E fu così che la fantasia venne definitivamente schiacciata dall’ottusità quotidiana.
Il desiderio di alzare gli occhi al cielo, irrevocabilmente sconfitto dalla rassegnata ostinazione mentale che opprime a terra lo sguardo.
Già da parecchio tempo, i sogni americani di un gruppo di piccoli amici campagnoli erano sfumati via fra le nebbie.
Lo sapevo.
Ma il più squallido suggello alla cosa m’è toccato di vederlo applicare giusto in questi giorni.
Sembrava ieri che ci eravamo sbucciati le ginocchia sulla grattugia catramata del campetto da basket del paese, nel tentativo di scivolare a canestro in “terzo tempo”.
Sembrava ieri che ci eravamo beati le orecchie col suono della palla arancione affondata nella retina di nylon dopo un morbido tiro in sospensione.
E’ stato proprio ieri invece che ho visto il canestro del vecchio campetto, abbattuto e miseramente gettato in un angolo della vicina discarica.
«…Avete voluto il calcio…», pensavo osservando il cerchio del canestro miseramente schiacciato a terra sotto il peso del tabellone. Minchia, nemmeno l’accortezza di smontare prima il cerchio per evitare di tramutarlo in un’insulsa ellisse inservibile.
«…Avete voluto il calcio…però adesso, tutta la folta stoltezza cieca che ci gira attorno, ve la godete voi…».
Non ho mai avuto niente contro il calcio in sé.
Anzi, sono convinto che rimanga sempre quel bellissimo sport che mi ha fatto trascorre indimenticabili, lunghissimi pomeriggi di felicità scorrazzando a perdifiato dietro ad un pallone affondato nel verde del campo sportivo.
Quello che non ho mai sopportato è la pretesa di non poter pensare diverso. Quel senso di ineluttabilità ossessiva, quasi fosse un destino inevitabile che vuole così, e non il tuo fottuto diritto di scegliere e di vagliare la vita con giudizio critico (…portate pazienza se a tratti mi scappa di parlare come un film anni ’70…).
E non è più dell’insignificante dettaglio della predilezione per uno sport rispetto ad un altro, che sto parlando ora.
E’ anche quello, ma mi riferisco soprattutto a qualcosa di più ampio.
Dai alla gente solo quello che la gente sente di volere in punta di papilla gustativa.
Dagliene sempre di più.
Specializzati nella scienza divinatoria del rivolo di acquolina che cola dalla bocca del cittadino medio, e avrai il mondo ai tuoi piedi: «…è un’occasione, prezzi di realizzo fino ad esaurimento scorte di neuroni…».
Falli ingozzare di calcio, di Grande Fratello e di Amici.
Tieni le persone sempre ancorate alla superficie delle loro giornate.
Ecco il senso ben più importante delle cose che ho visto schiacciate sotto il peso di quel tabellone abbattuto: l’importanza di poter scegliere sempre; scegliere la bellezza; scegliere la varietà e le sfumature della vita.
Tutto spiaccicato tristemente nel cerchio di quel canestro che ora giace a terra in una beffarda smorfia ellissoidale.
Sono stati loro però, che volevano il calcio.
Ma forse è semplicemente così che deve andare. E questi sono solo i deliri di un umile lettore smarrito che ha sbattuto il muso contro la rovina di Kasch.
Il desiderio di alzare gli occhi al cielo, irrevocabilmente sconfitto dalla rassegnata ostinazione mentale che opprime a terra lo sguardo.
Già da parecchio tempo, i sogni americani di un gruppo di piccoli amici campagnoli erano sfumati via fra le nebbie.
Lo sapevo.
Ma il più squallido suggello alla cosa m’è toccato di vederlo applicare giusto in questi giorni.
Sembrava ieri che ci eravamo sbucciati le ginocchia sulla grattugia catramata del campetto da basket del paese, nel tentativo di scivolare a canestro in “terzo tempo”.
Sembrava ieri che ci eravamo beati le orecchie col suono della palla arancione affondata nella retina di nylon dopo un morbido tiro in sospensione.
E’ stato proprio ieri invece che ho visto il canestro del vecchio campetto, abbattuto e miseramente gettato in un angolo della vicina discarica.
«…Avete voluto il calcio…», pensavo osservando il cerchio del canestro miseramente schiacciato a terra sotto il peso del tabellone. Minchia, nemmeno l’accortezza di smontare prima il cerchio per evitare di tramutarlo in un’insulsa ellisse inservibile.
«…Avete voluto il calcio…però adesso, tutta la folta stoltezza cieca che ci gira attorno, ve la godete voi…».
Non ho mai avuto niente contro il calcio in sé.
Anzi, sono convinto che rimanga sempre quel bellissimo sport che mi ha fatto trascorre indimenticabili, lunghissimi pomeriggi di felicità scorrazzando a perdifiato dietro ad un pallone affondato nel verde del campo sportivo.
Quello che non ho mai sopportato è la pretesa di non poter pensare diverso. Quel senso di ineluttabilità ossessiva, quasi fosse un destino inevitabile che vuole così, e non il tuo fottuto diritto di scegliere e di vagliare la vita con giudizio critico (…portate pazienza se a tratti mi scappa di parlare come un film anni ’70…).
E non è più dell’insignificante dettaglio della predilezione per uno sport rispetto ad un altro, che sto parlando ora.
E’ anche quello, ma mi riferisco soprattutto a qualcosa di più ampio.
Dai alla gente solo quello che la gente sente di volere in punta di papilla gustativa.
Dagliene sempre di più.
Specializzati nella scienza divinatoria del rivolo di acquolina che cola dalla bocca del cittadino medio, e avrai il mondo ai tuoi piedi: «…è un’occasione, prezzi di realizzo fino ad esaurimento scorte di neuroni…».
Falli ingozzare di calcio, di Grande Fratello e di Amici.
Tieni le persone sempre ancorate alla superficie delle loro giornate.
Ecco il senso ben più importante delle cose che ho visto schiacciate sotto il peso di quel tabellone abbattuto: l’importanza di poter scegliere sempre; scegliere la bellezza; scegliere la varietà e le sfumature della vita.
Tutto spiaccicato tristemente nel cerchio di quel canestro che ora giace a terra in una beffarda smorfia ellissoidale.
Sono stati loro però, che volevano il calcio.
Ma forse è semplicemente così che deve andare. E questi sono solo i deliri di un umile lettore smarrito che ha sbattuto il muso contro la rovina di Kasch.
2 commenti:
ecco il tuo post mi ha fatto venire in mente il budo giapponese, dirai a) che è, b) che centra... orbene il budo è la via del guerriero, là si imparano molte arti marziali e le si imparano senza mai competere, caso mai combatti, a turno vinci a turno perdi. molte di quelle arti sono diventate sport proprio perché sono state ammesse le gare, nella pratica per la gara è solo la gara che hai in mente, ti specializzi sempre di più, impari solo le tecniche che ti fanno vincere, alla fine non hai più libertà perché solo quelle tecniche conosci... l'oracolo dice injutsus veh!
molto sottile il tuo aggancio, Farly, e come tutte le cose sottili, anche molto significativo...grazie...quando la capiranno che la competizione determina solo alcuni apparenti vantaggi, ma tanti, tanti danni effettivi?
Budo mi ha ricordato Budokan :-) credo sia un palazzetto di Tokio dedicato alle arti maziali, ma io lo conosco soprattutto per via del mitico concerto dei Beatles, Live in Budokan :-)
Grazie ancora per il bellissimo commento!!!
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