Un pensiero ogni qualche giorno"
12 - "Pippo lo Stupendo, o quel che resta del salto di un soldato di Big Babol"
Nel dormiveglia mattutino, vengo colto talvolta da enigmatiche frasi. Scaturiscono direttamente dal subconscio, che più di così non si potrebbe. Si impone come prima cosa il loro ritmo, anche se il senso di quelle parole magari non è subito immediato. O forse, anche se un senso vero non lo avranno mai.
Una delle più belle di queste frasi mi è piombata in bocca stamattina. Come sia successo che sono riuscito a decodificarla, poi a tenerla viva in memoria, e dopo ancora ad annotarla, non lo saprei dire. Di fatto, mi sono ritrovato con una stranissima sequenza di parole, che era allo stesso tempo un titolo perfetto: "Pippo lo Stupendo, o quel che resta del salto di un soldato di Big Babol".
A quel punto, avevo il titolo, ma mi mancava la storia. Mi sono ricordato allora di un fatto minimale, di quando ero bambino. A quei tempi, ce la dovevamo vedere col fenomeno dei ragazzini di città, temporaneamente villeggianti in paese. Si trattava di nipotini di vari nonni o zii locali, che in certi periodi dell'anno, o per particolari feste, venivano a passare un po' di tempo in campagna, fra le terre di origine delle rispettive famiglie.
Queste presenze aliene non erano questione da poco, per noi mini campagnoli iper-provinciali. Il senso di inferiorità scattava abbastanza automaticamente. Il ragazzino di città era per definizione molto sveglio e scafato, rispetto ai nostri limiti panoramici rurali. Ne sapeva di sport, di giochi, e della vita in generale, molto più di noi, facendoci sentire spesso dei sempliciotti.
Capitava però a volte un cittadino particolare. Diciamo un po' sotto gli standard urbani tanto temuti. Ed erano quelle le occasioni di piccole rivincite morali. Uno di questi anomali metropolitani fu appunto Pippo lo Stupendo. Ai tempi naturalmente non sapevo ancora che si chiamasse così, ne sono venuto a conoscenza solo stamattina, quando quel titolo onirico mi si è rivelato.
Pippo lo Stupendo era il più ingenuotto e sprovveduto cittadino che ci potesse arrivare fra i piedi. Una vera manna sociopedagogica dal cielo. Leggermente grassotto, portava i classici occhiali da vista a culo di bottiglia; se non ricordo male, con addirittura la misteriosa fascetta di cerotto appiccicata attorno al ponticello che tiene insieme le due lenti. Completavano il ritratto, due dentoni roditoriali perennemente esposti in un sorriso che non brillava certo per intelligenza acuta.
Ricordo che su Pippo lo Stupendo si scaricarono diverse frustrazioni agricole da tempo immagazzinate negli animi di ciascun bambino in paese. Era uno zimbello perfetto, e il fatto che venisse dalla città aggiungeva una preziosità indicibile alla sua caratura di piccolo gonzo.
Ma la vendetta perfetta, si consumò un pomeriggio di domenica, nella sala del cinema locale, che allora rifulgeva ancora dell'azzurrino riverbero emanato dai fotogrammi della premiata ditta Hill & Spencer, o delle incomparabili grida del gran contabile di emozioni avventurose, il molto onorevole Lee ragionier Bruce.
I più fini psicologi avevano da tempo capito che se volevi prendere un piccolo cittadino, non solo in contropiede morale, ma anche per il culo, dovevi punzecchiarlo direttamente sull'orgoglio. Se poi si trattava di aver a che fare con la gonzitudine pura conclamata, il gioco si faceva ancor più raffinato. Facendo credere alla vittima che fosse da gran tipi accettare stupide sfide, si otteneva in un sol tempo il duplice esito di deridere il malcapitato, illudendolo anche di aver compiuto chissà quale impresa eroica.
Non so più come la cosa ebbe inizio, ma qualcuno doveva aver iniziato a insinuare nella zucca facilotta di Pippo lo Stupendo, che non sarebbe stato capace di mettere in bocca più di un certo numero di Big Babol, le famigerate ciccone ipertrofiche, molto apprezzate allora per le loro proprietà "pallonifere" notevoli.
Punto sul vivo, non sospettando nemmeno di striscio l'aria di gran sfottuta che si andava apparecchiando alle sue spalle, Pippo raccolse senza meno il guanto della sfida.
Ricordo che iniziò ad infornare Big Babol che ancora dovevamo entrare in sala, e a pochi attimi prima dei titoli del film, ne aveva forse già introiettate una decina. E non dava il minimo cenno di voler fermare la fatale voracità.
Credo che lo spettacolo di quell'essere sprovveduto, intento a ruminare siffatto bolo rosaceo mastodontico, sia servita da riscatto morale per tutte le forme di snobismo cittadino subite in ogni epoca da ciascun ragazzino di campagna del mondo.
A un certo punto, Pippo lo Stupendo reggeva fra le ganasce un ammasso tale di cicca, che mi mosse quasi un'ilare compassione. Sudava, biascicava, rimuginava spropositi gommosi, mentre le spesse lenti gli si annebbiavano nel sovrumano sforzo mandibolare.
Alla fine, forse addirittura con rammarico, dal suo gonzo punto di vista, nel dover abbandonare a metà la sfida, espettorò quel gran moloch di conglomerato ciccoso, che rimase poi per tutta la durata del film, a fare bella mostra di sé sul pavimento della sala, kubrickiano monolito di chewing gum, a perenne monito di tutti i potenziali irrisori urbani futuri.
E fu così che si compì la vicenda di "Pippo lo Stupendo, o quel che resta del salto di un soldato di Big Babol".
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