Si può ridere di tenerezza?
Non intendo sorridere con delicato e consapevole controllo, ma proprio l'essere colti da quell'ondata pneumatica che si sente montare nel diaframma e non si può far altro che lasciar sfogare nella gola e poi in bocca, riconciliandoci per quei pochi fuggevoli istanti con tutti gli arretrati di “nonsenso” che coviamo nel cuore e nella mente.
Io sono convinto che, sì, si può ridere anche di tenerezza.
Sarà solo una mia impressione, sarà che spesso e volentieri traviso i fatti del mondo attraverso la lente deformante di una vagheggiata, quanto onnicomprensiva, e mai esistita Età dell'Oro, ma mi sembra di poter dire che negli ultimi decenni i moventi della risata si sono andati sempre più appiattendo su di un registro denigratorio.
La scintilla che fa innescare la vampa del riso viene fatta scaturire per lo più dalla presa in giro, dalla messa in difficoltà di un soggetto o di un oggetto scelti opportunamente, dalla sottolineatura di difetti e stonature.
Intendiamoci, non voglio farla più grave di quello che è. A mio sgangherato parere, questo fatto è anch'esso un piccolo ed inosservato sintomo del clima di competizione e confronto spasmodico che serpeggia ormai in pianta stabile fra le nostre vite, ma se qualcuno vuol darmi del mitomane, accetto la nomea di buon grado.
Ad onor del vero, non va taciuta una verità innegabile: l'innesco del fattore comico ha sempre comportato una certa dose di “cattiveria”. Da sempre l'umorismo è la strada maestra per porre in rilievo le stonature della realtà, in questo senso è storicamente andato di pari passo con dosi intense di spietatezza, spesso non prive di componenti di cinismo.
Fatto sta che, mi sbaglierò, ma la nostra epoca sembra particolarmente incline a questo modo di ridere.
Mi è capitato tuttavia ultimamente di ricordare come sia possibile ridere in maniera “pura”, senza confronti, senza “mettere in mezzo” niente e nessuno, ma solo ridere per il gusto in se stesso di farlo. Ridere di tenerezza, come dicevo prima.
Mi è successo assistendo recentemente allo spettacolo di un marionettista e burattinaio inglese, Stephen Mottram. Dire spettacolo di burattini è una riduzione ingenerosa, perché in realtà si è trattato di una delle cose più belle mai viste in vita mia nell'ambito dell'espressività “artistico-gestuale”. Tutti gli effetti speciali hollywoodiani, tutti gli Avatar immaginabili, in 3d, in 4d, in 5d, metteteci tutte le “d” che vi pare, non sarebbero in grado di eguagliare la magia poetica di questo spettacolo.
C'era una storia, una trama, c'erano vicende dietro al movimento di questi burattini e marionette? Niente di niente, se non leggerissimi abbozzi narrativi e piccole gag. Quello che raccontano è invece esattamente il muoversi stesso, il senso puro del movimento, dell'uomo in primis ma anche di tutte gli altri esseri animati, il movimento osservato e riprodotto nella sua essenza più naturale.
Non parlo dei movimenti limitati e banali riproducibili ordinariamente con questi simpatici fantocci infilati per di sotto con una mano, ma di movimenti di uomini e di animali ripetuti da burattini e marionette con una fedeltà articolata e studiata nei dettagli più minuti.
Mi sono reso conto così che tutto ciò è fonte di tenerezza e può far ridere.
Allora mi sono chiesto: il semplice nostro muoverci può farci ridere? Com'è mai possibile?
E' stato lì che ho capito (forse) che si trattava della tenerezza, di quella commozione che può derivare dal riflettere sui dettagli più semplici della nostra umanità. Era lo stesso senso di ilarità vellutata che mi nasce dentro quando osservo le movenze di un micio, quello stupore che ti fa quasi non capacitare di come tanta semplicità posso recare con sé anche tanta bellezza.
Il nostro muoverci può esser visto sotto la luce della sua estrema eleganza, ma anche come vincolo che ci tiene ancorati alle limitazioni della gravità, della velocità e della forza limitata, delle possibilità in fondo ristrette di varianti motorie a nostra disposizione, in contrasto magari con le aspirazioni di movimento di cui possiamo godere nell'immaginazione o nel sogno, praticamente infinite e senza limite di fantasia.
Noi siamo anche e soprattutto in quanto ci muoviamo. Il nostro vivere è imprescindibile dallo spostare arti e corpo nello spazio, e l'auto-osservarci in questo può essere fonte di gioia mista ad un senso di contraddittorietà, nel cogliere il limite ed il “miracolo” di tutta la cosa.
E così, attraverso quei burattini, credo sia stato proprio il “limite umano” di per sé a suscitarmi il riso, insieme alla tenerezza poetica che si porta dietro.
Non intendo sorridere con delicato e consapevole controllo, ma proprio l'essere colti da quell'ondata pneumatica che si sente montare nel diaframma e non si può far altro che lasciar sfogare nella gola e poi in bocca, riconciliandoci per quei pochi fuggevoli istanti con tutti gli arretrati di “nonsenso” che coviamo nel cuore e nella mente.
Io sono convinto che, sì, si può ridere anche di tenerezza.
Sarà solo una mia impressione, sarà che spesso e volentieri traviso i fatti del mondo attraverso la lente deformante di una vagheggiata, quanto onnicomprensiva, e mai esistita Età dell'Oro, ma mi sembra di poter dire che negli ultimi decenni i moventi della risata si sono andati sempre più appiattendo su di un registro denigratorio.
La scintilla che fa innescare la vampa del riso viene fatta scaturire per lo più dalla presa in giro, dalla messa in difficoltà di un soggetto o di un oggetto scelti opportunamente, dalla sottolineatura di difetti e stonature.
Intendiamoci, non voglio farla più grave di quello che è. A mio sgangherato parere, questo fatto è anch'esso un piccolo ed inosservato sintomo del clima di competizione e confronto spasmodico che serpeggia ormai in pianta stabile fra le nostre vite, ma se qualcuno vuol darmi del mitomane, accetto la nomea di buon grado.
Ad onor del vero, non va taciuta una verità innegabile: l'innesco del fattore comico ha sempre comportato una certa dose di “cattiveria”. Da sempre l'umorismo è la strada maestra per porre in rilievo le stonature della realtà, in questo senso è storicamente andato di pari passo con dosi intense di spietatezza, spesso non prive di componenti di cinismo.
Fatto sta che, mi sbaglierò, ma la nostra epoca sembra particolarmente incline a questo modo di ridere.
Mi è capitato tuttavia ultimamente di ricordare come sia possibile ridere in maniera “pura”, senza confronti, senza “mettere in mezzo” niente e nessuno, ma solo ridere per il gusto in se stesso di farlo. Ridere di tenerezza, come dicevo prima.
Mi è successo assistendo recentemente allo spettacolo di un marionettista e burattinaio inglese, Stephen Mottram. Dire spettacolo di burattini è una riduzione ingenerosa, perché in realtà si è trattato di una delle cose più belle mai viste in vita mia nell'ambito dell'espressività “artistico-gestuale”. Tutti gli effetti speciali hollywoodiani, tutti gli Avatar immaginabili, in 3d, in 4d, in 5d, metteteci tutte le “d” che vi pare, non sarebbero in grado di eguagliare la magia poetica di questo spettacolo.
C'era una storia, una trama, c'erano vicende dietro al movimento di questi burattini e marionette? Niente di niente, se non leggerissimi abbozzi narrativi e piccole gag. Quello che raccontano è invece esattamente il muoversi stesso, il senso puro del movimento, dell'uomo in primis ma anche di tutte gli altri esseri animati, il movimento osservato e riprodotto nella sua essenza più naturale.
Non parlo dei movimenti limitati e banali riproducibili ordinariamente con questi simpatici fantocci infilati per di sotto con una mano, ma di movimenti di uomini e di animali ripetuti da burattini e marionette con una fedeltà articolata e studiata nei dettagli più minuti.
Mi sono reso conto così che tutto ciò è fonte di tenerezza e può far ridere.
Allora mi sono chiesto: il semplice nostro muoverci può farci ridere? Com'è mai possibile?
E' stato lì che ho capito (forse) che si trattava della tenerezza, di quella commozione che può derivare dal riflettere sui dettagli più semplici della nostra umanità. Era lo stesso senso di ilarità vellutata che mi nasce dentro quando osservo le movenze di un micio, quello stupore che ti fa quasi non capacitare di come tanta semplicità posso recare con sé anche tanta bellezza.
Il nostro muoverci può esser visto sotto la luce della sua estrema eleganza, ma anche come vincolo che ci tiene ancorati alle limitazioni della gravità, della velocità e della forza limitata, delle possibilità in fondo ristrette di varianti motorie a nostra disposizione, in contrasto magari con le aspirazioni di movimento di cui possiamo godere nell'immaginazione o nel sogno, praticamente infinite e senza limite di fantasia.
Noi siamo anche e soprattutto in quanto ci muoviamo. Il nostro vivere è imprescindibile dallo spostare arti e corpo nello spazio, e l'auto-osservarci in questo può essere fonte di gioia mista ad un senso di contraddittorietà, nel cogliere il limite ed il “miracolo” di tutta la cosa.
E così, attraverso quei burattini, credo sia stato proprio il “limite umano” di per sé a suscitarmi il riso, insieme alla tenerezza poetica che si porta dietro.
8 commenti:
Proprio bello Gilli.
Credence compresi.
:-)
@->Yoss: grazie, caro Yoss, è sempre una soddisfazione quando ricevo un tuo commento lusinghiero...
Temevo di esser stato troppo oscuro, perchè in fin dei conti tutte le emozioni di quei burattini si possono comprendere solo vedendoli...
Per questo è ancor più bello aver avuto il tuo plauso :-)
Ciao :-)
anche se l'eccessiva autosservazione può farci smettere di ridere ed essere spontanei :-)
@->Luce: a chi lo dici, Luce :-) hai colto in pieno un tratto del mio modo di essere...però l'autosservazione può essere a sua volta interpretata come fonte di divertimento, e alla fine, non se ne esce :-)
Ad ogni modo, tra le altre cose, quel riso causato dalla tenerezza dei burattini è stato anche occasione per riscoprire in me una spontaneità che era un sacco di tempo che non provavo...
Forse questo dimostra che, per quanto uno si autosservi, alla fine succede quel che deve succedere, sempre :-)
Grazie della visita e del commento carino :-)
@->Luce: concordo, Luce, tra l'altro hai colto in pieno uno degli aspetti più frequenti del mio modo di essere...ma si vede così tanto? :-D
Però...se uno è già arrivato al punto di autoanalizzarsi, per autodirsi che "...l'eccessiva autosservazione può farci smettere di ridere ed essere spontanei...",
mi pare che sia già sulla buona strada per non essere spontaneo: è già nel gorgo di Woody Allen :-)
Grazie per il commento molto carino
Ciao :-)
ci sono sempre delle ragioni per cui le cose accadono: gilly-tenerezza doveva per forza, in qualche modo, da qualche parte, incontrare una mezza chimera di nascita opportuna ovvero romana. roma è uno dei posti più cinici che abbia mai visto. hai presente il marchese del frillo? la cattiveria dell'umorismo di sordi? ecco è tutto vero. forse è colpa nostra se ora si ride con più cattiveria, ma è merito nostro se si ride della cattiveria.
E poi, nell'ordine delle cose, era necessario che la farlocca-romana dovesse trovare, un po' per forza, una mezza chimera che le permettesse di vedere scritto "ridere di tenerezza" e sapere che vuol dire.
Ps adoro le marionette :-)
oddio ho scritto frillo invece di grillo!!! sono arrivata di cottura e sono solo le 7 del mattino... :-D
@->Farly: ehehehehe, il marchese del frillo mi sembra perfetto come piccolo lapsus nel tuo commento, cara Farly...trattasi infatti di un marchese del tutto simile all'originale grillesco, però molto più buono: lui ride solo di tenerezze :-)
Ad ogni modo, volevo precisare che mi piace anche il ridere "cattivo", ci mancherebbe, e quello romano in particolare: adoro Sordi!
Volevo solo mettere in rilievo una differenza e comunque ci tengo a dire che il riso, da qualsiasi fonte emotiva tragga spunto, deve sempre avere come base imprescindibile l'arguzia e l'intelligenza: senza quelle, non si ride per niente :-)
Grazie del commento bellissimo...
Bacini risibili e anche seri :-)
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