoci un po’ cosa diventa quando una simile strada cerca di percorrerla un umile imbratta pagine qual è il sottoscritto, pretendendo per di più di illustrare le opere di un artista il cui intimo messaggio mira a cogliere esattamente l’espressività estetica che precede ogni possibile “linguaggio visivo”. In pratica è un parlare di ciò che viene prima del “parlare per immagini”.
«Minchia!!!» mi viene da esclamare, con scarsissimo spirito artistico.

Ma se è vero, com'è vero, ciò che più o meno dice un vecchio adagio cinese (o almeno mi pare...), ossia che “...anche un difficile e lunghissimo cammino, s'inizia sempre col primo passo...”, vediamo un po' cosa mi riesce di dire anche quest'oggi.

L'opera di Klee sulla quale cerco di soffermare la mia riflessione è piuttosto famosa. S'intitola “Strada principale e strade laterali”, è del 1929, realizzata con olio e gesso su tela. In generale, è sempre importante indicare tecnica e materiali di un'opera, ma con Klee la cosa assume un significato ancor più peculiare.

Strada principale e strade laterali”, Paul Klee - 1929

Come dicevo infatti l'altra volta, Klee non ha una tecnica sua prediletta, e questo fatto s'intona particolarmente alla sua poetica di scarso interesse per lo specifico medium materiale di trasmissione del “significato estetico”, mirando invece egli a focalizzare il “contenuto puro” di ciò che viene figurativamente evocato.
Olio, acquerello, matita, carboncino, litografia: la tecnica per Klee viene di volta in volta, solo dopo aver focalizzato il “primigenio costrutto estetico” che intende far riaffiorare dagli antichi territori dell'«inconscio collettivo» (efficacissima espressione junghiana).

Argan sottolinea che lo scopo di Klee «…non è di rappresentare, ma di visualizzare; la visualità segue le leggi della percezione. Si rappresenta qualcosa che ha già una forma nel mondo esterno o nell’immaginazione dell’artista; si visualizza qualcosa che, prima di essere visualizzata, non aveva un’esistenza fenomenica [...].
Ciò che si rivela, tuttavia, non è un'introspezione penetrante, ma l'operazione artistica, i cauti moti dell'occhio, del braccio, della mano, di tutto l'essere dell'artista che si fa sensibile agli impulsi che vengono dal profondo. Se studia e pratica tutte le tecniche non è per disporre di più efficaci mezzi di rilevamento e di trascrizione, ma per poter somministrare all'immagine che si va tramando la materia più adatta al suo farsi...».

Lo stesso Klee, in uno dei suoi tanti scritti teorici, ebbe ad affermare: «…l'opera d'arte è prima di tutto genesi; mai afferrabile semplicemente come prodotto...» (“Credo du crèatur”, Paul Klee – 1920).

«…Paul Klee contrapponeva la forma, che è “fine, morte”, alla formazione, la sola in grado di rivelare la “Vita”.
In questa logica, l'artista vantava “l'identità dell'opera e del processo della sua elaborazione (l'opera “è” la sua storia).
Lo spettatore attento esplora la superficie del quadro “come un animale pascola una prateria” e, se nella stesura sono stati attivati certi percorsi per guidare il suo sguardo, può entrare in sintonia con il processo della creazione...» (“L'arte del ventesimo secolo”, Denys Riout – 2000).



Anche “Strada principale e strade laterali” fa i conti con un vecchio “fantasma estetico” della tradizione occidentale: la prospettiva.
Come ho già detto nella prima puntata, la prospettiva è infatti fra le “convinzioni” estetiche più radicate in una sensibilità artistica e visiva qual è la nostra, che affonda gran parte delle proprie nobili radici nella gloriosa e geniale stagione rinascimentale.
Vedere il mondo in senso prospettico ci appare fenomeno talmente scontato, da renderci quasi impensabile un modo di osservare differente. La prospettiva ci sembra connaturata alle cose che vediamo, tanto ci è familiare e tanto è potente la sua “carica illusoria”. Ma non è così: la prospettiva non fa parte della realtà estetica, bensì ne è soltanto una delle possibili interpretazioni.

Ecco, per dirla con un'espressione proprio terra terra (rischiando anche di dire una notevole vaccata...), l'operazione che Klee compie con questo dipinto è “sbugiardare” il mito della prospettiva. Anzi, egli va oltre. Cerca di farci capire che anche la prospettiva, il supremo esempio di “naturalità” presunta più genuina, si rifà in realtà a delle fondamenta estetiche primordiali che competono a dimensioni molto più profonde della nostra sensibilità interiore.

Anche la prospettiva insomma, ci dice Klee, non è una qualità intrinseca alla realtà, ma un linguaggio creato (“contrattato” dai parlanti, secondo quanto detto nella prima puntata) a partire da basi estetiche inconsce ben più profonde.

Credo che non a caso Giulio Carlo Argan abbia scelto quest'opera per illustrare la poetica di Klee. Se Klee riesce infatti a farci capire che anche la prospettiva è uno dei possibili modi attraverso cui la “contrattazione” del linguaggio visivo si poteva specificare, lo potrà fare con qualsiasi altro “modo di parlare estetico”.

“Strada principale e strade laterali” sembra una prospettiva, ne ha tutte le credenziali, ne presenta tutti i connotati, ma alla fin fine, è un'altra cosa. Non sapremmo specificare bene cosa, ma ci rendiamo conto che è così.
C'è l'artificio del rimpicciolimento degli oggetti di man in mano che la distanza cresce; ci sono quelle linee lontane trasversali sull'orizzonte, che suggeriscono un cielo, forse delle colline sul limite del nostro campo visivo, forse il corso di un fiume fra i suoi argini, o forse altro ancora. E i rettangolini a dimensione digradante, sono per caso campi visti dall'alto, tetti di case?

In fondo non importa sapere niente di tutto ciò.
Quello che interessa a Klee è attivare quei meccanismi puri e profondi che stanno dietro al farsi della prospettiva.
In questo senso, qualsiasi prospettiva classica, per esempio quella contenuta in un'opera di Piero Della Francesca (forse il più grande fra i “narratori” in lingua prospettica), è “forma”, e in quanto tale, per usare le parole di Klee stesso, è “fine”, è “morte”.
Ciò che invece Klee mette in rilievo con “Strada principale e strade laterali” sono le dinamiche estetiche pure e vitali, che precedono la prospettiva come suo presupposto: è la prospettiva nel suo “formarsi” potenziale.
La prospettiva classica era cristallizzazione definitiva di un linguaggio; la “pre-prospettiva” di Klee è vita colta nell'atto del suo farsi estetico.

La “forma” equivale dunque alla stasi. Il “formarsi” equivale invece alla vita.

Con una bellissima ed efficace espressione, Klee era solito affermare anche che il suo intervento nella realizzazione delle opere era “limitato” (si fa per dire...) al «…”far fare una passeggiata a una linea”, per scoprire così che cosa diventa l'immagine in quanto tale...» (“Guardare l'arte contemporanea”, Mary Acton – 2004).

Anche e soprattutto per questo motivo, l'opera di Klee sfugge ad ogni tentativo di classificazione, di uniformazione ad uno stile, ad una tipologia espressiva, e non può sottostare a niente di niente di tutto ciò. Quello che interessa a Klee, sia come pittore, sia come insegnante di design della Bauhaus, non è inserirsi in «…uno spazio-tipo, astratto o geometrico, ma nello spazio reale dell'esistenza...».

E così si conclude la seconda ed ultima puntata di sbrodolate dedicata a Paul Klee. Prima di congedarmi, ringrazio ancora immensamente la cara Rosalucs. Tu non immagini che regalo stupendo mi hai fatto, con la tua richiesta. Anche oggi ho passato un pomeriggio di divertimento culturale puro, scartabellando fra le pagine della mia pur limitata bibliografia artistica, approfondendo concetti, slalomeggiando fra idee elevatissime, e misurandomi con le affascinanti difficoltà di raccontare simili complessità.

Certo, per poter scrivere, ho dovuto rinunciare all'arricchimento spirituale che mi avrebbe regalato una visita in un qualche centro commerciale; ho dovuto rimandare la visione dell'ultimo film di De Sica in un qualche cinema multisala, in elitaria compagnia di alcune altre centinaia di cultori del “bello”...
Ma che ci vogliamo fare...non si può avere tutto dalla vita...



4 commenti:

farlocca farlocchissima ha detto...

bello bello, in effetti klee a me piace tanto proprio perché è come se parlasse tutte le lingue e anche nessuna, ci sono cose sue che "fanno silenzio" come proprio il quadro che hai scelto tu. a me piace moltissimo, lo guardo ed è come se mi dicesse "e mo? che vorresti dire tu?" :-D A parte il cazzeggio, i suoi quadri sono luoghi in cui perdersi, andare a spasso senza meta, destrutturati forse, a me evocano un grande senso di libertà.

comunque quando hai finito con le opere d'arte, mi dicono che il film dei babbi natale è molto meglio del panettone di turno, sai per quando vai alla multi-sala saltando la libreria ;-)

baci in saldi
baci

Rosa ha detto...

Beh, che dire, un secondo atto glorioso!
Moltissime grazie, anche se non dubito che - come dici - sia stato un piacere... in effetti Klee va dritto al punto e per questo sfugge. D'ora in poi mi piacerà ancora di più...

Gillipixel ha detto...

@->Farly: ecco, Farly, le chiose che hai aggiunto sono come sempre molto pregiate e completano degnamente il mio scritto :-) E' proprio così: Klee ci presenta territori, scenari, forme, molto familiari, ma che non possiamo dire di aver mai visto da nessuna parte...coglie l'essenza del vedere...

Ah, grazie per il consiglio cinematografico...appena finisco la visione del decalogo di Kieslowsky, più alcuni ancora che mi rimangono di Rohmer, Pasolini e Bergman, vado senz'altro a questo dei babbi natale :-D

Bacini dal territorio "che è già" :-)

Gillipixel ha detto...

@->Rosalucsemblog: bene, cara Rose, allora non mi rimane che decretare il "missione compiuta" :-)

E' vero, scrivere questi articoletti d'arte è divertente...la cosa più bella è innanzitutto cercare di capire, e poi cercare di mettere ciò che si è capito in una forma accessibile al lettore...ogni volta è una piccola sfida con se stessi, e se ci si aggiunge che hai la possibilità di spaziare fra mille esempi, mille paragoni, mille metafore, mille reminiscenze tratte da tutto ciò che hai studiato in passato, allora ecco che diventa un viaggio bellissimo fra i propri pensieri, le proprie conoscenze, le proprie esperienze :-)

Klee in particolare ha rappresentato una sfida molto alta e stimolante...purtroppo è difficile rendere accessibile più di tanto, certi concetti molto complessi...io ci ho provato :-) e un po' mi pare di essereci riuscito :-)

Bacini con ossequi, riverenze, piroette e demi-plié :-)