Tantissime volte ho parlato della “sacralità” delle parole. Anzi, si potrebbe quasi dire che su questo argomento, il mio blog praticamente ci campa.
Le parole sono vive e in un certo senso importanti come la nostra vita stessa, perché ci rendono capaci di abbracciare il mondo proiettandoci in esso e di far affluire il mondo verso la nostra interiorità più profonda. Le parole sono gran parte della nostra identità, perché sono anche gran parte dei nostri pensieri.
Per questo, quando riusciamo a cogliere nell’utilizzo delle parole una sprovvedutezza introdotta più o meno in buona o cattiva fede, ne deriva una sorta di divertimento amaro, ma pur sempre nobile, perché la cosa ci fa sentire come dei fieri paladini della giustizia semantica e grammaticale, che sono riusciti a smascherare il balordo di turno, nemico, o perlomeno maltrattatore, della parola.
Gli esempi più eclatanti li possiamo pescare spesso dal mondo della pubblicità, dal che si arguisce come questa forma di moderna pestilenza comunicativa possa essere in talune circostanze volta in forma di sollazzo concettuale a buon mercato.
La pubblicità ricorda un po’ una vecchia barzelletta anni ’70 (vi sarete accorti che quando cito una barzelletta, per me sembra sempre scaturita da quel decennio fatidico…forse è solo in virtù di una mia suggestione, ma certe sfumature più salaci dell’umorismo mi piace spesso accostarle a quell’epoca, anche se magari l’abbinamento non corrisponde affatto al vero, cosa tra l’altro di difficilissima verificabilità).
La barzelletta in questione, piuttosto spietata e particolarmente “sociologically incorrect” (e forse è per questo che mi viene da associarla spontaneamente agli anni ’70…), parlava di quel tizio che si recava spesso da uno scarpaio, e se ne usciva sempre con un paio di scarpe strettissime, anche due o tre numeri in meno del suo, rigorosamente calzandole subito dopo l’acquisto.
Il buon bottegaio lasciava correre, si sa, il cliente ha sempre ragione e gli affari sono affari, ma un bel giorno non resistendo più dalla curiosità, si decise a chiedere allo strambo acquirente il perché di questo comportamento: «…Ecco, vede, caro signor scarpaio…» rispondeva con fare mesto il bizzarro cliente, «…mio figlio si droga e spaccia, mia figlia va a battere lungo i viali della circonvallazione, mia moglie passa le giornate davanti alla televisione con la bottiglia in mano e non sa quasi nemmeno più chi sono e se esisto…quando viene sera, l’unica soddisfazione che mi rimane, è levarmi le scarpe dai piedi…».
Lo stesso succede con la pubblicità: l’unica soddisfazione è quando riesci a stanare fra i suoi molesti anfratti quei paradossi bislacchi che ti permettono di urlare un liberatorio: «…Il re è nudo!!!...».
Il primo «re nudo» a cui riesco ad urlare dietro oggi, viene da lontano.
Fa infatti riferimento ad un antico “carosello” dell’epoca di mia “fanciullitudine”. I diversi “caroselli” li distinguevo allora in base allo stato d’animo che mi trasmettevano. C’erano quelli che io reputavo cupi, e che già dalle prime battute non vedevo l’ora finissero, mentre i miei preferiti erano quelli gioiosi, come “El Dindondero”, “Gio Condor”, “Carmencita”, l’omino Bialetti, “bidi bodi bù ondaflex”, e così via.
Questo di cui vi voglio parlare era posizionato in fascia intermedia, per così dire: non mi dava propriamente fastidio, ma nemmeno mi esaltava. Reclamizzava una grappa. Il punto di forza del messaggio, il nucleo della blandizia di quello spot (ogni spot si fonda sempre su una lusinga di base), stava in una presunta particolarità nella lavorazione di quella grappa. I solerti spottari dell’epoca, in pratica oltre alla grappa volevano farci bere questi della ditta come grandi nostri amiconi, disposti a farci un favore incredibile: di tutto il prodotto, dopo aver scartato la “testa” e la “coda” delle vinacce distillate, riservavano a noi ed esclusivamente per noi, badate bene, solamente il “cuore”.
Nella mia ingenuità bambinesca, mentre ero lì che in ogni caso aspettavo la fine rapida di quel “carosello”, sperando che seguisse subito un bel “Miguel son mì”, dicevo fra me e me: «…Però, come sono generosi questi grappari, come ci tengono al palato dei clienti: buttano via un sacco di distillato pur di farli contenti!…».
Solo diversi anni dopo, ho scoperto quale grande favore ci facevano allora con quella sopraffina operazione. Leggete un po' questo piccolo brano (tratto da qui):
«…La condensazione di questi elementi, accompagnata da un odore sgradevole, rappresenta la cosiddetta “testa”, che, come è noto deve essere scartata perché estremamente tossica e pericolosa. Sostanzialmente si tratta di metanolo che, se ingerito, anche in modiche quantità, può produrre gravi problemi al nervo ottico, fino alla cecità, ma può anche causare la morte.
A partire da 78,4 gradi centigradi e sino a 100, abbiamo il “cuore” della grappa, composto da alcol etilico e sostanze volatili che conferiscono gusto e aroma del distillato. Sopra i 100 gradi c’è la “coda”, non pericolosa per la salute ma ricca di impurità e olio amilico, spesso di sapore e odore sgradevoli…».
Capito che grandi amiconi che erano?
Ciò che facevano non era nient'altro altro che applicare la normale procedura di distillazione della grappa, ma nello spot ce la spacciavano per quel gran privilegio alambiccato appositamente per noi. E ci facevano pure sentire quasi in dovere di ringraziarli calorosamente, perché grazie alla loro magnanimità non avremmo finito i nostri giorni sospettati fra l'altro di essere schiattati in odore di suprema “segaiolità” (condizione che, com'è noto, va di pari passo con la perdita della vista...), oppure, nella migliore delle ipotesi, per averci risparmiato una brodaglia puzzolente e nauseabonda.
Fortuna che allora ero un bambino e mi bastava l'immediato arrivo del “Caballero” per spazzare dalla mente ogni ricordo etilico, ma ponderando la cosa a distanza di anni, mi è venuto spontaneo riflettere ancora una volta sulla sacralità delle parole e sulla grande delusione che si prova imbattendosi in casi di infrazione grossolana di tale sacralità.
Molto più onesto sarebbe stato da parte dei pubblicitari se ci avessero raccontato, nel venderci ad esempio un'automobile, che nell'articolo erano comprese pure le ruote: ci sarebbe stata più soddisfazione.
Ma balzando di era pubblicitaria remota in era spottarola recente, veniamo ora ad un altro esempio a noi più vicino.
Quest'altra blandizia reclamizzante la si sente spesso in una odierna televendita di materassi. Qui non si tratta di un vero e proprio ingannevole modo di presentare le cose, ma non credo che questo fatto ci debba rincuorare più di tanto. Forse è sintomo del fatto che i creativi degli spot reputano il pubblico ormai decaduto a quote così infime di boccalonità e gonzaggine, che gli puoi raccontare di tutto, senza timore alcuno di moti eventuali di ribellione o protesta.
In questa réclame di materassi, ci viene raccontato che dorme sul fianco chi ha un carattere posato, sicuro di sé, sempre all'altezza della situazione; riposa invece sulla schiena il tipo deciso, che non si lascia condizionare dagli altri, sempre attivo nell'affrontare gli eventi della vita (ho inventato un po', perché non ricordo alla lettera, ma il tono delle descrizioni è grosso modo questo...); e così via.
E' stato dopo aver sentito due o tre di queste incensature dell'impavido dormiente, accorgendomi con mia decisa incredulità di come praticamente tutte le posizioni di ronfaggio erano state prenotate da gran virtuosi e uomini illustri, che mi è venuto spontaneo chiedermi: «…Va beh, ma allora, i figli di puttana, i buoni a nulla, i codardi, i fannulloni, gli scansafatiche, i perdigiorno, i voltagabbana e i gran bastardi...si può sapere come minchia dormono? Delle due, l'una: o non dormono per niente, perché gli rode la coscienza, e la cosa si potrebbe anche capire, oppure, ancora meglio, dormono in piedi come i cavalli e come tali non interessano, perché non potranno mai essere clienti potenziali di un materasso…».
A questo punto, cari amici viandanti per pensieri, se avete ancora un filo di pazienza, vi racconto ancora un'ultima fregnaccia e poi per oggi mi levo dai piedi.
Sempre a proposito della sacralità delle parole e dello scarso rispetto che si porta ad essa, già vi parlai in altre occasioni della posizione di privilegio che occupano in questo panorama le parolacce, le volgarità, le oscenità. E vi dissi che mi infastidisce molto l'uso inflazionato della parolaccia, non tanto per questioni di bigottismo o simili, ma proprio perché l'oscenità è parola particolarmente sacra fra le parole, portatrice di stati d'animo del tutto peculiari e speciali, e come tale, svilita dall'utilizzo frequente e fuori luogo. Inoltre, nell'uso spropositato della parolaccia, ci leggo anche un adagiamento ad un notevole grado di “pecoronismo”, un “gregarismo” passivo e scarsamente raziocinante, un atto di resa alla banalità espressiva.
Ora, c'è un modo di dire piuttosto volgare che sento pronunciare spesso ultimamente e il cui uso intensivo mi sta sommamente sui cosiddetti. Mi riferisco all'espressione “sega mentale”, laddove s'intenda indicare un atteggiamento di vacua elucubrazione, un vano vagabondaggio meditativo, un labirintico rimescolio di idee. Non saprei dirvi bene perché, ma l'espressione “sega mentale” usata ad ogni piè sospinto, mi dà particolarmente noia.
Forse perché mescola impropriamente ambiti banali con dimensioni ben più nobilitanti, tanto che mi viene da dire a tutti i miseri parlanti imprevidenti e superficiali: una cosa sono le vostre vaccate svaporate nell'aria tanto per buttare fiato fra i denti, altra cosa e ben più seria sono invece il “fai da te” ed il solingo bricolage.
Le parole sono vive e in un certo senso importanti come la nostra vita stessa, perché ci rendono capaci di abbracciare il mondo proiettandoci in esso e di far affluire il mondo verso la nostra interiorità più profonda. Le parole sono gran parte della nostra identità, perché sono anche gran parte dei nostri pensieri.
Per questo, quando riusciamo a cogliere nell’utilizzo delle parole una sprovvedutezza introdotta più o meno in buona o cattiva fede, ne deriva una sorta di divertimento amaro, ma pur sempre nobile, perché la cosa ci fa sentire come dei fieri paladini della giustizia semantica e grammaticale, che sono riusciti a smascherare il balordo di turno, nemico, o perlomeno maltrattatore, della parola.
Gli esempi più eclatanti li possiamo pescare spesso dal mondo della pubblicità, dal che si arguisce come questa forma di moderna pestilenza comunicativa possa essere in talune circostanze volta in forma di sollazzo concettuale a buon mercato.
La pubblicità ricorda un po’ una vecchia barzelletta anni ’70 (vi sarete accorti che quando cito una barzelletta, per me sembra sempre scaturita da quel decennio fatidico…forse è solo in virtù di una mia suggestione, ma certe sfumature più salaci dell’umorismo mi piace spesso accostarle a quell’epoca, anche se magari l’abbinamento non corrisponde affatto al vero, cosa tra l’altro di difficilissima verificabilità).
La barzelletta in questione, piuttosto spietata e particolarmente “sociologically incorrect” (e forse è per questo che mi viene da associarla spontaneamente agli anni ’70…), parlava di quel tizio che si recava spesso da uno scarpaio, e se ne usciva sempre con un paio di scarpe strettissime, anche due o tre numeri in meno del suo, rigorosamente calzandole subito dopo l’acquisto.
Il buon bottegaio lasciava correre, si sa, il cliente ha sempre ragione e gli affari sono affari, ma un bel giorno non resistendo più dalla curiosità, si decise a chiedere allo strambo acquirente il perché di questo comportamento: «…Ecco, vede, caro signor scarpaio…» rispondeva con fare mesto il bizzarro cliente, «…mio figlio si droga e spaccia, mia figlia va a battere lungo i viali della circonvallazione, mia moglie passa le giornate davanti alla televisione con la bottiglia in mano e non sa quasi nemmeno più chi sono e se esisto…quando viene sera, l’unica soddisfazione che mi rimane, è levarmi le scarpe dai piedi…».
Lo stesso succede con la pubblicità: l’unica soddisfazione è quando riesci a stanare fra i suoi molesti anfratti quei paradossi bislacchi che ti permettono di urlare un liberatorio: «…Il re è nudo!!!...».
Il primo «re nudo» a cui riesco ad urlare dietro oggi, viene da lontano.
Fa infatti riferimento ad un antico “carosello” dell’epoca di mia “fanciullitudine”. I diversi “caroselli” li distinguevo allora in base allo stato d’animo che mi trasmettevano. C’erano quelli che io reputavo cupi, e che già dalle prime battute non vedevo l’ora finissero, mentre i miei preferiti erano quelli gioiosi, come “El Dindondero”, “Gio Condor”, “Carmencita”, l’omino Bialetti, “bidi bodi bù ondaflex”, e così via.
Questo di cui vi voglio parlare era posizionato in fascia intermedia, per così dire: non mi dava propriamente fastidio, ma nemmeno mi esaltava. Reclamizzava una grappa. Il punto di forza del messaggio, il nucleo della blandizia di quello spot (ogni spot si fonda sempre su una lusinga di base), stava in una presunta particolarità nella lavorazione di quella grappa. I solerti spottari dell’epoca, in pratica oltre alla grappa volevano farci bere questi della ditta come grandi nostri amiconi, disposti a farci un favore incredibile: di tutto il prodotto, dopo aver scartato la “testa” e la “coda” delle vinacce distillate, riservavano a noi ed esclusivamente per noi, badate bene, solamente il “cuore”.
Nella mia ingenuità bambinesca, mentre ero lì che in ogni caso aspettavo la fine rapida di quel “carosello”, sperando che seguisse subito un bel “Miguel son mì”, dicevo fra me e me: «…Però, come sono generosi questi grappari, come ci tengono al palato dei clienti: buttano via un sacco di distillato pur di farli contenti!…».
Solo diversi anni dopo, ho scoperto quale grande favore ci facevano allora con quella sopraffina operazione. Leggete un po' questo piccolo brano (tratto da qui):
«…La condensazione di questi elementi, accompagnata da un odore sgradevole, rappresenta la cosiddetta “testa”, che, come è noto deve essere scartata perché estremamente tossica e pericolosa. Sostanzialmente si tratta di metanolo che, se ingerito, anche in modiche quantità, può produrre gravi problemi al nervo ottico, fino alla cecità, ma può anche causare la morte.
A partire da 78,4 gradi centigradi e sino a 100, abbiamo il “cuore” della grappa, composto da alcol etilico e sostanze volatili che conferiscono gusto e aroma del distillato. Sopra i 100 gradi c’è la “coda”, non pericolosa per la salute ma ricca di impurità e olio amilico, spesso di sapore e odore sgradevoli…».
Capito che grandi amiconi che erano?
Ciò che facevano non era nient'altro altro che applicare la normale procedura di distillazione della grappa, ma nello spot ce la spacciavano per quel gran privilegio alambiccato appositamente per noi. E ci facevano pure sentire quasi in dovere di ringraziarli calorosamente, perché grazie alla loro magnanimità non avremmo finito i nostri giorni sospettati fra l'altro di essere schiattati in odore di suprema “segaiolità” (condizione che, com'è noto, va di pari passo con la perdita della vista...), oppure, nella migliore delle ipotesi, per averci risparmiato una brodaglia puzzolente e nauseabonda.
Fortuna che allora ero un bambino e mi bastava l'immediato arrivo del “Caballero” per spazzare dalla mente ogni ricordo etilico, ma ponderando la cosa a distanza di anni, mi è venuto spontaneo riflettere ancora una volta sulla sacralità delle parole e sulla grande delusione che si prova imbattendosi in casi di infrazione grossolana di tale sacralità.
Molto più onesto sarebbe stato da parte dei pubblicitari se ci avessero raccontato, nel venderci ad esempio un'automobile, che nell'articolo erano comprese pure le ruote: ci sarebbe stata più soddisfazione.
Ma balzando di era pubblicitaria remota in era spottarola recente, veniamo ora ad un altro esempio a noi più vicino.
Quest'altra blandizia reclamizzante la si sente spesso in una odierna televendita di materassi. Qui non si tratta di un vero e proprio ingannevole modo di presentare le cose, ma non credo che questo fatto ci debba rincuorare più di tanto. Forse è sintomo del fatto che i creativi degli spot reputano il pubblico ormai decaduto a quote così infime di boccalonità e gonzaggine, che gli puoi raccontare di tutto, senza timore alcuno di moti eventuali di ribellione o protesta.
In questa réclame di materassi, ci viene raccontato che dorme sul fianco chi ha un carattere posato, sicuro di sé, sempre all'altezza della situazione; riposa invece sulla schiena il tipo deciso, che non si lascia condizionare dagli altri, sempre attivo nell'affrontare gli eventi della vita (ho inventato un po', perché non ricordo alla lettera, ma il tono delle descrizioni è grosso modo questo...); e così via.
E' stato dopo aver sentito due o tre di queste incensature dell'impavido dormiente, accorgendomi con mia decisa incredulità di come praticamente tutte le posizioni di ronfaggio erano state prenotate da gran virtuosi e uomini illustri, che mi è venuto spontaneo chiedermi: «…Va beh, ma allora, i figli di puttana, i buoni a nulla, i codardi, i fannulloni, gli scansafatiche, i perdigiorno, i voltagabbana e i gran bastardi...si può sapere come minchia dormono? Delle due, l'una: o non dormono per niente, perché gli rode la coscienza, e la cosa si potrebbe anche capire, oppure, ancora meglio, dormono in piedi come i cavalli e come tali non interessano, perché non potranno mai essere clienti potenziali di un materasso…».
A questo punto, cari amici viandanti per pensieri, se avete ancora un filo di pazienza, vi racconto ancora un'ultima fregnaccia e poi per oggi mi levo dai piedi.
Sempre a proposito della sacralità delle parole e dello scarso rispetto che si porta ad essa, già vi parlai in altre occasioni della posizione di privilegio che occupano in questo panorama le parolacce, le volgarità, le oscenità. E vi dissi che mi infastidisce molto l'uso inflazionato della parolaccia, non tanto per questioni di bigottismo o simili, ma proprio perché l'oscenità è parola particolarmente sacra fra le parole, portatrice di stati d'animo del tutto peculiari e speciali, e come tale, svilita dall'utilizzo frequente e fuori luogo. Inoltre, nell'uso spropositato della parolaccia, ci leggo anche un adagiamento ad un notevole grado di “pecoronismo”, un “gregarismo” passivo e scarsamente raziocinante, un atto di resa alla banalità espressiva.
Ora, c'è un modo di dire piuttosto volgare che sento pronunciare spesso ultimamente e il cui uso intensivo mi sta sommamente sui cosiddetti. Mi riferisco all'espressione “sega mentale”, laddove s'intenda indicare un atteggiamento di vacua elucubrazione, un vano vagabondaggio meditativo, un labirintico rimescolio di idee. Non saprei dirvi bene perché, ma l'espressione “sega mentale” usata ad ogni piè sospinto, mi dà particolarmente noia.
Forse perché mescola impropriamente ambiti banali con dimensioni ben più nobilitanti, tanto che mi viene da dire a tutti i miseri parlanti imprevidenti e superficiali: una cosa sono le vostre vaccate svaporate nell'aria tanto per buttare fiato fra i denti, altra cosa e ben più seria sono invece il “fai da te” ed il solingo bricolage.
11 commenti:
Ben detto Gill, o, meglio, ben scritto!
Bibidi bobidi bu, ecco questa me la ricordo, ma credevo appartenesse a Cenerentola..
Carmencita e il caballero li ho visti di recente su Rai 3.
Interessante la grappa di cuore, ma allora forse credevamo ciecamente in ciò che la televisione proponeva. Adesso chi ci fa più caso? E' quasi tutto pubblicità.
Le parole: Hai notato che ogni periodo, di durata variabile, ha una specie di codice obbligato?
Avverbi, sostantivi,... adottati in qualunque circostanza, col rischio di rimanere emarginati se non si utilizzano.
Ciao, grazie di queste utili considerazioni.
Lara
Bellissimo testo! Ha un taglio giornalistico così fluente che se non avessi in questo periodo in odio un certo tipo di giornalisti direi che meriteresti una pubblicazione sulla carta stampata. E poi il finale è superbo: NON PARAGONIAMO LE DIVAGAZIONI PARANOICHE A QUELL'INTERVENTO POETICO E PIENO DI ATTENZIONE E DI AMORE CHE PUò AVERE UN UOMO PER SE' STESSO. Un bacino ammirato.
@->Lara: eheheheh :-) bisogna precisare, cara Lara: quello di Cenerentola, come giustamente dici tu, era in effetti “Bi-di-di-bo-di Di-bù”; quello di Ondaflex invece era “bi-di bo-di bù, pappa-rappà, bi-di bo-di bù” :-)
Almeno così mi pare :-)
Debbo dire poi che un certo genere di “emarginazione linguistica” (quando non comporta conseguenze drammatiche, questo è ovvio…) per me è motivo di orgoglio invece che di umiliazione…anzi, proprio sono io, in tante occasioni, che mi auto-emargino pur di non pronunciare certe espressioni “alla moda” tanto odiose quanto impropriamente utilizzate, così, solo perché “lo fanno tutti”…
Lo dichiaro qui pubblicamente: il giorno in cui, rispondendo ad esempio alla domanda “Quali sono i tuoi piatti preferiti?”, mi sentirete affermare: “Amo molto la pasta asciutta, piuttosto che la pizza, piuttosto che i salumi, piuttosto che…ecc.”, finitemi come un cavallo azzoppato, perché sarà segno che starò soffrendo troppo dal punto di vista mentale :-)
Certo, oggi poi la pubblicità ha fagocitato non solo il linguaggio, ma anche il nostro stesso immaginario…i tempi di quella grappa fanno tenerezza ormai :-)
Anche se magari c’entra poco, volevo poi ricordare una cosa bellissima che sentii da qualche parte qualche tempo fa, riguardo la nobile tribù pellirossa dei Sioux, in particolare a proposito del loro rapporto con il linguaggio… se per caso capitava ad alcuni di loro di essere in presenza di estranei che non conoscessero la lingua Sioux, evitavano di parlare per rispetto dell’individuo che non avrebbe capito cosa stavano dicendo…
questo sì che era rispetto per il linguaggio e per le parole :-)
Grazie, Lara, sei sempre squisitamente gentile :-)
Bacini pellirossa :-)
@->Antonella: cara Anto…cosa risponderti, se non: GULP!!! :-)
Hai presente nei cartoni animati, quando il personaggio di turno è investito da un moto di lusinga tale da essere indotto a deglutire sonoramente, con le fauci felicemente riarse dalla gioia? :-)
Ecco, è esattamente quello che è successo a me leggendo il tuo super-commento extra-lusso :-)
Riguardo al discorso del giornalismo, ho avuto qualche esperienza di quel genere in passato, ma debbo dire che (…a parte il discorso pecuniario, sul quale mica ci sputo, ovvio :-) la dimensione nella quale sa introdurti il tipo di scrittura consentito da un blog è forse la più vicina possibile “all’ideale di scrittura” :-)
Qui puoi dire tutto ciò che vuoi (ovviamente nei limiti del buon gusto, della decenza e del rispetto per il lettore…), puoi dire quello che più ti sta a cuore, puoi farlo coi tuoi spazi e coi tuoi tempi, ed inoltre puoi contare sulla pubblicazione immediata, senza dover sottostare alle bizze di redattori, direttori o gente simile…
Insomma, anche sotto questo punto di vista, possiamo notare una considerevole analogia con il “nobil gesto solitario” di cui tratto di sfuggita nel mio scritto :-)
La scrittura bloghesca infonde senso di libertà e di gratuità in chi la pratica, due sensazioni, che una volta mescolate, calano lo scrivente in uno stato d’animo privilegiato e nobilitato…proprio perché non c’è nessun obbligo dietro, nessun contratto con nessuno, nessuna richiesta da rispettare, nessun compenso a cui mirare, niente di niente se non il piacere della scrittura fine a se stesso...
Certo…se poi si ricevono commenti così spettacolari come questo tuo…sono meglio di uno stipendio :-)
La questione delle oscenità, delle parolacce, è poi un tema a cui tengo in modo particolare…sono veramente una parte troppo preziosa del nostro vocabolario, da lasciare che vengano così abusate vacuamente come viene fatto da parte di molte persone, che le prosciugano della loro originaria magia e potenza espressiva…le oscenità competono a stati d’animo del tutto “sovrumani”, sono di pertinenza del furore, dell’arguzia, dell’ironia più feroce, dell’eccitazione erotica più estatica… confonderle con l’ordinarietà e la banalità espressiva, nel commercio quotidiano dei piccoli fatti e delle miserrime frasi utilitaristiche, è un affronto alla bellezza della nostra lingua, nonché al mistero dell’eros e delle potenze irrazionali che regnano nella nostra interiorità più remota…
In questo senso, Anto, nelle cose che scrivi sul tuo blog, ho sempre apprezzato l’uso del tutto sapienziale e centellinato che fai delle parole “oscene”…infatti, quelle poche e misurate volte che le usi, sanno evocare tutta la loro potenza semantica, e corrono lungo la schiena del lettore come un brivido di adrenalina narrativa…così si fa :-)
Così com’è molto bella la considerazione che hai fatto in questo commento, rimarcata in maiuscolo: è un piacere puro quando un proprio scritto riesce a suscitare una sintonia così precisa con la percezione del lettore :-)…
“…QUELL'INTERVENTO POETICO E PIENO DI ATTENZIONE E DI AMORE CHE PUò AVERE UN UOMO PER SE' STESSO…” è una delle più belle definizioni che io abbia mai sentito per “quel gesto” :-)
Ecco, insomma…niente, Anto…grazie ancora tantissime per le parole stupende che mi hai riservato…nella mia carriera di bloggarolo non stipendiato, oggi per me equivale ad un gran bel 27 del mese :-)
Bacini appagati :-)
e finalmente ho potuto leggere :-D
allora, io lo so come dormono i figli di puttana etc.: in ginocchio sui ceci, così possono espiare e non avere sensi di colpa al risveglio ;-)
su certi gesti solinghi però debbo vagamente dissentire: l'onanismo mentale ha infatti una sua propria dignità profonda. dico io, ma senza quello avremmo mai avuto capolavori come alla ricerca del tempo perduto o l'uomo senza qualità o anche la coscienza di zeno?
ergo la sega mentale ha un suo profondo e sintetico perché linguistico :-D
baci serali e un po' scemi
aggiungo alcuni link di pura nostalgia:
http://www.youtube.com/watch?v=3FNnydzwa_g&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=-JKaR2_cf0Y&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=KhSp_jaFceo&feature=related
ansig dice blogspot, quasi come un sospiro
@->Farly: Aaaaahhhhh!!! Prestooo!!! Urge immediata e risoluta precisazione, cara metà principale di chimera mia :-)
Non mi sarei mai sognato di muovere il benché minimo appunto alla nobile pratica del vagheggiamento mentale libero e gratuito...non sia mai!!! Il mio stesso blog su quella roba praticamente ci affonda i suoi piedoni, anzi ci è dentro fino al collo :-) Non avrei mai potuto criticare una simile propensione mentale, perché si tratta di una vera e propria arte, si tratta del nucleo più genuino fra le possibilità creative a disposizione di un pensatore o di un artista (o anche solamente di un cazzaro perdigiorno come me :-)
Quello che volevo dire è che mi infastidisce l'uso inflazionato dell'oscenità, perché l'oscenità pertiene a dimensioni emotive troppo superiori per essere svilite fra le bassezze del dialogare corrente ed ordinario...”sega mentale” è espressione molto colorita e anche nobile, ma solo se riferita ai sommi esempi di elucubrazione praticati sulle altissime vette dell'inutilità più raffinata ed oziosa :-)
Ma se ogni fisima o irrilevante contorsione del pensiero, che passa per la testa del più infimo degli ottusi “non pensanti” in cui c'imbattiamo tutti i giorni, si trasforma in “sega mentale”, ecco che l'espressione perde tutta la sua poesia e la sua originalità...
Per questo dicevo: oh, ragazzi, piano, le seghe sono cosa seria e quelle mentali lo sono forse ancor di più :-)
Tra l'altro, non avrei mai potuto criticare l'elucubrazione brada fra i territori della surrealtà, proprio io che recentemente, sentendomi assalito da un filo di malinconia, mi sono messo per l'ennesima volta a cominciare l'Uomo senza qualità :-)
E la cosa preoccupante poi, non è tanto il gesto in sé, ma il fatto che la cosa mi ha veramente recato sollievo, leggere Musil mi ha fatto sentire meglio :-) Che a ben pensarci, è un po' come se, per curare un pluritraumatizzato pieno di fratture, lo si facesse passare sotto un rullo compressore :-)
Stupendi i link che hai messo, cara Farly :-) Tra l'altro, sempre per rimanere in tema di linguaggio, quei vecchi caroselli (a parte alcuni rari casi di candido ed ingenuo inganno grappesco :-) erano una vera e propria dichiarazione d'amore al linguaggio ed alla sua espressività...
Prendi ad esempio il Dindondero: quando il coretto dei messicani cicci e danzanti si mette e dire “...e tì, e tì, e tì non dize niente...”...beh, è fenomenale, una neolingua ispano-veneziana tutta da ridere e da gustare :-)
Oppure la Linea: superbo!!! :-) con quel suo modo di parlare, un frullato di termini e inflessioni milanesi biascicati buffamente, suoni onomatopeici, versi e pernacchiette modulate...sublime :-)
ansi g è fortissimo :-)
Bacini nostalgici un po' :-)
e certo che l'inflazione deprezza tutto, pur anco i termini di più nobile senso, ma insomma che mezza chimera sarei se non precisassi e integrassi e cazzeggiando proseguissi?
bacini al congiuntivo (specie in via di estinzione)
Che bel post.
Sono anche d'accordo con Farly: la sega mentale e' importante: pensare in astratto e' quello che ci ha fatto scendere dagli alberi.
Naturalmente come per le seghe, non si puo' passare la vita a farsi solo seghe mentali: in questo caso si diventa davvero diventa ciechi verso un mondo che val la pena di essere visto...
:-)
Yoss supersloggato e di fretta.
@->Farly: eheheheheh :-) ma certo Farly, le chimere devono fare il loro mestiere, ci mancherebbe...sapevo che avevi colto benissimo lo spirito del mio scritto e le tue chiose sono assolutamente ogni volta preziose, e completano sempre i miei sribacchiamenti con corollari fondamentali :-)
E poi, il fatto è che le seghe mentali sono così fertili, che non ho potuto esimermi dal farmene anche in sede di risposta al tuo commento :-)
Bacini latini al gerundivo :-D
@->Yossarian: ciao, Yoss :-) che bello ritrovarti nei miei commenti...grazie, mi onorano sempre tanto i tuoi complimenti...
Mi mancano i tuoi articoli in questo periodo, ho visto che sei un po' fermo, ma si sa, le feste sono le feste...spero di rileggere presto qualche tuo bello scritto storico o anche di qualsiasi altro tema :-)
Già...seghe mentali e seghe fisiche...non si dovrebbe lasciarsi trascinare troppo da entrambe le pratiche, perchè poi ci si auto-reclude in una bolla auto-referenziale...
Nel limite del possibile, cerco di fare del mio meglio perchè non accada :-)
Molto spesso mi coglie il sospetto atroce che questo mio blog si riduca in fondo ad un'unica, esagerata, colossale sega mentale :-)
Ma poi penso anche: quello che scrivo diverte le persone...non scriverò di temi epocali, ma sono sempre cose che riguardano la vita, e ciascuno può magari essere stimolato a riflettere...
così alla fine concludo: per una sega è necessario per forza essere da soli, pena il decadimento della definizione stessa...Io invece con questo mio blog non sono da solo, ma ho dei carissimi lettori, sensibili e qualificati...
Ergo: viene meno il sospetto di segaiolità :-)
Ciao Yoss :-) a presto e...scrivi, dai!!! :-)
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