giovedì 7 aprile 2011

Arte gattemica


«…In mezzo alla natura selvaggia avevo imparato a guardarmi dai movimenti bruschi. Le creature che si incontrano là sono ombrose e guardinghe; sanno cogliere di sorpresa, sfuggire quando meno ci si aspetta. Un animale domestico sarebbe incapace di stare quieto come un animale selvaggio. Gli uomini civilizzati non sanno più cos’è la vera calma, e devono prendere lezioni dal silenzio del mondo selvaggio, prima che quel mondo li accetti. L’arte di muoversi con delicatezza, senza scatti improvvisi, è la prima arte del cacciatore, soprattutto del cacciatore con la macchina fotografica. Chi sta cacciando non può fare a modo suo, deve vivere col vento, coi colori, con gli odori del paesaggio, adattarsi al ritmo dell’insieme che spesso lo costringe a ripetere più volte lo stesso gesto. Quando si riesce a cogliere il ritmo dell’Africa, ci si accorge che è identico in tutta la sua musica: quello che avevo imparato andando a caccia mi servì poi nei miei rapporti con gli indigeni…».

“Out of Africa”
Karen Blixen – 1937


Questo bel brano di Karen Blixen mi ha fatto subito pensare ai gatti.
Certo, qui si parla di fiere e grandi belve, ma anche quella piccola e familiare pantera in miniatura con la quale tanti di noi possono avere quotidianamente a che fare, ossia il micio di casa, può rappresentare a modo suo la “nostra Africa”.

I gatti che ho conosciuto nella mia vita non sono stati mai tanto domestici. Nel senso che li ho sempre avuti un po’ in giro intorno a casa, magari arrivati un bel mattino da chissà dove e insediati in un battibaleno a pieno titolo come nuovi inquilini part-time. Non avevano mai perso del tutto quel loro peculiare legame con la selvatichezza, insomma, sempre ammesso che anche il più stanziale dei felini d’appartamento lo perda mai.
Questo ha forse influito nel determinare la mia visione del confronto fra uomo e gatto.

I gatti possono insegnare tanto a chi sa ascoltare le loro lezioni. Sotto questo aspetto sono molto orientali e Zen. Se si parte con delle pregiudiziali, supponendo di sapere già tutto sul loro conto e uscendosene con verità preconfezionate del tipo “…bah, non sono affettuosi…”, oppure “…stanno lì nei paraggi solo per il cibo…”, allora non s’imparerà mai nulla dai mici.

L’«epifania felina» nel brano di Karen Blixen sta tutta in questa frase: «…avevo imparato a guardarmi dai movimenti bruschi…». I gatti sono maestri di “tolleranza spaziale”. Se ci tieni davvero a loro, devi dare per scontata la sintonizzazione al ritmo e all’intensità delle loro movenze.

Col gatto si impara a dare molto più valore alla propria “sfera d’influenza prossemica” e a rispettare quella altrui, perché lui in questa specialità ti costringe ad una “palestra” d’intensità praticamente mai raggiungibile nelle dinamiche normalmente intessute con altri umani.

Ogni essere vivente si esprime esistenzialmente attraverso una estroflessione della propria spazialità interiore, proiettandola sulle dinamiche fisiche esterne che lo coinvolgono. Ognuno si porta dietro la sua “bolla d’influenza spaziale” e a partire dal rapporto che s’innesca fra queste bolle vaganti che siamo tutti noi, molto si determina anche del rapporto intessuto fra le nostre esigenze spirituali.

Il gatto c’insegna ad acuire in misura molto raffinata la sensibilità relativa a questi valori.

Non saprei dire il numero delle volte che con un micio mi è capitato di stare in bilico sulla soglia dell’uscio, soppesando a quintalate di pazienza l’interminabile lasso di tempo utile alla sortita di una sua decisione sul da farsi: si entra o non si entra? Ci si gratta? Oppure, che dire di una passatina di zampa dietro l’orecchio?...

Una volta lessi una buffa e saggissima definizione del gatto coniata dal grande designer Bruno Munari. Purtroppo non la rammento letteralmente, per cui rinuncio a riportarvela in una forma raffazzonata che non renderebbe merito alla sua bellezza. Ricordo però che metteva in risalto in maniera mirabile la tattilità particolare innescata dal contatto fra la mano dell’uomo ed il corpo del micio, che Munari riassumeva in questa prospettiva come un misto di morbidezza potenzialmente arrecante improvvise ed inaspettate “pungevolezze”. Il gatto sa regalare le sensazioni di tenerezza più pregiate con la sua pelliccia, ma la sorpresa degli artigli o dei dentini sfoderati può sempre scattare da un momento all’altro, inopinatamente.

Anche questo aspetto della relazione uomo-gatto è molto significativo. E’ proprio carezzando un micio, che ci si ritrova alle prese con un’altra importante opportunità di mettere alla prova il nostro senso di valutazione riguardo a ciò che è fisicamente concesso e ciò che invece cade sotto l’egida di un’interdizione delicata e sottile.

Le dinamiche cambiano anche di parecchio da gatto a gatto, ed in modo particolare possono essere diverse se si tratta di una micia oppure di un micio. Grosso modo, tuttavia, ci si può in genere regolare sapendo che la collottola, la gola ed il capo sono territori franchi: lì è possibile inoltrarsi senza timore, ricevendo in cambio un tributo di fusa e gratitudine. La schiena inizia già ad essere un settore della mappa pellicciosa a porzioni differenziali: più si va verso la coda, più incombe l’automaticità dello scatto delle unghie.

Ma il vero banco di prova sono la pancia e i cuscinetti sotto le zampe. Se il micio concede l’impunità su quelli, significa veramente che con lui si è raggiunta un’intesa speciale. Parlando di faccende umane fra le più rarefatte ed impalpabili, mi sento di dire che poche esperienze al mondo riescono ad avvicinare il senso di beatitudine, di fiducia e di riconciliazione con il Tutto, che sa regalare un gatto quando concede agevole asilo alla nostra mano sulla propria pancia.
In quei casi scatta una sorta di mini-illuminazione, un accesso a dimensioni di ordine superiore, ottenuto attraverso il privilegiato salvacondotto offerto dalla felinità.

Per tutti questi motivi insomma i gatti sanno essere a modo loro “le nostre Afriche”. Perché col pretesto apparente d’illustrarci una “ecologia dello spazio”, finiscono per aprire il nostro spirito ad una “ecologia dell’anima”.


7 commenti:

Marisa ha detto...

si, davvero si potrebbe imparare molto dagli animali ma l'uomo ha smesso da tempo di imparare perchè crede di sapere tutto ed invece si sta involvendo verso un analfabetismo culturale e morale per somigliare sempre di più ad un'ameba.
Pare che l'ameba sia il modello da imitare più interessante del mondo animale. ciao-miao

Gillipixel ha detto...

@->Marisa: vero, cara Mari, non c'è certo da stare tanto allegri in effetti, a guardarsi in giro di questi tempi...ma io vado sostenendo sempre la mia piccola tesi utopistica :-) ovvero che gli individui di maggiore sensibilità debbono ad ogni modo fare la loro piccola parte nella costruzione della bellezza del mondo...
Sarà un'illusione, sarà un pio desiderio, ma rimango convinto che alla fine qualcosa serve...o perlomeno, credo che ne valga comunque la pena :-)

Bacini in pelliccia :-)

farlocca farlocchissima ha detto...

maaaaoooo frrrrr maaaaoooo che bel post!!! bello bello...

bacini con fusa

Gillipixel ha detto...

@->Farly: ehehehe :-) grazie, Farly, lo so che sulle frequenze feline ti sintonizzi volentieri anche tu :-)
Bacini fusaioli a te :-)

Lara ha detto...

Il gatto è un animale con un fascino speciale.
Caro Gill, eri sparito dal mio elenco dei blog che seguo. Non capisco cosa sia, ma ogni tanto sparisce qualcuno dalla lista, non so se a te è mai capitato ..-
Comunque vado a ri-aggiungerti subito.
Scusami!!!
Lara

Lara ha detto...

Il gatto è un animale con un fascino speciale.
Caro Gill, eri sparito dal mio elenco dei blog che seguo. Non capisco cosa sia, ma ogni tanto sparisce qualcuno dalla lista, non so se a te è mai capitato ..-
Comunque vado a ri-aggiungerti subito.
Scusami!!!
Lara

Gillipixel ha detto...

@->Lara: è vero, Lara, certe volte blogspot fa le bizze e si mette a combinare cose strane...sono contento di ritrovarti fra i miei commenti e grazie per avermi ripristinato nel tuo elenco :-)
Tu nel mio ci sei sempre :-)

Bacini ripristinati :-)