sabato 21 maggio 2011

Il giorno in cui Gilles divenne maggio


Cari amici viandanti per pensieri, l’ultima volta che ci siamo sentiti vi parlavo della mia prerogativa di saper coltivare di tanto in tanto anche le “non-passioni”, come quella per la Formula 1, ad esempio (e se proprio non avete di meglio da fare, è consigliabile dunque leggere anche il precedente articoletto…).

Diciamo che le “non-passioni”, diversamente dalle loro cugine passioni, quasi “don-abbondantemente” parlando, non te le puoi dare. Più che altro, sono loro che ti vengono a cercare. Infatti fu così che alcuni anni dopo la surreale avventura motoristica vissuta in quel di Monza, mi capitò di assistere ad un altro Gran premio, questa volta ad Imola. Furono i miei vecchi amici delle medie a coinvolgermi in quel caso, qualche tempo dopo il termine della nostra avventura scolastica comune.

Ci recammo in treno nella cittadina emiliana e i ricordi di quell’occasione, pur essendo sempre velati di un’aura leggendaria, risultano molto meno vistosamente sgangherati. Forse anche per il fatto che nel frattempo un po’ ero cresciuto, facendoci leggermente il callo a quest’idea che nel mondo le cose strane capitano molto più di frequente di quanto non si creda. La prima impressione che ricordo è la dimensione di “motorizzazione assolutistica” in cui mi trovai immerso appena messi giù i piedi del treno. Per raggiungere l’autodromo dovemmo fare un buon pezzetto a piedi, ma nonostante la distanza, tutta l’aria, come un krapfen alla crema, era già ricolma dei rombi di vetture di categorie minori, che scorrazzavano “sgommazzando” ringhiose fra le anse del circuito, a fare da antipasto alla gran abbuffata ufficiale del pomeriggio.

Anche stavolta la ricerca della postazione più propizia venne regolamentata da una sorta di legge primordiale della sopravvivenza. Un formicaio di persone si disperse lungo curve e rettilinei. Alla fine riuscimmo a piazzarci in un punto discreto, una sorta di collinetta chiusa in un largo tornante, dalla quale si potevano scorgere ben due tratti della pista, col vantaggio della leggera sopraelevazione un po’ distanziata, che avrebbe anche attutito l’effetto “lampo-visivo” scaturito dalle vetture, lasciandocele ammirare per qualche attimo in più, sul lungo campo visivo a disposizione.

Come mai tutta questa fortuna, stavolta, mi domandavo? Presto detto: in quel posto non si poteva stare, era una zona interdetta al pubblico per la scarsa sicurezza. Ero entrato pure io nel meccanismo della “passione”, pur non auspicata, mettendomi a fare cose insensate e contro la mia volontà, come succede ad ogni buon appassionato che si rispetti.

Però il mio spirito “non-passionale” più vero si prese una bella rivincita appena dopo, perché della gara non mi ricordo poi tanto, ma non ho scordato un pittoresco episodio al suo contorno. Poco distante da dove eravamo piazzati, si era accampato un gruppo di altri quattro o cinque ragazzi, un po’ più grandi di noi. Arguimmo che doveva trattarsi di fieri esponenti di quella tribù maschile che, con rispetto per essa parlando, non apprezza la “patata” nelle sue mille femminee declinazioni.

Trascorsero infatti tutto il tempo prima della gara coricati su un ampio panno steso sul prato, a giochicchiare, a scherzare fra di loro dandosi buffetti affettuosi, pizzicotti, spinte, a farsi sgambetti per burla, condendo i proprio lazzi con gioiose risatine. Da bandiere e striscioni che si erano portati appresso, si capiva anche che erano tifosi del pilota brasiliano Nelson Piquet, ma non era ben chiaro se per motivi strettamente sportivi o per altre predilezioni estetiche. Fatto sta che pochi attimi dopo l’inizio gara, i quattro giocosi giovialoni di colpo si disinteressarono di tutto, mettendosi bellamente a dormire sul loro panno, fino a poco prima teatro di tutte quelle moine.

Veramente bizzarre sono le strade della memoria, perché non ricordo chi vinse il Gran Premio, ricordo vagamente alcuni nomi di concorrenti (Prost? Patrese? Tambay? Arnoux?...boh…) e forse anche il fatto che l’ululato selvaggio dei vecchi motori di qualche anno prima si era imborghesito nel sordo brontolio delle nuove vetture con il turbo, ma non ho scordato la stravagante pantomima di quei ragazzi su quei pochi metri quadrati di panno, divenuti per incanto il circoscritto regno di una piccola favola moderna dell’assurdo, quasi un “happening” artistico all’insegna del disinteresse passionale assoluto, nel mezzo di una faccenda “molto seria” e rumorosa come un Gran Premio di Formula 1.

Un altro ricordo di “non-passionalità” motoristica mi lega tuttavia a quel mondo della biella esasperata, e risale al pomeriggio di un sabato che, anche allora come adesso, “era de maggio”. Questa volta è un ricordo più sfumato, malinconico, universalizzante, un po’ com’è nella natura del mese di maggio, a mio parere. Questa volta non c’entrava nessuna gita a nessun Gran Premio.

Trascorsi invece quel pomeriggio nel più completo e consueto oblio motoristico, a casa di un amico con altri amici, a giocare a Subbuteo o dedicandoci ad altri simili passatempi post-fanciulleschi. Uno di quei pomeriggi da ragazzi, durante i quali il tempo sembra fermarsi, tanto ci si sente in armonia insieme, che non si pensa a nulla ed i concetti di futuro e di passato sono puri infortuni di fantasie calcolanti, lasciate per qualche ora finalmente fuori dall’uscio.

Al momento di salutarci, ci venne voglia di accendere un attimo la tele e la mesta notizia c’investì tutti quanti: durante le prove del Gran Premio di quel fine settimana, il campione canadese Gilles Villeneuve era stato vittima di un gravissimo incidente e si disperava per la sua vita. Di colpo l’incantata atmosfera delle ore trascorse nella gratuità più assoluta del gioco, si mescolò a note d’irrealtà profonda. Fu molto strano, come se dal nostro territorio bambinesco e campagnolo delimitato da sensazioni diffuse d’inutilità pura, fossimo stati proiettati in un parallelo stato emotivo di altrettanto non-senso, questo però di carattere molto più serio, gravoso ed universale.

Seppi poi che il povero Gilles non ce l’aveva fatta e non ebbi quasi la forza, così come non riesco a ritrovarmela dentro nemmeno oggi, di domandarmi perché l’uomo si ostina a voler fare cose talmente inutili ed insensate, come lanciarsi a 300 km orari dentro una lattina posata su quattro ruote. Farsi quella domanda era altrettanto una perdita di tempo che chiedersi come mai gli umani sono così affamati di miti, sia da vivere in prima persona, sia da veder impersonati da altri.

Fin dall’attimo in cui sgusciamo fuori dalla pancia della mamma, sentiamo gravare su di noi i pesanti vincoli del “limite”, che poi per tutto il corso della nostra vita a venire cercheremo di scrollarci di dosso in infinite maniere. Chi ingozzandosi di conoscenza fino ad intridere le più intime fibre del proprio essere; chi viaggiando per ogni dove del mondo; chi rimanendo praticamente sempre nello stesso posto, ma spaziando altrettanto con le fantasie e la capacità di saper vedere sempre rinnovato il nuovo, fra i fitti peli della consuetudine; chi amando migliaia di donne, chi riuscendo a vederne e ad annusarne diecimila e oltre, sempre nella stessa.

Domandarsi perché quel giorno Gilles Villeneuve era morto non poteva portare dunque in nessun luogo occupato dai significati della logica e del buonsenso. Così com’era stato per Achille o per James Dean, o come sarebbe stato per Ayrton Senna. L’uomo, per sopravvivere sentendosi veramente tale, ha bisogno di nutrirsi di utopia forse ancor più che di pane. Per questo, in fondo, pur nello strascico di tristezza profonda che mi si depositò dentro dopo quella sequela di avvenimenti, non mi stupii più di tanto del fatto che Gilles Villeneuve, quel giorno, fosse diventato maggio.


6 commenti:

farlocca farlocchissima ha detto...

Caro gilly, stai scrivendo in modo superbo in questi giorni. questo post tra malinconia e gioia è bellissimo. grazie.

bacini silenziosi

Gillipixel ha detto...

@->Farly: grazie, Farly, sono iper-lusingato :-) sì, mi sono sentito parecchio in forma negli ultimi giorni, la scrittura mi è uscita fuori come puro godimento spontaneo, come mi succede certe volte...quando va così, mi sento tanto ispirato e in stato di grazia, che potrei tirare fuori considerazioni filosofiche anche dall'etichetta della minerale :-)

Sempre onorato dai tuoi commenti :-)

Bacini oligominerali :-)

Maffy ha detto...

mi ricordo quel giorno......

Gillipixel ha detto...

@->Maffy: infatti, Maffy...fu un evento che colpì parecchio, anche chi non seguiva le corse in modo particolare...ci sono diverse giornate nella mia memoria che mi hanno colpito per l'intensa tragicità...un'altra ad esempio è quella del rapimento di Moro...in quelle giornate ci si sente come proiettati fuori dal tempo, e anche tanto piccoli nell'universo...

Grazie del commento, cara Maffy :-)

Bacini f 5.6 :-)

Maffy ha detto...

:-)

Gillipixel ha detto...

@->Maffy: wow, un sorrisino in tempo reale :-) grazie :-)

Bacini simultanei :-)