Triplo salto carpiato da fermo fra natura viva di pomodori -
Esegue: il mio sasso perfetto al 100%.
Cosa c’è di più bello, in occasione di taluni arbitrari e del tutto casuali lassi di nostra vita, del lasciarsi andare ad un perfetto ed irreparabile senso di inutilità?
Parlo di quella vaga consapevolezza per cui ad un certo punto e per un dato intervallo del tuo tempo, ti senti di contare esattamente una beata fava per tutto l’universo mondo.
Recentemente, una mia amica mi ha detto che sono malato.
E di una malattia che ha a che fare con la psiche, per la precisione.
Certo, la frase è venuta fuori in un contesto di discussione semischerzosa, ma dell’ambizione di un piccolo fondamento di verità, quell’affermazione non era del tutto priva. Quello che mi veniva blandamente e amichevolmente rinfacciato non aveva nulla a che fare con patologie serie, beninteso, non c’entravano schizofrenia, propensioni paranoiche, meteorismi o priapismi di sorta.
La mia malattia sarebbe invece consistita nell’acquisto compulsivo di libri.
Lì per lì non ho saputo bene cosa ribattere. Di solito, non ho mai la battuta pronta io, e difatti sono proprio un conversatore sgangherato. Le cose che avrei voluto risponderle, è andata a finire che non gliele ho risposte. Ho ciancicato qualcosa di banalissimo, tipo vaghi accenni al piacere del cominciare spesso un nuovo libro, ma quello che avrei voluto risponderle, sempre in virtù della scarsa mia prontezza dialettica, mi è venuto in mente dopo.
C’è da aggiungere che, anche mi fosse venuto in mente per tempo, alla fine non l’avrei detto, perché in quel modo l’idea di strana creatura che la mia amica si è ormai fatta nei miei riguardi, si sarebbe aggravata in modo deciso.
Sia come sia, avrei voluto spiegarle che sono così morbosamente attaccato ai libri, perché i libri sono fra i migliori veicoli a me noti, per riuscire a trascorrere momenti di perfetta, adamantina ed imperturbabile inutilità. Leggo molto, mi circondo di libri, sono drogato di pagine scritte, perché esse mi fanno sentire felicemente ed estaticamente inutile.
Non è per far sfoggio di erudizione, che leggo. Ve l’ho detto: sono un parlatore così scipito ed incolore, che nemmeno studiarmi a memoria l’intera enciclopedia britannica, farebbe variare di un grammo la mia “monofasica” arte oratoriale.
Nemmeno leggo per poi saper scrivere meglio. Forse questo è un effetto collaterale involontario, ma perfettamente bilanciato dal fatto che scrivo sempre per il medesimo motivo: per sentirmi inutile, del tutto privo di scopi.
Non leggo per accrescere la mia conoscenza, non per possedere chissà quali nuove nozioni che mi siano d’aiuto nel districarmi fra i problemi della vita.
Leggo (e poi scrivo anche) perché mi fa sentire sommamente inutile.
“Inutile” in quale senso preciso, tuttavia?
“Inutile” nel senso che comunemente viene assegnato a questo termine, con la postilla di un’accezione più rugiadosa, che seduta stante mi permetto di aggiungervi io: “inutile” anche nel più sfumato significato di “fuori dal tempo”.
Il tempo è un ambiguo personaggio, un “gentiluomo-buffone” bifrontale, abbigliato di un mutevole vestito dalla duplice facciata: nella parte anteriore, è un distinto signore in frac, elegante e di gran classe, che ci blandisce con lusinghevoli inviti a farci suoi seguaci. Cammina a ritroso il tempo, di modo da mostrarci sempre la sua faccia migliore e più accattivante. E noi giù a seguirlo, indaffarati e sfiatati per riuscire a tenerne il passo spedito, per non prendere distanza da quella sirena sempre in cammino, sempre un passo avanti alle possibilità delle nostre gambe.
Ma quando meno te lo aspetti, quando l’affanno di stare dietro al passare dei minuti, delle ore, dei giorni, si fa più intenso e spasmodico, ecco il tempo che fa una giravolta, e rivela l’altra metà del suo abito, insieme all’altra facciata del suo essere: la beffarda multicolore casacca del giullare, le ridicole scarpette a punta coi sonagli, la calzamaglia attillata coronata dal più classico “sbuffo” pagliaccesco sui fianchi.
Tanto più intensa si era fatta l’illusione di essere ormai giunti a carpire i segreti del tempo, quanto più sbalorditivo è lo sconcerto provato al suo repentino dietro front: l’elegante signore in frac, ci dà ora le spalle calando con un lazzo le sue brache di rozzo menestrello, spiattellandoci in faccia con sommo scherno il suo grosso culo peloso d’irrisione.
In altre parole, se non stai attento, il tempo fa presto a fregarti con illusioni sempre più vertiginose di utilità e di efficienza, con pretese di essere riempito sempre più di attimi mai gratuiti, mai fini a se stessi, ma sempre schiavi di scopi e di traguardi.
Salvo poi sbeffeggiarti in “deretanico” spregio, calandoti in faccia la villosa verità.
Il tempo è fatto così. Più ti affanni per riempirlo, più lui suona fesso e vuoto. Più ti armi delle migliori intenzioni per affrontarlo con serietà, faccia a faccia, più lui ti mostra il culo.
Come difendersi allora?
Gli ingredienti sono pochi e semplicissimi. Tre, per essere precisi: è sufficiente tener sempre a portata di mano un buon libro, un letto e una scopa.
Quando il tempo esegue il suo voltagabbanesco rivoltarsi, calandosi i pantaloni per farvi vedere che la sua glabra faccia di sopra non è poi così dissimile da quella irsuta di sotto, afferrate la scopa, infilate il manico dove sapete, poi vi coricate con calma sul letto, e vi mettete a leggere.
E buona inutilità.
Esegue: il mio sasso perfetto al 100%.
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Cosa c’è di più bello, in occasione di taluni arbitrari e del tutto casuali lassi di nostra vita, del lasciarsi andare ad un perfetto ed irreparabile senso di inutilità?
Parlo di quella vaga consapevolezza per cui ad un certo punto e per un dato intervallo del tuo tempo, ti senti di contare esattamente una beata fava per tutto l’universo mondo.
Recentemente, una mia amica mi ha detto che sono malato.
E di una malattia che ha a che fare con la psiche, per la precisione.
Certo, la frase è venuta fuori in un contesto di discussione semischerzosa, ma dell’ambizione di un piccolo fondamento di verità, quell’affermazione non era del tutto priva. Quello che mi veniva blandamente e amichevolmente rinfacciato non aveva nulla a che fare con patologie serie, beninteso, non c’entravano schizofrenia, propensioni paranoiche, meteorismi o priapismi di sorta.
La mia malattia sarebbe invece consistita nell’acquisto compulsivo di libri.
Lì per lì non ho saputo bene cosa ribattere. Di solito, non ho mai la battuta pronta io, e difatti sono proprio un conversatore sgangherato. Le cose che avrei voluto risponderle, è andata a finire che non gliele ho risposte. Ho ciancicato qualcosa di banalissimo, tipo vaghi accenni al piacere del cominciare spesso un nuovo libro, ma quello che avrei voluto risponderle, sempre in virtù della scarsa mia prontezza dialettica, mi è venuto in mente dopo.
C’è da aggiungere che, anche mi fosse venuto in mente per tempo, alla fine non l’avrei detto, perché in quel modo l’idea di strana creatura che la mia amica si è ormai fatta nei miei riguardi, si sarebbe aggravata in modo deciso.
Sia come sia, avrei voluto spiegarle che sono così morbosamente attaccato ai libri, perché i libri sono fra i migliori veicoli a me noti, per riuscire a trascorrere momenti di perfetta, adamantina ed imperturbabile inutilità. Leggo molto, mi circondo di libri, sono drogato di pagine scritte, perché esse mi fanno sentire felicemente ed estaticamente inutile.
Non è per far sfoggio di erudizione, che leggo. Ve l’ho detto: sono un parlatore così scipito ed incolore, che nemmeno studiarmi a memoria l’intera enciclopedia britannica, farebbe variare di un grammo la mia “monofasica” arte oratoriale.
Nemmeno leggo per poi saper scrivere meglio. Forse questo è un effetto collaterale involontario, ma perfettamente bilanciato dal fatto che scrivo sempre per il medesimo motivo: per sentirmi inutile, del tutto privo di scopi.
Non leggo per accrescere la mia conoscenza, non per possedere chissà quali nuove nozioni che mi siano d’aiuto nel districarmi fra i problemi della vita.
Leggo (e poi scrivo anche) perché mi fa sentire sommamente inutile.
“Inutile” in quale senso preciso, tuttavia?
“Inutile” nel senso che comunemente viene assegnato a questo termine, con la postilla di un’accezione più rugiadosa, che seduta stante mi permetto di aggiungervi io: “inutile” anche nel più sfumato significato di “fuori dal tempo”.
Il tempo è un ambiguo personaggio, un “gentiluomo-buffone” bifrontale, abbigliato di un mutevole vestito dalla duplice facciata: nella parte anteriore, è un distinto signore in frac, elegante e di gran classe, che ci blandisce con lusinghevoli inviti a farci suoi seguaci. Cammina a ritroso il tempo, di modo da mostrarci sempre la sua faccia migliore e più accattivante. E noi giù a seguirlo, indaffarati e sfiatati per riuscire a tenerne il passo spedito, per non prendere distanza da quella sirena sempre in cammino, sempre un passo avanti alle possibilità delle nostre gambe.
Ma quando meno te lo aspetti, quando l’affanno di stare dietro al passare dei minuti, delle ore, dei giorni, si fa più intenso e spasmodico, ecco il tempo che fa una giravolta, e rivela l’altra metà del suo abito, insieme all’altra facciata del suo essere: la beffarda multicolore casacca del giullare, le ridicole scarpette a punta coi sonagli, la calzamaglia attillata coronata dal più classico “sbuffo” pagliaccesco sui fianchi.
Tanto più intensa si era fatta l’illusione di essere ormai giunti a carpire i segreti del tempo, quanto più sbalorditivo è lo sconcerto provato al suo repentino dietro front: l’elegante signore in frac, ci dà ora le spalle calando con un lazzo le sue brache di rozzo menestrello, spiattellandoci in faccia con sommo scherno il suo grosso culo peloso d’irrisione.
In altre parole, se non stai attento, il tempo fa presto a fregarti con illusioni sempre più vertiginose di utilità e di efficienza, con pretese di essere riempito sempre più di attimi mai gratuiti, mai fini a se stessi, ma sempre schiavi di scopi e di traguardi.
Salvo poi sbeffeggiarti in “deretanico” spregio, calandoti in faccia la villosa verità.
Il tempo è fatto così. Più ti affanni per riempirlo, più lui suona fesso e vuoto. Più ti armi delle migliori intenzioni per affrontarlo con serietà, faccia a faccia, più lui ti mostra il culo.
Come difendersi allora?
Gli ingredienti sono pochi e semplicissimi. Tre, per essere precisi: è sufficiente tener sempre a portata di mano un buon libro, un letto e una scopa.
Quando il tempo esegue il suo voltagabbanesco rivoltarsi, calandosi i pantaloni per farvi vedere che la sua glabra faccia di sopra non è poi così dissimile da quella irsuta di sotto, afferrate la scopa, infilate il manico dove sapete, poi vi coricate con calma sul letto, e vi mettete a leggere.
E buona inutilità.
4 commenti:
Il concetto dell'inutilità è molto complesso e comune a coloro che osano interrogarsi.
Non comprendo bene il perchè tu l'abbia associato al momento della lettura, in fondo leggendo le tue capacità intellettive sono al lavoro, per cui il senso dell'utilità c'è nell'acquisizione dei dati che ti permettono di scrivere con così tanta eloquenza.
Secondo me il senso dell'inutilità è uno stato psichico molto profondo che si prova quando dentro di noi e intorno a noi c'è povertà di emozioni.
Senza emozioni la vita è un fermo immagine che ci fa solo incupire.
I libri danno emozione, scrivere da emozione e tu scrivi non inutilmente ma per noi che ti leggiamo e la nostra testimonianza permette uno scambio di emozioni.
Purtroppo senso dell'inutilità è molto pesante da sopportare e questa società lo agevola molto producendo surrogati di emozioni che hanno un sapore molto amaro.
Vivre la vie!
@->Marisa: probabilmente ho fatto casino, Mari :-) e non sono stato tanto chiaro...quello che volevo dire è che non va confusa la felicità, o perlomeno la serenità, con l'utilità...se ci badi, le cose più belle della vita, sono senza scopo apparente, o meglio, possono avere anche uno scopo, ma la componente che più ci attira e ci affscina di esse è quella disinteressata, gratuita: come nel mangiare, nel bere, nel fare l'amore, nell'ascoltare e fare musica...
In questo senso, la gioia vera è senza scopo, è, come dire, inutile :-) almeno io la vedo così :-)
Grazie per il commento articolato e lusinghevole :-)
uhmm e io che pensavo tu leggessi per sognare meglio ;-) baci senza senso
@->Farly: ehehehe :-), beh, quello è un corollario, cara Farly: il sogno è un'importantissima provincia del regno sommo d'inutilandia :-)
Bacini tardo barocchi :-)
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