Ci sono due figure che a tratti mi tornano a visitare la mente.
Chissà perché, questo fatto succede grosso modo dalla primavera 2008.
Non riesco a capirla bene, questa manifestazione iconografica periodica. Magari scriverci sopra due righe qui, mi potrà aiutare a chiarire meglio la faccenda insieme a voi.
Definirli “tipi umani” mi sembra eccessivo. Forse è più giusto dire “macchiette esistenziali”.
In apparenza, queste due figure sono anche molto slegate, perchè riguardano ambiti “storico-sociali“ piuttosto distanti fra di loro.
La prima risale ai tempi della fanciullezza, rimanda alle atmosfere di gioco che pervadevano in modo quasi totalizzante quel periodo della vita. In particolare, questa figura emergeva nel corso della partitella di calcio con gli amici: era il ragazzino col pallone nuovo.
I suoi erano solitamente un po’ più benestanti degli altri genitori. Non si leggano in questa frase pregiudizi “pluto-denigratori” di sorta: è semplicemente un dato statistico quello che sto riportando.
Il ragazzino col pallone nuovo magari era figlio del dottore del paese, o del geometra, o di qualche altra personalità di spicco dell’indigena intellighenzia. In questo senso, possedere un pallone nuovo, più che un fatto di soldi, era per lui una questione di atteggiamento culturale.
Fatto sta che al momento di fare le squadre, «…pari…dispari: bim, bum, bam!!!...», alla fine eri quasi costretto a reclutare anche il ragazzino col pallone nuovo. Regolarmente fra le ultimissime scelte però. Sempre per sua costituzione culturale, il ragazzino col pallone nuovo era infatti scarsissimo nel gioco.
Fin dalla più tenera età, era stato matriarcalmente interdetto da due pratiche che sono l’essenza stessa dell’infanzia: sudare e sporcarsi. Ma se non sudi e non ti sporchi, come puoi diventare bravo a giocare a calcio?
Il dilemma si ripresentava dunque ogni volta molto forte e solitamente andava a finire che, pur di non giocare con il solito vescicone che “scamera-d’ariava” fuori da tutte le cuciture, si inghiottiva il rospo di beccarsi in squadra anche quel brocco del ragazzino col pallone nuovo.
Da quel momento in avanti, il potere contrattuale del ragazzino col pallone nuovo lievitava a dismisura. Perché non sarà stato buono coi piedi, ma era uno che studiava, leggeva, s’informava e del calcio teorizzato sapeva tutto. Così, non si accontentava di un posticino relegato in difesa, come sarebbe stato di sua naturale competenza.
No, no.
Il ragazzino col pallone nuovo voleva fare il centravanti, o addirittura la mezz’ala.
E schiappa qual era, non gli riusciva niente di meglio che mangiarsi dei goal a iosa davanti alla porta, prodursi in pessimi passaggi sgangherati e lasciarsi scartare come una Girella Motta da tutta la squadra avversaria, portiere compreso.
Le rimostranze “garbate” di tutta la squadra del ragazzino col pallone nuovo scattavano a quel punto inesorabili come sette morti ammazzati nel sommario di Studio Aperto:
«…Bidòn…va’a cà…at sì gnànca bon ad dà ‘na sbaràda a ‘na vèrza…» (trad.: «…Cilindriforme contenitore di rifiuti solidi urbani…fai tosto rientro alla tua dimora avita…non sei nemmeno capace di calciare un cavolfiore…»).
Il ragazzino col pallone nuovo però non si impressionava. Un suo gesto e una frase erano sufficienti. Dritto in mezzo al campo, sollevando al cielo il suo sfavillante pallone nuovo, come l’arbitro Coelho dopo il triplice fischio della finale del mundial di Spagna ’82, sentenziava perfido «…il pallone è mio…vado a casa e non si gioca più…».
La base della compravendita amicale era così fissata, e una volta stabilito il primo prezzo, le quotazioni sarebbero poi salite alle stelle. Il ragazzino col pallone nuovo possedeva infatti anche il più sfavillante mazzo di figurine doppie dell’album Panini dei calciatori. A casa aveva un bellissimo Subbuteo con morbidissimo panno di gioco e gli omini delle squadre più mitiche di sempre: Arsenal, Boca Junior, Santos, Real Madrid.
Alla fine stava un po’ sulle scatole a tutti, ma nessuno aveva il coraggio di dirglielo: dopo aver venduto una volta l’amicizia e la propria compagnia, diventava molto più arduo rinunciare a tutte quelle meraviglie, vero e proprio miele per lo spirito della bambinità tramutato in ape.
Ecco, è questa la prima figura che mi frulla in testa spesso da qualche tempo a questa parte. Della seconda magari vi parlo un’altra volta, ma intanto chissà se a qualcuno ha fatto venire in mente qualcosa…
[Continua...forse...]
Chissà perché, questo fatto succede grosso modo dalla primavera 2008.
Non riesco a capirla bene, questa manifestazione iconografica periodica. Magari scriverci sopra due righe qui, mi potrà aiutare a chiarire meglio la faccenda insieme a voi.
Definirli “tipi umani” mi sembra eccessivo. Forse è più giusto dire “macchiette esistenziali”.
In apparenza, queste due figure sono anche molto slegate, perchè riguardano ambiti “storico-sociali“ piuttosto distanti fra di loro.
La prima risale ai tempi della fanciullezza, rimanda alle atmosfere di gioco che pervadevano in modo quasi totalizzante quel periodo della vita. In particolare, questa figura emergeva nel corso della partitella di calcio con gli amici: era il ragazzino col pallone nuovo.
I suoi erano solitamente un po’ più benestanti degli altri genitori. Non si leggano in questa frase pregiudizi “pluto-denigratori” di sorta: è semplicemente un dato statistico quello che sto riportando.
Il ragazzino col pallone nuovo magari era figlio del dottore del paese, o del geometra, o di qualche altra personalità di spicco dell’indigena intellighenzia. In questo senso, possedere un pallone nuovo, più che un fatto di soldi, era per lui una questione di atteggiamento culturale.
Fatto sta che al momento di fare le squadre, «…pari…dispari: bim, bum, bam!!!...», alla fine eri quasi costretto a reclutare anche il ragazzino col pallone nuovo. Regolarmente fra le ultimissime scelte però. Sempre per sua costituzione culturale, il ragazzino col pallone nuovo era infatti scarsissimo nel gioco.
Fin dalla più tenera età, era stato matriarcalmente interdetto da due pratiche che sono l’essenza stessa dell’infanzia: sudare e sporcarsi. Ma se non sudi e non ti sporchi, come puoi diventare bravo a giocare a calcio?
Il dilemma si ripresentava dunque ogni volta molto forte e solitamente andava a finire che, pur di non giocare con il solito vescicone che “scamera-d’ariava” fuori da tutte le cuciture, si inghiottiva il rospo di beccarsi in squadra anche quel brocco del ragazzino col pallone nuovo.
Da quel momento in avanti, il potere contrattuale del ragazzino col pallone nuovo lievitava a dismisura. Perché non sarà stato buono coi piedi, ma era uno che studiava, leggeva, s’informava e del calcio teorizzato sapeva tutto. Così, non si accontentava di un posticino relegato in difesa, come sarebbe stato di sua naturale competenza.
No, no.
Il ragazzino col pallone nuovo voleva fare il centravanti, o addirittura la mezz’ala.
E schiappa qual era, non gli riusciva niente di meglio che mangiarsi dei goal a iosa davanti alla porta, prodursi in pessimi passaggi sgangherati e lasciarsi scartare come una Girella Motta da tutta la squadra avversaria, portiere compreso.
Le rimostranze “garbate” di tutta la squadra del ragazzino col pallone nuovo scattavano a quel punto inesorabili come sette morti ammazzati nel sommario di Studio Aperto:
«…Bidòn…va’a cà…at sì gnànca bon ad dà ‘na sbaràda a ‘na vèrza…» (trad.: «…Cilindriforme contenitore di rifiuti solidi urbani…fai tosto rientro alla tua dimora avita…non sei nemmeno capace di calciare un cavolfiore…»).
Il ragazzino col pallone nuovo però non si impressionava. Un suo gesto e una frase erano sufficienti. Dritto in mezzo al campo, sollevando al cielo il suo sfavillante pallone nuovo, come l’arbitro Coelho dopo il triplice fischio della finale del mundial di Spagna ’82, sentenziava perfido «…il pallone è mio…vado a casa e non si gioca più…».
La base della compravendita amicale era così fissata, e una volta stabilito il primo prezzo, le quotazioni sarebbero poi salite alle stelle. Il ragazzino col pallone nuovo possedeva infatti anche il più sfavillante mazzo di figurine doppie dell’album Panini dei calciatori. A casa aveva un bellissimo Subbuteo con morbidissimo panno di gioco e gli omini delle squadre più mitiche di sempre: Arsenal, Boca Junior, Santos, Real Madrid.
Alla fine stava un po’ sulle scatole a tutti, ma nessuno aveva il coraggio di dirglielo: dopo aver venduto una volta l’amicizia e la propria compagnia, diventava molto più arduo rinunciare a tutte quelle meraviglie, vero e proprio miele per lo spirito della bambinità tramutato in ape.
Ecco, è questa la prima figura che mi frulla in testa spesso da qualche tempo a questa parte. Della seconda magari vi parlo un’altra volta, ma intanto chissà se a qualcuno ha fatto venire in mente qualcosa…
[Continua...forse...]
6 commenti:
chiamasi corruzione... lasciarsi corrompere e pensare che sia solo un gioco... è la base della nostra attuale cultura no? :-)
ecco, sì, Farly...in fondo la mia metafora voleva dire quello, anche se forse l'ho presa su troppo alla larga e piuttosto fumosa :-)
non mi sembra presa alla larga, l'hai raccontata benissimo la corruzione che striscia su nascosta dietro il pallone e molto altro... :-)
Grassie, trop gentils lei :-)
bellissimo questo post! e anche l'immagine che rende perfettamente l'idea!
Grazie Luce :-) in fondo in tutta la mia metafora ci sono anche piccole sfumature di atmosfera StRagistica :-) tu sei molto più brava di me a rendere certe immagini, ma mi pare che nel ragazzino col pallone nuovo ci fossero anche alcune anticipazioni del best seller "Piccoli Adolf crescono" :-)
Grazie ancora, sempre gentilissima e molto carina :-)
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