«...Pretending to be pilots in a war
Pretending to weave between the flak
No-one knows what the mission’s for
Blinkered horses on the track...»
“The light is always green (for young male pop star)”
The Housemartins - 1987
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Qui a Gillipixiland e nel contado complanare, la codata finale di caldo estivo ha lasciato come strascico la presenza di un sovrannumero di cimici, tuttora presenti in quantità discreta. Ad essere un imperfetto campagnolo, ti capita pure di rimarcare certi periodi del tempo che trascorre con l’accentuarsi di fenomeni naturali più o meno evidenti.
L’era delle cimici vera e propria si verificò a dire il vero alcuni anni fa. Al confronto, la blanda rimpatriata grigio-verdastra di questa volta non è niente. Allora fu una vera e propria piccola invasione: le trovavi annidate in tutti i pertugi, facevano kafkianamente capolino nella loro altissima densità di popolazione condensata in qualunque recesso inatteso.
Quando la natura esorbita dalle misure, incute un timore boia. Senti subito odore di stonatura, c’è qualcosa che non ti quadra, anche se non sapresti dire bene cosa. Non a caso, intorno a simili tematiche e alle atmosfere da esse scaturite, sono state imbastite decine di opere narrative di svariato genere e altre sbalorditive “stupefacenze” dell’«invento raccontatorio» (film, opere teatrali and so on). Oltre alla «Metamorfosi» di Kafka, ricordo un altrettanto inquietante racconto di Italo Calvino, «La formica argentina», e uno intitolato «I topi», di Dino Buzzati, un altro narratore che sapeva bene il fatto suo quando si trattava di far sentire certi formicolii imprecisati lungo la schiena del lettore.
La folata “cimicéa” di questi giorni, come vi dicevo, non è esagerata. Diciamo che ce ne sono parecchie e ben al di sopra della media, ma non in misura esasperante come in quella memorabile occasione. La cimice è un esserino strano, un po’ buffo e un po’ ributtante. Magari sei che lì ti guardi la tele di sera a luce spenta, con ancora i vetri aperti perché la temperatura lo consente, e senti un ronzio frulloso nella stanza, intervallato da piccole bottarelle assestate a casaccio contro il soffitto. Sei al buio e non vedi, ma stai sicuro che è una cimice.
Quel modo di volare da crisi etilica entomologica lo sfoggiano soltanto loro. Non sono mica buone di volare, ci sono poche balle, ma non per questo loro si scoraggiano. La fase che gli riesce peggio è di certo l’atterraggio. Di botto senti il ronzio e i colpetti al soffitto interrompersi e poi, pochi secondi dopo, un piccolo tonfo leggermente più sonoro. A quel punto, vuol dire che il “DCimice10” ha toccato goffamente terra o la prima superficie dura a disposizione. Non sanno planare, c’è poco da fare. Chissà cosa passa per la loro piccola mente, quando decidono di lanciarsi in uno di quei loro voli sgangherati, che ad andare a piedi arriverebbero prima: «…Dai, via: ci riprovo, chi se ne fotte. Pronti? Decollo!!! Oh mama mia, oh mamamia! Zzzbunf, zzzbunf! Bestia se è duro li su. Frrrrbunf! Adesso atterro, adesso atterro!!! Oooooohhh - sbanf – paha - taciànf!!! Eccheccazz – minch – de - pork…».
Altra peculiarità della cimice, e non c’è bisogno di essere un campagnolo da due soldi come me per saperlo, è che puzzano. Deve essere una loro strategia difensiva, anche se non so bene se sono dotate di un sistema di emissione puzzosa, un po’ come la moffetta. Se così è effettivamente, probabile che la cosa funzioni soltanto con gli altri tizi loro pari grado, ossia con gli altri insetti che vanno a rompergli le scatole. Quando si tratta di confrontarsi con le mastodontiche, per loro, dimensioni umane, l’unica occasione in cui la strategia funziona è anche quella più tragica e definitiva: quando vengono spiaccicate. Anche in questo loro aspetto, come nel caso del “modus volandi” adottato, c’è un qualcosa di eroico, incosciente e strampalato. Il loro ultimo pensiero dev’essere: «…Bene, mi spiattelli? Allora beccati ‘sta zaffata, tiè!!!...».
Non a caso, l’ennesima cosa curiosa è che le cimici si vanno spesso e volentieri ad annidare nelle zone della casa caratterizzate da una probabilità “spiaccicatoria” per loro elevatissima. Tipico: loro adorano farsi delle ore intere posate sui battenti delle finestre, ovvero su tutte quelle superfici di un'anta, di uno scuro, di una persiana, di un telaio, che nel corso della giornata prima o poi sono destinate ad andare a combaciare con la rispettiva porzione lignea ad aderenza.
Quando ciclicamente si ripete un periodo “cimicéo” come quello in corso, ogni volta che chiudi una finestra, è quasi matematico udire una sorta di sgradevole “sckrrrcièffff”! Un’altra piccola cimice che se n’è andata.
Possibile che si vadano a piazzare sempre lì, mi sono chiesto tante volte. L’unica risposta che mi so dare è che con questo supremo sacrificio forse assolvono ad un loro eroico compito di monito rivolto all’insegna dell’uomo. Metti che hai passato una bella serata al cinema o in altri gradevoli luoghi, con gli amici, con la persona alla quale vuoi bene, o simili. Rientri a casa con ancora in mente tutte le belle sensazioni provate, socchiudi la finestra perché la brezza notturna non risulti troppo invadente, e lo “sckrrrcièffff” cimicèo ti arriccia la nuca con quel suo retrogusto amaro, metà senso di colpa, metà spiacevolezza gratuita.
Ti sovvengono allora tante occasioni bislacche piovute fra i piedi come lampi a ciel sereno, tante situazioni in cui ti sei ritrovato a fronteggiare inattese scartavetrate esistenziali assestaste dal destino baro e cinico allo scorrere apparentemente liscio del tuo vivere. Una frase detta senza volere, esattamente nel momento più sbagliato possibile; un atto che andava assolutamente evitato, ma che una chissà quale misteriosa impellenza ha fatto compiere ottusamente: queste e tante altre “sbilencaggini” ti riporta alla mente con il suo atto estremo la bestiolina verde, sempre pronta al sacrificio per ricordarti che in tutte le dimensioni della vita, incappare nel momento della stonatura è sempre un attimo.
L’era delle cimici vera e propria si verificò a dire il vero alcuni anni fa. Al confronto, la blanda rimpatriata grigio-verdastra di questa volta non è niente. Allora fu una vera e propria piccola invasione: le trovavi annidate in tutti i pertugi, facevano kafkianamente capolino nella loro altissima densità di popolazione condensata in qualunque recesso inatteso.
Quando la natura esorbita dalle misure, incute un timore boia. Senti subito odore di stonatura, c’è qualcosa che non ti quadra, anche se non sapresti dire bene cosa. Non a caso, intorno a simili tematiche e alle atmosfere da esse scaturite, sono state imbastite decine di opere narrative di svariato genere e altre sbalorditive “stupefacenze” dell’«invento raccontatorio» (film, opere teatrali and so on). Oltre alla «Metamorfosi» di Kafka, ricordo un altrettanto inquietante racconto di Italo Calvino, «La formica argentina», e uno intitolato «I topi», di Dino Buzzati, un altro narratore che sapeva bene il fatto suo quando si trattava di far sentire certi formicolii imprecisati lungo la schiena del lettore.
La folata “cimicéa” di questi giorni, come vi dicevo, non è esagerata. Diciamo che ce ne sono parecchie e ben al di sopra della media, ma non in misura esasperante come in quella memorabile occasione. La cimice è un esserino strano, un po’ buffo e un po’ ributtante. Magari sei che lì ti guardi la tele di sera a luce spenta, con ancora i vetri aperti perché la temperatura lo consente, e senti un ronzio frulloso nella stanza, intervallato da piccole bottarelle assestate a casaccio contro il soffitto. Sei al buio e non vedi, ma stai sicuro che è una cimice.
Quel modo di volare da crisi etilica entomologica lo sfoggiano soltanto loro. Non sono mica buone di volare, ci sono poche balle, ma non per questo loro si scoraggiano. La fase che gli riesce peggio è di certo l’atterraggio. Di botto senti il ronzio e i colpetti al soffitto interrompersi e poi, pochi secondi dopo, un piccolo tonfo leggermente più sonoro. A quel punto, vuol dire che il “DCimice10” ha toccato goffamente terra o la prima superficie dura a disposizione. Non sanno planare, c’è poco da fare. Chissà cosa passa per la loro piccola mente, quando decidono di lanciarsi in uno di quei loro voli sgangherati, che ad andare a piedi arriverebbero prima: «…Dai, via: ci riprovo, chi se ne fotte. Pronti? Decollo!!! Oh mama mia, oh mamamia! Zzzbunf, zzzbunf! Bestia se è duro li su. Frrrrbunf! Adesso atterro, adesso atterro!!! Oooooohhh - sbanf – paha - taciànf!!! Eccheccazz – minch – de - pork…».
Altra peculiarità della cimice, e non c’è bisogno di essere un campagnolo da due soldi come me per saperlo, è che puzzano. Deve essere una loro strategia difensiva, anche se non so bene se sono dotate di un sistema di emissione puzzosa, un po’ come la moffetta. Se così è effettivamente, probabile che la cosa funzioni soltanto con gli altri tizi loro pari grado, ossia con gli altri insetti che vanno a rompergli le scatole. Quando si tratta di confrontarsi con le mastodontiche, per loro, dimensioni umane, l’unica occasione in cui la strategia funziona è anche quella più tragica e definitiva: quando vengono spiaccicate. Anche in questo loro aspetto, come nel caso del “modus volandi” adottato, c’è un qualcosa di eroico, incosciente e strampalato. Il loro ultimo pensiero dev’essere: «…Bene, mi spiattelli? Allora beccati ‘sta zaffata, tiè!!!...».
Non a caso, l’ennesima cosa curiosa è che le cimici si vanno spesso e volentieri ad annidare nelle zone della casa caratterizzate da una probabilità “spiaccicatoria” per loro elevatissima. Tipico: loro adorano farsi delle ore intere posate sui battenti delle finestre, ovvero su tutte quelle superfici di un'anta, di uno scuro, di una persiana, di un telaio, che nel corso della giornata prima o poi sono destinate ad andare a combaciare con la rispettiva porzione lignea ad aderenza.
Quando ciclicamente si ripete un periodo “cimicéo” come quello in corso, ogni volta che chiudi una finestra, è quasi matematico udire una sorta di sgradevole “sckrrrcièffff”! Un’altra piccola cimice che se n’è andata.
Possibile che si vadano a piazzare sempre lì, mi sono chiesto tante volte. L’unica risposta che mi so dare è che con questo supremo sacrificio forse assolvono ad un loro eroico compito di monito rivolto all’insegna dell’uomo. Metti che hai passato una bella serata al cinema o in altri gradevoli luoghi, con gli amici, con la persona alla quale vuoi bene, o simili. Rientri a casa con ancora in mente tutte le belle sensazioni provate, socchiudi la finestra perché la brezza notturna non risulti troppo invadente, e lo “sckrrrcièffff” cimicèo ti arriccia la nuca con quel suo retrogusto amaro, metà senso di colpa, metà spiacevolezza gratuita.
Ti sovvengono allora tante occasioni bislacche piovute fra i piedi come lampi a ciel sereno, tante situazioni in cui ti sei ritrovato a fronteggiare inattese scartavetrate esistenziali assestaste dal destino baro e cinico allo scorrere apparentemente liscio del tuo vivere. Una frase detta senza volere, esattamente nel momento più sbagliato possibile; un atto che andava assolutamente evitato, ma che una chissà quale misteriosa impellenza ha fatto compiere ottusamente: queste e tante altre “sbilencaggini” ti riporta alla mente con il suo atto estremo la bestiolina verde, sempre pronta al sacrificio per ricordarti che in tutte le dimensioni della vita, incappare nel momento della stonatura è sempre un attimo.
4 commenti:
PRIMA!!!
(COME LA CIMICE!)
un affettuoso saluto > :=)))
a presto
@->Cristina: eheheheheh :-) grazie Cristina :-) come prima classificata, vinci il relativo premio: un flaconcino (virtuale...) a forma di cimicina, di smeraldo :-) però non temere: questo spruzza profumo :-)
Ricambio il saluto e l'affettuosità :-)
Bacini buon-odorevoli :-)
a me le cimici stanno simpatiche, le vedo un po' come te: sfigate martiri del caldo umido e dell'umana distrazione. a volte mi ci sono sentita una cimice, sopratutto da piccola, quando finivo schiacciata tra una follia e l'altra dei miei genitori... peccato non riuscissi nemmeno a puzzare in quelle occasioni, ma poi di casino gliene piantavo abbastanza da essere equivalente a 6-7 puzze di cimici.
baci ronzanti
@->Farly: eheheheh :-) grazie per la solidarietà cimicéa, cara Farly :-) è vero, a volte certe bestioline comunemente ritenute non proprio fascinose, riservano invece aspetti "metaforici" di tutto rispetto :-) ora che mi ci fai pensare, anche io sono stato cimice tante volte, soprattutto da adolescente...e ti dirò, certe volte mi riusciva pure di puzzare :-D
Bacini di saggezza entomologica :-)
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