Oggi mi piacerebbe cercare di ragionare intorno ad un concetto di cui non sono poi così tanto sicuro. Mi consola però il fatto che io non sono mai sicuro di ciò che scrivo, e dunque, dove starebbe la novità?
Ma soprattutto: dov'è il problema?
In altre parole, cercherò di raccontarvi come praticamente la maggioranza delle persone ancora oggi, nel pieno dell'era tecnologica per eccellenza, viva in ambienti che pagano ancora un alto tributo ad una concezione dello spazio antica di alcuni millenni.
Ma andiamo per ordine, e cerchiamo di non fare confusione.
La cosa mi è venuta in mente gironzolando per strada e guardandomi attorno, a dimostrazione del fatto che anche il “perdi-tempismo” può rivelarsi attività intellettuale discretamente proficua. Ci si accorge di questo fatto passeggiando, osservando le case e ogni tanto girando l'angolo. La maggior parte degli edifici sono impostati su di una struttura tale per cui, visivamente, si comportano come tanti cubi di Rubik con le facce rotanti all'unisono. Cioè, lasciatemi spiegare: non è che si muova nulla, non ruota proprio niente.
Quello che intendo dire è che quasi tutti gli edifici sono concepiti per essere visti e considerati di volta in volta, e separatamente, su uno dei quattro fronti. Lo scorrimento perimetrale dello sguardo lungo i muri, e quindi la medesima posizione di chi guarda, sembrano quasi progredire “per scatti”: ora sono di fronte, ora sono su un fianco, ora sono sull'altro, ora sono sul retro. L'edificio è quasi idealmente circoscritto in un cubo ipotetico, che “si esprime” per viste parziali delle proprie facciate.
Quando si è disposti in una posizione angolare dalla quale scorgiamo nel nostro campo visivo una specie di ibrido composto di due fronti contigui e fusi nello spigolo, si ha quasi l'impressione che si tratti di una prospettiva spuria, non ufficialmente prevista.
Si verifica inoltre un altro curioso fenomeno nel fenomeno. Normalmente i vari prospetti seguono una sorta di graduatoria per importanza: c'è un fronte propriamente detto, che è quello principale e solitamente contempla l'ingresso; ci sono due fianchi o “profili”, nella maggior parte dei casi un po' più anonimi; ed infine c'è un retro, una “schiena”. La casa insomma è fortemente antropomorfizzata, ispirata alle fattezze umane, tanto che anche il nostro rapporto con essa viene influenzato da questa “graduatoria”: stando di faccia alla facciata principale, ci sentiamo “nel giusto”, come se ci trovassimo in una posizione leale rispetto allo stabile; già su uno dei due fianchi, si comincia a percepire un po' di disagio, mentre stando proprio dietro, può addirittura capitare di avere la non meglio definita sensazione di essere dei guardoni che sbirciano il culo (si può dire “culo”?...) dell'edificio, e nel contempo si assapora il malcelato gusto di disporre di una piccola “onnipotenza perversa”, con la possibilità in altre parole di fare boccacce e sberleffi all'edificio, senza poter essere “visti” da esso.
Ora, per rimanere in ambito nazionale, ma il discorso si potrebbe estendere ad ogni paese cosiddetto occidentale, è più o meno assodato che oggi noi viviamo in una democrazia. Lasciamo che dal presente discorso esulino i “particolari di cronaca” e le sfumature politiche più sottili. Di fatto, siamo democratici e pure piuttosto tecnologici, come dicevo già anche prima.
Eppure, la questione delle “case di Rubik” umanizzate mi ha fatto ricordare una cosa letta tempo fa sul primo tometto di un'opera fondamentale, la “Storia sociale dell'arte” di Arnold Hauser, che qui introduco solamente, ma che mi riprometto di tornare a frequentare di nuovo in occasione di altri articoletti riguardanti tematiche artistiche ed affini.
Nei suoi quattro volumi, Hauser affronta tutta la storia dell'arte dall'antichità fino a metà '900, analizzandola con un taglio sociologico. La faccenda che m'interessa qui è la cosiddetta “frontalità” dell'arte egizia. Sì, mi riferisco proprio alla tipica postura “di sguincio” che veniva assegnata al corpo umano nelle rappresentazioni realizzate, diciamo un po' genericamente (perché ai fini del mio discorso bislacco, secolo più o secolo meno non è importante), all'epoca delle piramidi e dei faraoni.
Vi siete mai domandati il perché di quella curiosa disposizione della figura umana? Certo, son d'accordo sul fatto che nella vita possano sorgere interrogativi ben più pressanti e soprattutto che uno possa campare, e anche alla grande, senza sapere una cippa di nulla di questo argomento.
Ma così come Hauser la mette giù, la questione diventa interessante. Il bravo studioso anglo-magiaro esclude da subito l'eventualità che gli egizi rappresentassero le persone “di sgaidone”(come si direbbe con fine vocabolo Gillipixilandese) a causa di loro limiti o carenze nel padroneggiare la tecnica pittorica.
Quella posizione innaturale era invece voluta proprio in virtù della sua “innaturalezza”. Hauser ci spiega l'arcano ricorrendo alla differenza fra teatro “aulico” e rappresentazione “naturalistica”:
«...Questo atteggiamento trova la sua tarda, ma pur sempre chiara espressione nelle convenzioni del teatro di corte, dove l'attore, senza riguardo alle esigenze dell'illusione scenica, si rivolge direttamente allo spettatore, lo apostrofa – per così dire – con ogni parola e ogni gesto, e non solo evita di “volgergli le spalle”, ma sottolinea con ogni mezzo che si tratta soltanto di una finzione, di un trattenimento preparato secondo le regole del gioco...»
“Storia sociale dell'arte”
Arnold Hauser – 1955
Questo tipo di teatro affonda le proprie radici concettuali e sociologiche proprio nella concezione spaziale secondo cui gli egizi rappresentavano la figura umana. Ogni volontà di introdurre artifici illusionistici era bandita. Lo spettatore, al pari di chi si accollava l'onere delle rappresentazioni, faceva parte di una cerchia di colti privilegiati, e non era richiesto né contemplato nessun genere di finzione: «...nell'arte delle autocrazie e delle aristocrazie [...]» aggiunge Hauser, « il committente è un iniziato, un esperto che non occorre ingannare...».
E ancora: «...Il teatro naturalistico rappresenta il passaggio al polo opposto di quest'arte “frontale”: al film, che, attivando lo spettatore, e facendolo presenziare direttamente agli avvenimenti invece di presentarglieli, come se assistesse ai fatti per caso e cogliesse gli attori in flagrante, riduce al minimo le finzioni e le convenzioni del teatro. Nel suo solido illusionismo, nella sua immediatezza profana e indiscreta, che soggioga e violenta lo spettatore, si esprime chiaramente la concezione dell'arte propria delle democrazie, degli ordinamenti liberali, antiautoritari e livellatori delle differenze ideologiche...».
Ora viene da domandarsi: perché a diversi millenni di distanza, nel pieno dell'era di internet, le nostre case si comportano ancora come ai tempi di un popolo che (con tutto rispetto per la raffinatissima cultura egizia) non utilizzava alfabeto, nè telecomando, nè digitale terrestre (*), e adorava il proprio re come suo Dio in terra?
Ma soprattutto, perché ci ostiniamo ad illuderci che le case abbiano un culo?
Ma soprattutto: dov'è il problema?
In altre parole, cercherò di raccontarvi come praticamente la maggioranza delle persone ancora oggi, nel pieno dell'era tecnologica per eccellenza, viva in ambienti che pagano ancora un alto tributo ad una concezione dello spazio antica di alcuni millenni.
Ma andiamo per ordine, e cerchiamo di non fare confusione.
La cosa mi è venuta in mente gironzolando per strada e guardandomi attorno, a dimostrazione del fatto che anche il “perdi-tempismo” può rivelarsi attività intellettuale discretamente proficua. Ci si accorge di questo fatto passeggiando, osservando le case e ogni tanto girando l'angolo. La maggior parte degli edifici sono impostati su di una struttura tale per cui, visivamente, si comportano come tanti cubi di Rubik con le facce rotanti all'unisono. Cioè, lasciatemi spiegare: non è che si muova nulla, non ruota proprio niente.
Quello che intendo dire è che quasi tutti gli edifici sono concepiti per essere visti e considerati di volta in volta, e separatamente, su uno dei quattro fronti. Lo scorrimento perimetrale dello sguardo lungo i muri, e quindi la medesima posizione di chi guarda, sembrano quasi progredire “per scatti”: ora sono di fronte, ora sono su un fianco, ora sono sull'altro, ora sono sul retro. L'edificio è quasi idealmente circoscritto in un cubo ipotetico, che “si esprime” per viste parziali delle proprie facciate.
Quando si è disposti in una posizione angolare dalla quale scorgiamo nel nostro campo visivo una specie di ibrido composto di due fronti contigui e fusi nello spigolo, si ha quasi l'impressione che si tratti di una prospettiva spuria, non ufficialmente prevista.
Si verifica inoltre un altro curioso fenomeno nel fenomeno. Normalmente i vari prospetti seguono una sorta di graduatoria per importanza: c'è un fronte propriamente detto, che è quello principale e solitamente contempla l'ingresso; ci sono due fianchi o “profili”, nella maggior parte dei casi un po' più anonimi; ed infine c'è un retro, una “schiena”. La casa insomma è fortemente antropomorfizzata, ispirata alle fattezze umane, tanto che anche il nostro rapporto con essa viene influenzato da questa “graduatoria”: stando di faccia alla facciata principale, ci sentiamo “nel giusto”, come se ci trovassimo in una posizione leale rispetto allo stabile; già su uno dei due fianchi, si comincia a percepire un po' di disagio, mentre stando proprio dietro, può addirittura capitare di avere la non meglio definita sensazione di essere dei guardoni che sbirciano il culo (si può dire “culo”?...) dell'edificio, e nel contempo si assapora il malcelato gusto di disporre di una piccola “onnipotenza perversa”, con la possibilità in altre parole di fare boccacce e sberleffi all'edificio, senza poter essere “visti” da esso.
Ora, per rimanere in ambito nazionale, ma il discorso si potrebbe estendere ad ogni paese cosiddetto occidentale, è più o meno assodato che oggi noi viviamo in una democrazia. Lasciamo che dal presente discorso esulino i “particolari di cronaca” e le sfumature politiche più sottili. Di fatto, siamo democratici e pure piuttosto tecnologici, come dicevo già anche prima.
Eppure, la questione delle “case di Rubik” umanizzate mi ha fatto ricordare una cosa letta tempo fa sul primo tometto di un'opera fondamentale, la “Storia sociale dell'arte” di Arnold Hauser, che qui introduco solamente, ma che mi riprometto di tornare a frequentare di nuovo in occasione di altri articoletti riguardanti tematiche artistiche ed affini.
Nei suoi quattro volumi, Hauser affronta tutta la storia dell'arte dall'antichità fino a metà '900, analizzandola con un taglio sociologico. La faccenda che m'interessa qui è la cosiddetta “frontalità” dell'arte egizia. Sì, mi riferisco proprio alla tipica postura “di sguincio” che veniva assegnata al corpo umano nelle rappresentazioni realizzate, diciamo un po' genericamente (perché ai fini del mio discorso bislacco, secolo più o secolo meno non è importante), all'epoca delle piramidi e dei faraoni.
Vi siete mai domandati il perché di quella curiosa disposizione della figura umana? Certo, son d'accordo sul fatto che nella vita possano sorgere interrogativi ben più pressanti e soprattutto che uno possa campare, e anche alla grande, senza sapere una cippa di nulla di questo argomento.
Ma così come Hauser la mette giù, la questione diventa interessante. Il bravo studioso anglo-magiaro esclude da subito l'eventualità che gli egizi rappresentassero le persone “di sgaidone”(come si direbbe con fine vocabolo Gillipixilandese) a causa di loro limiti o carenze nel padroneggiare la tecnica pittorica.
Quella posizione innaturale era invece voluta proprio in virtù della sua “innaturalezza”. Hauser ci spiega l'arcano ricorrendo alla differenza fra teatro “aulico” e rappresentazione “naturalistica”:
«...Questo atteggiamento trova la sua tarda, ma pur sempre chiara espressione nelle convenzioni del teatro di corte, dove l'attore, senza riguardo alle esigenze dell'illusione scenica, si rivolge direttamente allo spettatore, lo apostrofa – per così dire – con ogni parola e ogni gesto, e non solo evita di “volgergli le spalle”, ma sottolinea con ogni mezzo che si tratta soltanto di una finzione, di un trattenimento preparato secondo le regole del gioco...»
“Storia sociale dell'arte”
Arnold Hauser – 1955
Questo tipo di teatro affonda le proprie radici concettuali e sociologiche proprio nella concezione spaziale secondo cui gli egizi rappresentavano la figura umana. Ogni volontà di introdurre artifici illusionistici era bandita. Lo spettatore, al pari di chi si accollava l'onere delle rappresentazioni, faceva parte di una cerchia di colti privilegiati, e non era richiesto né contemplato nessun genere di finzione: «...nell'arte delle autocrazie e delle aristocrazie [...]» aggiunge Hauser, « il committente è un iniziato, un esperto che non occorre ingannare...».
E ancora: «...Il teatro naturalistico rappresenta il passaggio al polo opposto di quest'arte “frontale”: al film, che, attivando lo spettatore, e facendolo presenziare direttamente agli avvenimenti invece di presentarglieli, come se assistesse ai fatti per caso e cogliesse gli attori in flagrante, riduce al minimo le finzioni e le convenzioni del teatro. Nel suo solido illusionismo, nella sua immediatezza profana e indiscreta, che soggioga e violenta lo spettatore, si esprime chiaramente la concezione dell'arte propria delle democrazie, degli ordinamenti liberali, antiautoritari e livellatori delle differenze ideologiche...».
Ora viene da domandarsi: perché a diversi millenni di distanza, nel pieno dell'era di internet, le nostre case si comportano ancora come ai tempi di un popolo che (con tutto rispetto per la raffinatissima cultura egizia) non utilizzava alfabeto, nè telecomando, nè digitale terrestre (*), e adorava il proprio re come suo Dio in terra?
Ma soprattutto, perché ci ostiniamo ad illuderci che le case abbiano un culo?
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(*) = dove ora vedete la frase in rosso, nella versione originale dell'articoletto ci stava scritto:
"...un popolo che (con tutto rispetto per la raffinatissima cultura egizia) non conosceva ancora la ruota...".
Essendomi accorto che questo dato era impreciso, perchè gli egizi hanno conosciuto la ruota solo ad un certo punto della loro lunghissima storia, ho preferito rettificare scherzosamente in questo modo. Tanto vi dovevo, cari amici viandanti per pensieri...
"...un popolo che (con tutto rispetto per la raffinatissima cultura egizia) non conosceva ancora la ruota...".
Essendomi accorto che questo dato era impreciso, perchè gli egizi hanno conosciuto la ruota solo ad un certo punto della loro lunghissima storia, ho preferito rettificare scherzosamente in questo modo. Tanto vi dovevo, cari amici viandanti per pensieri...
6 commenti:
bellissimo post gilly! ho una proposta di risposta: vivendo dentro case dotate di culo, di un enorme culo per l'esatezza, speriamo fortemente di avere un'altrettanto grande botta di ...
baci di sguincio
ps perché manic monday di martedì?
@->Farly: grazie, grazie, cara Farly :-) come sempre chiosi alla perfezione i miei scritti, aggiungendo quel piccolo dettaglio di completamento...non ci avevo pensato infatti: le case vengono mantenute col loro bel culo, per via del buon auspicio :-)
Però, a questo punto, la domanda sorge spontanea: non è che tutti quelli che si ritrovano poi ad uscire dalla porta sul retro, si potranno considerare dei grandi str...? :-D
Terza media imperat :-D
Ah...Manic monday l'ho scelta per questo motivo: subito volevo mettere Walk like an egyptian, ma poi era troppo scontato, così ho pensato che solo il fatto di mettere una canzone delle Bangles sarebbe stato sufficiente per richiamare quella loro sugli egizi :-)
Bacini nubiani :-)
uhm potremmo di questo passo pensare ad altre analogie, classificare chi entra e chi esce in vario modo, ad esempio chi entra dal retro è una supposta?
baci dai banchi di scuola (elementare)
@->Farly: ecco, ma allora se mi attiri nel pieno di questi campi minati del rinfanciullimento scatologico, non se ne viene più fuori :-)
Che dire allora di quando si spalanca la porta di servizio per fare usicre l'aria viziata? :-D
E pensare che voleva essere un articolo culturale e si è ridotto ad una giocosa chiavica ridanciana :-D
Bacini censurati :-)
ma date le premesse sarà comunque aria culturalmente ben nutrita... va' facciamo che al seminterrato c'è anche la biblioteca di quartiere, così qualunque cosa diciamo è nobilitata dalla parola scritta... uhm la biblioteca ha l'uscita sul retro... che vorrà dire?
@->Farly: vorrà forse dire che la cultura e la vera conoscenza sono attributi umili e schivi? :-) Non richiedono il clamore dell'igresso principale, ma sanno stare nell'ombra, perchè la sapienza basta a se stessa :-)
Boh :-)
Bacini di servizio :-)
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