mercoledì 2 gennaio 2019

L'omino che fu invitato dalla vita a farsi vivo


Un omino viveva dentro le parole.

La signorina dei suoi sogni (pur non sapendola lui ancora tale) abitava invece ben saldamente domiciliata nei fatti concreti.

L’omino delle parole si coricava sempre su soffici spiagge di aggettivi, a pigliarsi una bella abbronzatura di specificazioni, sotto i caldi raggi del risplendente sole qualificativo.

Sguazzava volentieri in piccoli ruscelli di verbi, dai quali riemergeva tutto rinfrescato e fradicio di dinamismo e di teorica intenzionalità.

L’omino delle parole, sedendo poi sotto un ombrellone di complementi oggetti e soggetti intrecciati fra loro come giunchi semantici, si gustava gradevoli cocktail di particelle pronominali, che non mancava mai di guarnire con scorzette di virgole e spruzzate di puntini di sospensione.

La signorina dei fatti concreti un bel giorno stava spolverando un libro, dentro al quale per caso l’omino delle parole si era trasferito a trascorrere un periodo di vacanza.

Sentendo quel dolce tramestio, l’omino per un attimo si affacciò curioso alla soglia della copertina del libro. Rimase folgorato dalla bellezza morbidamente spregiudicata della signorina, e lanciando in aria due o tre frasi particolarmente curate e ben confezionate, la ghermì dolcemente al polso con quel lazo di parole, e la risucchio per intera dentro la storia del libro.

La signorina dei fatti concreti rimase travolta dalle atmosfere così intangibili scoperte là dentro.

Guidata dall’omino delle parole, fece insieme a lui vastissime scorribande in praterie di sillabe e sintagmi, che si perdevano a vista d’occhio nel vasto orizzonte sillabato.

Divenuti una sola persona, cavalcavano il saliscendi dell’onda delle frasi come l’acme variabile di montagne russe espressive.

Il crescendo dell'intensità del racconto caricava i loro animi di curiosità di sapere, mentre appena dopo, liberatorie esplosioni narrative si risolvevano nell'appagamento condiviso di un’ebbrezza linguistica preziosa.

Ma a lungo andare, la signorina delle cose concrete cominciò ad avere nostalgia del suo mondo fatto di legno, terra, carta e vento, da poter toccare, ascoltare, annusare.

Staccarsi dall’omino delle parole le sarebbe costato una grande fatica, tanto in là si era spinta ormai la fusione delle loro mutue sensibilità, nel nome del linguaggio.

Un doloroso andirivieni fra significati dei sensi e sensualità significanti si combatteva nell'animo della signorina delle cose concrete.

La sua natura la reclamava a risgusciare fuori dalle pagine, ma la passione scoperta nell’omino delle parole la tratteneva a restare una cosa singola, intensa, assorbita in lui, e nella scia infinita del dolce ghirigoro nero su bianco dei caratteri stampati.

Le mani dell’omino e quelle della signorina rimasero così sospese, a dita intrecciate, laddove i fogli di carta dei libri formano il proprio confine grinzoso con l’aria di fuori, cancello a doppia faccia, aperto sia sull’esterno del mondo delle cose, sia sull'interiorità del narrare universale racchiuso in tutti i testi scritti del mondo.

E da quel tempo, ogni volta che si avvicina il viso al bordo di un volume stampato, e si fanno frullare i fogli sotto al naso, sale alla mente il lontano profumo di quell’amore di carta, mai risolto e per sempre rimasto ancora tutto da inventare.

2 commenti:

CirINCIAMPAI ha detto...

Ho voglia di un "e vissero tutti felici e contenti".

Buonanotte...

Gillipixel ha detto...

In questo caso era "...e a loro modo vissero tutti felici e contenti..." :-)