venerdì 14 novembre 2014

Le muse di Kika van per pensieri: William Merrit Chase (1849-1916)

Torniamo un po’ sui nostri passi, oggi, con la rubrichetta “Le muse di Kika van per pensieri”. Per strabiliarci con le sue magie modaiole, Kika ha infatti scelto ancora un epigono dell’Impressionismo, il pittore americano William Merrit Chase (Niveneh, 1 novembre 1849 - New York, 25 ottobre 1916). In particolare, ci concentriamo su un’opera del 1888, “Ragazza col kimono blu”.

Di Impressionismo ho già parlato in lungo e in largo (almeno per quel che mi consentono le mie possibilità), affrontando vari altri esponenti più o meno importanti di questa corrente. Sull’Impressionismo è stata scritta una marea di libri. Il problema è che avendone letti pochissimi, non saprei aggiungere molto, rispetto a quando detto in altre puntate. Anche per quanto riguarda l’autore medesimo, William Merrit Chase, rischierei di riportare puri dati biografici letti su altri siti. Per cui, mi sento di scartare anche questa opzione e preferisco invece (forse anche perché si parla ancora di Impressionismo) riportare qualche mia impressione sparsa e poi fare una pura analisi compositiva del quadro di oggi.

Perché è importante l’Impressionismo, al di là delle sue “argomentazioni dirette” che introdusse nell’ambito del generale discorso della storia dell’arte? Fra le tante risposte che si possono dare al quesito, credo che una abbastanza buona sia questa: l’Impressionismo è importante perché rappresenta uno spartiacque fondamentale di inaugurazione della Modernità. Ci sarebbero mille motivazioni per sostenere questa affermazione, ma io considererò la più banale.

Ogni volta che ci siamo occupati di pittori vissuti tra fine ‘800 e inizio ‘900, abbiamo potuto classificarli nella famiglia degli Impressionisti. Ma basta spostarsi solo di pochi anni più avanti, e questa uniformità svanisce, si infrange in mille rivoli artistici anche molto diversi fra loro. L’Impressionismo è forse l’ultima corrente artistica “unitaria”, che ha rappresentato un riferimento “universale” per il mondo creativo della sua epoca. Al tempo stesso, è stato lo “stile” che ha inaugurato la fine della fedeltà allo stile. 

Se consideriamo le epoche prima dell’Impressionismo come “il passato”, possiamo far riferimento ai vari periodi, associandoli di volta in volta ad uno stile: partiamo ad esempio dal Romanico, poi venne il Gotico, poi il Rinascimento, e ancora il Barocco, il Rococò, il Neoclassicismo, il Romanticismo (per facilitare l’esempio, ho mischiato un po’ definizioni in certi casi pertinenti più all’architettura, con altre più direttamente riferita all’arte in genere, ma era solo per capirci).

Con l’Impressionismo posiamo invece il piede sulla soglia del “moderno”. E’ l’ultimo stile che s’impone come modello preminente, ma dopo di esso il concetto di modello si frammenterà in tante esperienze di ricerca fra loro anche molto differenziate. Come capita a volte, partendo da una semplice constatazione, si può pervenire ad una qualche profonda consapevolezza. Ecco allora che possiamo capire meglio questa caratteristica dell’Impressionismo, se facciamo un po’ mente locale rispetto alla sua stessa essenza: col movimento impressionistico per la prima volta il “relativismo” fa il suo ingresso prepotente nel mondo dell’arte. 

Per spiegarmi meglio, riporto alcuni passaggi (un po’ ostici, lo so, ma molto densi e significativi) tratti dal bellissimo (e difficilissimo) libro “Arte e filosofia”, di Massimo Donà (2007), che ho già avuto modo di citare in altre occasioni:

«…Manet stava avviando una vera e propria rivoluzione pittorica. Alle sue spalle si stagliava ormai l’acquisizione cartesiana secondo cui la realtà che riteniamo esistere fuori di noi non è altro che una nostra “rappresentazione”. Non solo; la modernità, a partire da Kant, era giunta ad ammettere anche questo: per quanto ci si sforzi, quel che riusciremo a sapere del mondo, sarà sempre e comunque un “essere oggettivo”; qualcosa che sarà tale sempre e solamente per il “soggetto”. Un fenomeno dell’essere; e mai l’essere in quanto tale. Una porzione del reale; quel che di quest’ultimo si dà nella relazione (quella soggetto-oggetto) di là dalla quale nulla potrebbe in alcun modo darsi… […] Insomma, il pittore non poteva sapere quale fosse “la vera realtà”, di là da quell’insieme di sensazioni cromatiche, masse di colore, conformità della figura umana e del paesaggio… […] …l’impressione appariva ormai come l’unica cosa da dipingere…».

L’Impressionismo è stato insomma l’ultimo “panorama globale” di riferimento per l’arte, che tuttavia serbava proprio nella sua natura stessa il moderno germe della deflagrazione dell’indagine conoscitiva a venire. Se riguardo alla “realtà esterna a noi”, non possiamo più dire nulla di certo, definitivo e valido per tutti, trascorso il periodo “di stupore” (quello Impressionista, appunto) in cui l’intero mondo dell’arte prende atto all’unisono di questa nuova sconcertate precarizzazione della verità, la conseguente frammentazione moderna degli stili e dei riferimenti culturali, non poteva che venire subito dopo quasi come naturale conseguenza.

Venendo a dire due parole sul quadro di oggi, “Ragazza col kimono blu”, possiamo fare innanzitutto un appunto stilistico. In questa opera è evidente una tendenza a “boldinizzare” la tecnica impressionista. Di Giovanni Boldini (Ferrara, 1842-Parigi, 1931) abbiamo già parlato in altre puntate. Fu pittore alla moda, che assunse spesso e volentieri il linguaggio impressionista come strumento di meraviglia superficiale per l’osservatore delle sue opere. Anche nel quadro di William Merrit Chase possiamo vedere una certa ricerca dell’effetto fine a se stesso, un’evocazione di atmosfere morbide, sensuali ed eteree che poco si preoccupano della ricerca conoscitiva più profonda.

Interessante è invece l’impianto compositivo della scena. L’occhio dell’osservatore è chiamato ad “arrampicarsi” lungo il delicato declivio della figura ad “esse” della donna ritratta, partendo dai piedi per risalire su su, fino ad incappare nella misteriosità del volto. Alla tensione visiva verso il volto contribuiscono anche, ciascuna a modo suo, le diverse disposizioni delle mani della ragazza. Anche da esse si diparte un energetico stimolo a “guardare oltre” che inevitabilmente ci spinge ad addentrarci ancora una volta verso il viso.
Il viso di questa ragazza col kimono blu mi ha dato non poco filo da torcere nell’indagine fisiognomica di oggi. Questo mi induce a un’ulteriore riflessione. Il gioco di ricercare un viso noto da abbinare ai soggetti ritratti nei quadri, oltre ad essere ogni volta molto divertente, mi spinge ad osservare con molta cura le fisionomie. E per quanto “minori” siano i vari artisti considerati, non mi è mai successo di incontrare un viso poco significativo. In ogni volto c’è sempre un quid di mistero femminile, di “enigma umano”, che già di per sé vale il quadro intero, lo valorizza al di là dell’importanza del ruolo svolto dall’autore nel grande libro della storia dell’arte. Questo mi conforta in una convinzione: nel volto umano si riassume il più alto concentrato di “energia visiva” immaginabile ed è per questo che gli artisti di tutte le epoche non si sono mai stancati, né mai si stancheranno, di ritrarlo.

Detto ciò, vi espongo le mie due ipotesi per la ragazza col kimono. Quella più efficace, mi sembra la seguente:


Non potete non riconoscerla, soprattutto se almeno una volta avete sentito la sua voce, una delle più belle della musica leggera italiana: è ovviamente Antonella Ruggiero, già famosa negli anni ’70 come cantante dei Matia Bazar e poi molto apprezzata anche nella sua carriera da solista.

La seconda somiglianza è forse più forzata. Ma ho trovato che qualche elemento c’entrasse lo stesso, per cui ve la voglio mostrare:

Qui andiamo più sul difficile, con un volto del passato: si tratta di Hedy Lamarr (1914-2000), stella del periodo d’oro della Hollywood in bianco e nero. Di recente, tra l’altro, ho scoperto che oltre ai gloriosi trascorsi da attrice, la biografia di Hedy Lamarr riserva altri notevoli capitoli che ne fanno una delle donne più interessanti e di valore del ventesimo secolo. Originaria dell’Austria, fu costretta ad emigrare negli USA per la sua ostilità verso il regime nazista. Durante la guerra, ideò insieme a George Antheil un sistema di “manipolazione” delle onde radio, che convertito dagli scopi militari all’utilizzo civile al termine del conflitto, le valse la registrazione di una quantità di brevetti, molto importanti ancora oggi, ad esempio, nell’ambito della telefonia mobile.

Fatto anche questo piccolo excursus fisiognomico-cinematografico-storico, per oggi ci salutiamo e ce ne andiamo a scoprire come Kika ha interpretato il Kimono blu della ragazza di William Merrit Chase.

2 commenti:

Kika ha detto...

Sai che della Lamarr qualche tempo fa avevo scoperto anch'io l'interessantissima sua vita extra-cinematografica? Ci sono personaggi di cui si sa poco e invece andrebbero valorizzati meglio; non so se sia solo una mia impressione in quanto donna, ma mi pare che sovente siano personaggi femminili. Per esempio ho da poco scoperto la storia di Nelly Bly, una reporter che nell'800 ha inventato le inchieste sotto copertura ed ha fatto per prima il giro del mondo in 80 giorni (anzi ancora meno). Una grinta e una vita pazzesca, ti consiglio di leggerla! (io l'ho trovata su Wikipedia)

Tornando in tema, la tua analisi è come sempre ricca e fonte di riflessioni. Concordo in pieno sul ruolo di spartiacque dell'Impressionismo e sulla potenza del ritratto di volti; a proposito, a me non era venuta in mente ma sai che Antonella Ruggiero è una delle mie cantanti preferite?? Ho quasi tutti i suoi brani, tra cd solisti e vecchie cassette dei Matia Bazar. Adesso è un po' che non la ascolto, mi hai fatto venire voglia di mettere su un suo pezzo e ritrovare la magia della sua incomparabile voce :)

Gillipixel ha detto...

@->Kika: molto interessante la figura femminile che mi segnali, Kika...mi sono letto la voce di wiki, ha fatto davvero cose incredibili per la sua epoca...il passato, più o meno lontano, è costellato di questi esempi di donne valorose, che purtroppo spesso non sono ricordate come meriterebbero...ogni volta che sento storie come quella che mi hai indicato, rimango molto sorpreso da come siano normalmente semi-ignorate o lasciate in secondo piano...

Su raistoria, hanno fatto vedere di recente (ora non so se è ancora in programmazione) una serie di documentari dedicati a grandi donne come Nelly...in una delle puntate, ho scoperto anche qui un'altra donna eccezionale, che proprio non conoscevo: Amelie Earhart, che è stata una pioniera del volo aereo, e pure lei ne ha combinate più di Bertoldo in Francia :-) lo dico con scherzoso affetto, ovviamente, ma davvero, anche Amelie mi ha impressionato un sacco per la sua vitalità ed energia...

Che forte questa cosa che sei fan di Antonella Ruggiero :-) (...ah, tra l'altro, mi accorgo ora di aver sbagliato a scrivere: ho messo Ruggero senza la "i"...provvedo subito a correggere :-) sembra sempre che ci mettiamo d'accordo sui temi da trattare, ma la cosa buffa è che non è affatto vero :-)

Antonella Ruggiero mi fa riflettere su una cosa che penso da tempo, ossia la magia dei gruppi musicali :-) nel senso che, quando era nei Matia Bazar, anche se magari le canzoni erano musicalmente e tecnicamente meno valide di quelle che ha cantato poi da solista, tuttavia possedevano una magia, secondo me da lei mai più raggiunta in seguito...questo è il bello è il mistero di certa musica pop o leggera che dir si voglia :-)

Lennon e Maccartney non sono più stati così grandi dopo i Beatles; così come Morrisey, dopo gli Smiths; Sting dopo i Police, ecc.
Quando il gruppo si scioglie, si infrange un'alchimia indefinibile...e anche questo, secondo me, è un concetto importantissimo riguardante la storia dell'arte :-)

Bacini bazarini :-)