venerdì 22 febbraio 2019

Un calcio al pregiudizio


Questo fatto è successo davvero, ma ve lo racconto come se fosse il brandello di una favola.

Quando andavo al liceo, per quanto facessi, agli occhi degli amici di città sono rimasto per tutti e cinque gli anni di studio un immutabile provinciale campagnolo.

Potevano però capitare episodi insignificanti, in occasione dei quali mi prendevo delle piccole rivincite ideali (o perlomeno così le interpretavo io).

Durante una lezione di ginnastica, il professore ci propose di fare una partitella a calcetto.
Si giocava senza portiere, tutti “fuori”, e i gol si dovevano fare in due appositi mini-quadrati di circa un metro per uno.

Eravamo in parecchi, quindi si giocava a turno, facendo vari cambi. La partita fu gradevole e tutto quanto, giocai di gusto, ma gli ultimi minuti me li feci a bordo campo, da spettatore, perché ero già stato in gioco il tempo che mi spettava.

Questa faccenda di essere visto come un campagnolo, un po' mi pesava, ma in un certo senso ci marciavo pure dentro. Mi divertivo insomma a calarmi ogni tanto nel personaggio che tutti si attendevano io fossi.

Ad esempio quella volta, mi levai le scarpe prima di rientrare negli spogliatoi, e restai a guardare la fine dell'incontro sfoderando un bel paio di calze verde ramarro con chiassose righe circolari gialle e arancioni lungo lo stinco e per tutto il piede.

Così, giusto per il duodeno di Belzebù!

Succede poi che la partita finisce a gol pari, e si deve decidere la vittoria ai rigori.

In cuor mio non mi preoccupo più di tanto, perché pensavo di continuare a vedere come andava a finire da spettatore.

Invece a sorpresa, i compagni di squadra chiamano anche me a calciare il rigore. Ed è stato lì che un piccolo lampo di teatralità campagnola mi ha colto all'improvviso.

Invece di calzare di nuovo le scarpe, come tutti si attendevano, mi incammino verso il “dischetto” rimanendo imperterrito “in scapéŋ” (con indosso solo le calze).

Tutti sgranano due occhi così, mentre in un misto di sbeffeggiamenti e incredulità, mormorii e risate attutite serpeggiano in giro.

Al campo sportivo in paese, era sempre stata la normalità piantare a volte due “sbarate” (calci) al pallone completamente “da scáls” (scalzi).

Per i ragazzi di città invece, è una cosa fuori dal mondo. C'è chi dice che mi farò male il piede, chi sostiene che la palla è troppo dura, e così via “increduleggiando” nei modi più assortiti.

Tutti gli altri poi avevano tirato di tacco, perché si ritiene sia il modo migliore per centrare una porta molto piccola, dalla distanza ragguardevole del punto di tiro scelto in simili occasioni.

Io non ascolto niente e nessuno. Ostentando con fierezza i miei sfolgoranti calzini da “pajàs” (pagliaccio), mi incammino deciso come il console Cincinnato quando venne implorato di tornare a salvare le sorti di Roma, mentre stava arando a casa sua.

Fronteggio la porta a viso aperto, “tromboneggiando” in stile Gary Cooper di Mezzogiorno di fuoco.

Con tre passi di rincorsa, mi avvento sicuro su quella coriacea sferetta, e le mollo la “sbarata” migliore della mia vita: un piattone dritto come un fuso, roba che nemmeno Franz Beckenbauer s’era mai immaginato nei suoi sogni più belli.

L’impatto del piede col cuoio è un tonfo di tamburo che dà il “la” alla prima sinfonia di “Sbarathoven”, la palla vola come un razzo predestinato a due centimetri fissi dal suolo, centrando la mini-porta alla perfezione, e per qualche istante, brevissimo eppure interminabile, sono stato l’idolo ufficiale di tutta la classe.

Due secondi dopo, tornai a essere il solito campagnolo, ma tutto l'insieme, nella sua generale stupidità, fu veramente molto bello.

Perché per una volta fu la provincia a prendere per il culo la città, sebbene quest'ultima non se ne accorgesse affatto (e badate che non ho scritto “per i fondelli”…).

4 commenti:

CirINCIAMPAI ha detto...

Un gran bel calcione!!!

Io sono cresciuta in paese, in un piiiiccolo paese, e pure noi avevamo i campagnoli ma li chiamavamo "chiddi ri fora"
Che vergogna a ripensarci adesso.

Gillipixel ha detto...

Era una cosa sfumata e sottile, forse non lo facevano per cattiveria, era proprio culturalmente radicata...e non so se fosse pure peggio...

Grazie Cincia :-)

CirINCIAMPAI ha detto...

Era normalissimo, si.
Che brutta cosa...

Gillipixel ha detto...

Sei una bella persona, Cincia :-)