Quando ci viene chiesto quanti generi di libri esistono, risulta quasi spontaneo partire col nostro classico bell’elenco: s’inizia dalla narrativa in genere, a sua volta suddivisa in romanzi di stampo per così dire “classico”, e poi gialli, thriller, avventura, spy-story, romanzi storici, horror, umoristici. E poi ancora c’è la saggistica, sia essa storica, scientifica o di carattere filosofico, sociologico, oppure di taglio critico, sia artistico, cinematografico, teatrale, poetico, e così via, in un bel groviglio di tipologie e sottotipologie tematiche. Insomma, non c’è bisogno che scriva tutta la lista completa per capire che ci siamo capiti.
Leggendo in questi giorni un certo libro, mi sono reso conto tuttavia che questo stuolo di classificazioni potrebbe essere inglobato in una molto più generale, suddivisa in due categorie soltanto: quella dei “libri mappa” (altrimenti detti “libri sorvolabili a volo d’uccello”), e quella dei “libri territorio” (altrimenti detti “libri attraversabili a piedi”).
Lo so, lo so cosa state pensando: ecco qua, un’altra delle solite gillipixate. D’accordo, in parte è così, ma se mi lasciate spiegare un po’, converrete con me che alla fine la questione non è poi così marginale e gillipixevole.
I “libri mappa” sono quel tipo di testi impostati dall’autore secondo un criterio argomentativo piuttosto sintetico e ben ordinato. Nel corso della lettura, si ha sempre ben presente la propria posizione rispetto all’insieme totale del materiale raccontato. Sappiamo in ogni momento abbastanza bene dove ci troviamo in rapporto all’intera lunghezza del testo. Con un “libro mappa” si ha una buona consapevolezza del percorso che l’autore ci vuole condurre a fare insieme a lui, tramite le sue argomentazioni. Non solo si ritorna mentalmente alle parti già lette con una certa agevolezza, ma si riesce anche a prefigurare per grandi linee lo sviluppo del discorso che lo scrittore ci va facendo. Di solito, in questo caso, il gioco è tanto efficace quanto più l’autore è bravo ad introdurre una o più tesi di fondo, che sorreggono tutta l’impalcatura del libro, funzionando appunto come gli elementi descrittivi di una mappa geografica: diventano il nostro grafico mentale fatto di linee e macchie di colore sulla carta, rappresentanti strade, isolati di edifici, canali, fiumi, e così via.
Tutt’altra cosa sono i “libri territorio”. Qui l’autore ci fa calare nel bel mezzo del “materiale vivo” del suo raccontare, ci abbassa a livello del suolo, in un invito più o meno voluto a mescolarci ai personaggi ed alle tematiche presentate. Impostare il proprio modo di scrivere sui criteri della “territorialità” si avvicina molto meglio all’atteggiamento di chi si pone nel flusso della vita in presa diretta. I “libri territorio” si attraversano più con lo spirito di chi vive alla giornata, con lo stato d’animo dell’esploratore, dello scopritore di novità. In questo senso, essi possono risultare efficaci esaltatori di una modalità del raccontare molto ricca e variegata, fertile di suggestioni ed invenzioni. In questo caso, se il gioco è ben giocato da chi scrive, lo smarrimento del lettore si tramuta in pregio, la indotta privazione della facoltà di vedere oltre la pagina sulla quale lo sguardo sta scivolando diventa l’atmosfera stimolante e caratterizzante l’intero clima del libro.
Ovviamente, come accade ogni volta che si tenta di definire delle “tipologie”, anche nel mio caso quelli che ho esposto sono i caratteri “puri” del “libro mappa” e del “libro territorio”. Difficilmente troviamo libri che siano interamente ed esclusivamente “mappa”, oppure interamente ed esclusivamente “territorio”. Una scelta così netta è riservata probabilmente solo ai grandissimi maestri. Per la maggior parte degli scrittori invece, anche quelli parecchio bravi, per carità, la via più sicura è prendere un po’ da tutte e due le modalità. Affidarsi infatti in modo esclusivo ad una o all’altra, comporta notevoli rischi e possibili inconvenienti.
Chi fa del suo libro soltanto una “mappa”, corre il pericolo di andare a finire a capofitto nella prevedibilità più lampante. Lo scritto sarà bello pulito, lineare, composto, nessuno dice di no, ma potrà altresì risultare di scarsa personalità, pochissimo o per niente sfaccettato, privo di quelle impennate e di quegli scarti argomentativi preziosi, che quando si incontrano nel corso della lettura, trasmettono la sensazione di stare suggendo direttamente dal puro “midollo concettuale” di un tema o di un personaggio tratteggiato. Lo scritto “a mappa” è soggetto insomma a possibili sensazioni di distacco, di scollamento eccessivo dal cuore vero di tutto il materiale raccontato.
La scelta del libro esclusivamente “territoriale” comporta invece probabili intoppi di diversa natura, ma pur sempre non meno gravi. Il lettore può trovarsi ad aver che fare con una matassa della quale stenta a prendere in mano un qualche bandolo di senso. Il corso del racconto si fa un labirinto, capace di trasmettere impressioni di smarrimento destinate a quel punto a mutarsi solamente in aperto fastidio. Gli elementi proposti possono presentarsi farraginosi, buttati su a casaccio, si perde una qualsivoglia visione d’insieme. Si stenta a trovare un legame, un nesso, tra il «prima» e l’«adesso» della lettura, faticando parecchio anche ad ipotizzare un plausibile «dopo».
Non starò nemmeno lì a dirvi qual è stato di preciso il libro che mi ha innescato in mente tutta questa serie di considerazioni, per non denigrarlo involontariamente. Si tratta tutto sommato di un buon libro, che pure concede troppo al “territorio”, trascurando più del dovuto la “mappa”. Del resto, ciascuno di voi, cari amici viandanti per pensieri, facendo mente locale a libri incontrati nel corso del proprio cammino di lettore, potrà fare le debite considerazioni, ponendole sotto la luce critica della mia odierna dissertazione.
Un'ultima cosa, prima di chiudere la presente sproloquiata, mi piace in ogni caso ribadirla: da tutto il discorso si deduce come, una volta soppesati i vantaggi e gli inconvenienti di una posizione "raccontante" sulla “mappa” o di una immersa nel “territorio”, il bravo scrittore risulta colui che sa capire quando è il momento di camminare a braccetto coi suoi argomenti e personaggi, oppure quando serve alzarsi in volo per poterli contemplare dall’alto.
Ah, amici: vi ricordo che appena sotto, per chi se lo fosse perso o non ci avesse fatto caso, c'è ancora da leggere un fantasmagorico articoletto nel quale si narra come si possa imparare qualcosa sulla vita anche dalle cimici... :-)
Leggendo in questi giorni un certo libro, mi sono reso conto tuttavia che questo stuolo di classificazioni potrebbe essere inglobato in una molto più generale, suddivisa in due categorie soltanto: quella dei “libri mappa” (altrimenti detti “libri sorvolabili a volo d’uccello”), e quella dei “libri territorio” (altrimenti detti “libri attraversabili a piedi”).
Lo so, lo so cosa state pensando: ecco qua, un’altra delle solite gillipixate. D’accordo, in parte è così, ma se mi lasciate spiegare un po’, converrete con me che alla fine la questione non è poi così marginale e gillipixevole.
I “libri mappa” sono quel tipo di testi impostati dall’autore secondo un criterio argomentativo piuttosto sintetico e ben ordinato. Nel corso della lettura, si ha sempre ben presente la propria posizione rispetto all’insieme totale del materiale raccontato. Sappiamo in ogni momento abbastanza bene dove ci troviamo in rapporto all’intera lunghezza del testo. Con un “libro mappa” si ha una buona consapevolezza del percorso che l’autore ci vuole condurre a fare insieme a lui, tramite le sue argomentazioni. Non solo si ritorna mentalmente alle parti già lette con una certa agevolezza, ma si riesce anche a prefigurare per grandi linee lo sviluppo del discorso che lo scrittore ci va facendo. Di solito, in questo caso, il gioco è tanto efficace quanto più l’autore è bravo ad introdurre una o più tesi di fondo, che sorreggono tutta l’impalcatura del libro, funzionando appunto come gli elementi descrittivi di una mappa geografica: diventano il nostro grafico mentale fatto di linee e macchie di colore sulla carta, rappresentanti strade, isolati di edifici, canali, fiumi, e così via.
Tutt’altra cosa sono i “libri territorio”. Qui l’autore ci fa calare nel bel mezzo del “materiale vivo” del suo raccontare, ci abbassa a livello del suolo, in un invito più o meno voluto a mescolarci ai personaggi ed alle tematiche presentate. Impostare il proprio modo di scrivere sui criteri della “territorialità” si avvicina molto meglio all’atteggiamento di chi si pone nel flusso della vita in presa diretta. I “libri territorio” si attraversano più con lo spirito di chi vive alla giornata, con lo stato d’animo dell’esploratore, dello scopritore di novità. In questo senso, essi possono risultare efficaci esaltatori di una modalità del raccontare molto ricca e variegata, fertile di suggestioni ed invenzioni. In questo caso, se il gioco è ben giocato da chi scrive, lo smarrimento del lettore si tramuta in pregio, la indotta privazione della facoltà di vedere oltre la pagina sulla quale lo sguardo sta scivolando diventa l’atmosfera stimolante e caratterizzante l’intero clima del libro.
Ovviamente, come accade ogni volta che si tenta di definire delle “tipologie”, anche nel mio caso quelli che ho esposto sono i caratteri “puri” del “libro mappa” e del “libro territorio”. Difficilmente troviamo libri che siano interamente ed esclusivamente “mappa”, oppure interamente ed esclusivamente “territorio”. Una scelta così netta è riservata probabilmente solo ai grandissimi maestri. Per la maggior parte degli scrittori invece, anche quelli parecchio bravi, per carità, la via più sicura è prendere un po’ da tutte e due le modalità. Affidarsi infatti in modo esclusivo ad una o all’altra, comporta notevoli rischi e possibili inconvenienti.
Chi fa del suo libro soltanto una “mappa”, corre il pericolo di andare a finire a capofitto nella prevedibilità più lampante. Lo scritto sarà bello pulito, lineare, composto, nessuno dice di no, ma potrà altresì risultare di scarsa personalità, pochissimo o per niente sfaccettato, privo di quelle impennate e di quegli scarti argomentativi preziosi, che quando si incontrano nel corso della lettura, trasmettono la sensazione di stare suggendo direttamente dal puro “midollo concettuale” di un tema o di un personaggio tratteggiato. Lo scritto “a mappa” è soggetto insomma a possibili sensazioni di distacco, di scollamento eccessivo dal cuore vero di tutto il materiale raccontato.
La scelta del libro esclusivamente “territoriale” comporta invece probabili intoppi di diversa natura, ma pur sempre non meno gravi. Il lettore può trovarsi ad aver che fare con una matassa della quale stenta a prendere in mano un qualche bandolo di senso. Il corso del racconto si fa un labirinto, capace di trasmettere impressioni di smarrimento destinate a quel punto a mutarsi solamente in aperto fastidio. Gli elementi proposti possono presentarsi farraginosi, buttati su a casaccio, si perde una qualsivoglia visione d’insieme. Si stenta a trovare un legame, un nesso, tra il «prima» e l’«adesso» della lettura, faticando parecchio anche ad ipotizzare un plausibile «dopo».
Non starò nemmeno lì a dirvi qual è stato di preciso il libro che mi ha innescato in mente tutta questa serie di considerazioni, per non denigrarlo involontariamente. Si tratta tutto sommato di un buon libro, che pure concede troppo al “territorio”, trascurando più del dovuto la “mappa”. Del resto, ciascuno di voi, cari amici viandanti per pensieri, facendo mente locale a libri incontrati nel corso del proprio cammino di lettore, potrà fare le debite considerazioni, ponendole sotto la luce critica della mia odierna dissertazione.
Un'ultima cosa, prima di chiudere la presente sproloquiata, mi piace in ogni caso ribadirla: da tutto il discorso si deduce come, una volta soppesati i vantaggi e gli inconvenienti di una posizione "raccontante" sulla “mappa” o di una immersa nel “territorio”, il bravo scrittore risulta colui che sa capire quando è il momento di camminare a braccetto coi suoi argomenti e personaggi, oppure quando serve alzarsi in volo per poterli contemplare dall’alto.
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Ah, amici: vi ricordo che appena sotto, per chi se lo fosse perso o non ci avesse fatto caso, c'è ancora da leggere un fantasmagorico articoletto nel quale si narra come si possa imparare qualcosa sulla vita anche dalle cimici... :-)
2 commenti:
che bella canzone che hai messo! mi ha portato in una lettura territoriale, in cui le righe si svolgevano avvolte di tenerezza, le parole caracollavano una dopo l'altra, scivolando su di un tessuto morbido, mentre si disegnava una mappa di pensieri vaganti, da percorrere dopo cena, con calma, quasi al lume di candela... cercando di non schiacciare le cimici :-D
baci da libreria
@->Farly: eheheheheh :-) la cimice merita rispetto supremo, cara Farly, ormai è assodato :-) grazie, mi fa piacere sapere di essere riuscito a cullarti i pensieri con le mie parole :-) è una delle cose più belle che ci si possa aspettare quando si scrive :-)
Queste versioni lente e meditabonde di brani rock o pop che nell'originale erano invece molto ritmati, briosi, aggressivi, lasciano sempre pieno di meraviglia anche me...
Grazie per la bellissima sequela di commenti che mi hai dedicato...è stato come un lungo respiro di bellezza e di quintessenza amicale :-)
Bacini forever kimer :-)
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