giovedì 23 febbraio 2012

Souldi estivi



«...Senza far finta porta tua sorella
è brutta ma è snella
nella penombra sembrerà una stella
perciò venite tutti e tre di là...»

Libe-libe-là” - Cochi e Renato - 1977

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Da un sudicio ed untuoso manoscritto, rinvenuto per caso in una vecchia cassapanca, riporto pari pari quanto letto:

«...Un giorno di non ricordo più quale anno, tanto che forse fu addirittura in un’altra vita, mi ero messo in testa di “svendere l’animo” al diavolo. Avete letto bene: l’animo, non l’anima. Non volevo fare cattivi affari come toccarono a quel povero Faust o al buon Dorian Gray. Loro poi sono teutonici o angli. Sono sassoni, popoli del nord, gente decisa, poco incline ad andare per il sottile. Per me, che ho passato l’infanzia respirando divergenze parallele e sorseggiando compromesso storico nel biberon, molto italianamente valutai che svendere l’animo era anche troppo.

E poi svendere, non vendere. Il mio animo è sempre un qualcosa di poco entusiasta, è l’animo di un pigro lievemente screziato di una continua vena di malinconia. Ci sarebbe voluta una gran faccia di bronzo a pretendere di venderlo. Una svendita era la pretesa più dignitosa che si potesse accampare in merito.

Non sapendo di preciso da che parte cominciare e ricordando vagamente un’antica leggenda del blues americano, pensai bene che la prima cosa da fare fosse andarsi a posizionare nel mezzo di un crocicchio ed aspettare. Era tarda estate e faceva un caldo discreto. M’incamminai all’alba e non era ancora giorno fatto, quando credetti di aver trovato il posto adatto per me. Una strada bianca che tagliava a metà un’immensa distesa di granoturco, nel punto in cui a sua volta era incrociata da una grossa carraia sterrata (non so se dire “carraia” e precisare “sterrata” sia pleonastico; forse è come dire “ho incontrato una pecora vestita di lana”, ma fa lo stesso, mi piaceva l’espressione così come m'è uscita e tale la lascio…).

Nel tempo dell'attesa, il sole cominciava ad alzarsi per il sempiterno srotolamento lungo il suo quotidiano arco di cielo, mentre il caldo si stava impennando di conseguenza. Ero lì, intento a nient'altro pensare se non a quanto grondassi goccioline copiose sotto le ascelle, mentre perline simili mi decoravano la fronte, quando udii un rombo in lontananza. Una nuvoletta di polvere si cominciò ad intravedere proprio in fondo all'ultimo spiraglio visibile della strada bianca, laggiù al suo orizzonte, crescendo poi sempre più densa ed ampia, di pari passo con l'intensità del volume rumoroso che l'accompagnava. Cresceva il polverone e più alto si faceva il frastuono. Quando la caotica simbiosi di cinereo fragore giunse a poche decine di metri dal mio crocicchio, iniziai a pensare: "...Ci siamo, deve essere lui: prepariamoci a contrattare...".

Polvere e rumore, sempre più. Polvere e rumore, sempre più. Polvere e rumore, sempre più. Ormai è quasi alla mia altezza, eccolo. Sventagliandomi da capo a piedi di una sfarinata bianca dalla quale mi difendo solo leggermente con lo scudo degli occhiali, mi passa di fronte facendomi il pelo a ciuffo e basette: "...VRRROOOMMM!!!...". Era il furgoncino del casaro, uscito per il giro del latte nelle stalle.

Non faccio in tempo a perdermi d'animo, perché giusto due secondi e noto il mezzo arrestarsi di botto poco più in là. Sento una furiosa grattugiata di retromarcia e la nuvoletta inverte la rotta, facendo coda adesso al davanti del camioncino, che ritorna di gran lena a ritroso sulle sue sgommate. "...Ma certo! Che fesso..." dico fra me e me, "...cosa ti aspettavi che si presentasse con zoccoli da caprone e barbetta d'ordinanza?...".

Ecco il camioncino di nuovo al mio fianco, il finestrino si abbassa insieme ai miei occhiali, dai quali emergo come il negativo di una foto, abbronzato di bianco tranne che nello sguardo. "...Se sei in regola con le quote latte..." mi fa la voce nerboruta e casearia dall'interno della cabina, "...io compro volentieri...". Pur non essendo molto pratico della questione, persino io deduco che non doveva trattarsi di Belzebù e rispondo vago: "...Ah no, grazie, lascia perdere: non c'ho animo per queste cose...".

Non si era ancora dispersa nell'aria l'eco degli ultimi accidenti cacciati dal casaro, appena ripartito in iraconda sfrizionata (di certo non diabolico, ma a tirare maledizioni era uno specialista...), che ecco profilarsi una nuova figura, sempre al capo estremo della stradina ghiaiata. Ma quale casaro, ma quale caprone! Adesso sì che si ragionava: una leggiadrissima figliola a cavallo di una bici.

Spingi il pedale, leva la coscia. Spingi il pedale, leva la coscia. Spingi il pedale, leva la coscia. Un alternarsi di disvelamenti e ricoperture, accompagnava il ritmo dell'avvenenza sbiciclante di quella creatura in gonnellino e variopinta camicetta.

"...Ci siamo..." pensavo io, "...ecco l'aspetto che assume quando esce per fare compere: qui si combina l'affare...". Mi detergo un po' il sudore, mi rassetto alla bene meglio e non appena la diavoletta arriva a portata di sguardi, do fondo a tutto il repertorio di cenni discreti di richiamo. Il pedale spinge ancora, dall'altro lato la coscia sollevata gli fa sempre eco, ma i suoi occhi lasciano giù, passando, soltanto una sbirciata di commiserazione. Passa oltre, lasciandoci lei tacita e me a bocca asciutta, risarcito solo dalla sfumante visione di un eccelso tafanario ingonnellato e ritmicamente mosso da muscolari guizzi, inevitabile dazio alle esigenze del pedale.

“...Un'altra cantonata, minchia!!!..”. Lo dovevo immaginare che quella era la tenuta per i grandi commerci: mica esce così, quando deve acquistare un misero animo.

Sto quasi per tornarmene a casa, sconfitto come un bradipo rivisto alla moviola, ma ecco che forse un'ultima flebile speranza sferraglia di nuovo verso me. E' ancora una bici, ma stavolta così sgangherata da lasciare spazio a tutte le ipotesi. Il sembiante del pedalatore poi è ancora più rassicurante: un vecchietto trasandato e tanto male in arnese da sembrare sbucato fuori direttamente da un racconto di Mark Twain.

Deciso a non commettere gli errori delle precedenti due “trattative”, mi premuro di mettere per bene le cose in chiaro, stavolta. Fermo con decisione il vecchietto, la sua faccia è rugosa come la bisaccia di Davy Crockett, un cappellaccio nero ben calcato in testa e mezzo sfondato: sento già che l'affare è fatto!

"...Vendo il mio animo, a quanto me lo fate?..." dichiaro questa volta deciso, per fugare fin da subito ogni dubbio. Lui mi guarda con fare compassionevole, mi asseconda forse col timore reverenziale che si sente talora di concedere ai folli, e mi fa: "...Sto andando al mercato, sono uscito con pochi spicci: devo prendere solo un po' di prosciutto cotto e del pane. Se vuoi ti posso lasciare tremila lire...". "...Bastano mille, grazie..." abbozzò allora io, per porre termine col minimo dei danni anche a quella ennesima compravendita sotto tono, "...così te ne rimane anche per la maionese...".

Ecco come mai, da quella volta, non mi stupisco più del fatto di essere uno sconfitto nella vita: il massimo del successo che posso ottenere mettendoci tutto il mio animo e l'impegno possibile, ha sempre il valore del resto di un panino con cotto e maionese. Per fortuna che almeno lo so...».

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