Oggi inizio rettificando una bella vaccatina che scrissi una quindicina di giorni fa (precisamente il 10 luglio): naturalmente la città di Immanuel Kant non era, e non è, Heidelberg, ma Könisberg.
Capita anche ai migliori di dire stron…inesattezze.
Figuriamoci a me.
Fra campagnolismo duro e puro, e camionate di cultura, mi sto facendo alcuni giorni di ferie.
Avevo in programma un bel viaggio di 15 giorni con previsione di svariate tappe in diverse località mondiali, ma poi, al momento di recarmi in agenzia, ho sentito un tizio alla tele che raccomandava di viaggiare per incentivare la tendenza al rialzo dei consumi, così ho deciso che avrei convertito il mio budget turistico in libri, dvd e birre al bar.
Non è vero niente, è solo e sempre la mia pigrizia onnipotente che mi impera e mi divide fra letture, ronfate e sacrosante mangiate.
Come mio solito, è un po’ una scorpacciata gnoseologica scomposta e priva di programma quella che mi sto gustando. La lettura di «Vino e pane» di Ignazio Silone, mi ha riportato alle atmosfere delle pause estive del liceo, quelle dei mitici “libri da leggere per le vacanze”.
So che magari in tanti a tempo debito li maledissero.
Io no, o perlomeno non eccessivamente.
Non che mi ci ammazzassi dall’impegno, ma se oggi la mia passione per la lettura e la mia curiosità per tutti i temi dello scibile umano (sempre nel limite concesso dal mio comprendonio circoscritto…) sono divenute quello che sono, lo debbo anche a quelle care e vecchie letture estive.
Ricordo sempre con un sorriso un aneddoto citato spesso da mio fratello. Un suon compagno di classe non propriamente dotato della fama di gran studioso, al ritorno dalle vacanze soleva giustificare la sua mancata presentazione di eventuali relazioni o resoconti sulle letture effettuate, accampando, con fare fantascientifico, il fatto che il libro da lui scelto per le vacanze era «Guerra e pace».
Naturalmente, ad ogni nuovo settembre, la titanica lettura era ancora da terminare, e non so se lo stratagemma funzionasse veramente, ma di certo era ammirevole quella reiterata tattica di pokerismo studentesco, che cercava di nascondere il proprio “poltronismo” intellettuale sotto il tappeto di un rilanciato e supremo sacrificio di lettore.
In parallelo a Silone, sto traendo notevole giovamento spiritual-culturale anche dalla biografia di Albert Einstein (Walter Isaacson - Mondatori), che si legge con la piacevolezza di un bel romanzo mixata alla stuzzichevole malia di un saggio scientifico (in realtà, e giustamente, abbastanza all’acqua di rose, giusto per esperti di scienza qual io sono).
Ne ho ricavato pure una epifania del lettore in tema con quanto detto nel mio scribacchiamento scorso, ossia la ricerca di una dimensione “inutile-consolatoria” che solo le vette più elevate e rarefatte del sapere sono in grado di garantire.
«…La capacità della scienza di servire come rifugio dalle emozioni dolorose fu uno dei temi di una conferenza che Einstein tenne per la celebrazione del sessantesimo compleanno di Max Planck. Apparentemente riferite a Planck, le sue parole parvero rivelare piuttosto qualcosa di lui stesso.
“Una delle ragioni che spingono gli uomini all’arte e alla scienza è il desiderio di sfuggire alla desolata tristezza e alle sofferenze della vita quotidiana” disse Einstein.
Simili uomini fanno di questo cosmo e della sua intima struttura il "perno della propria vita emotiva, alla ricerca di quel genere di sicurezza e di pace che non è possibile trovare nell’angusto vortice dell’esperienza personale"…».
«Einstein – La sua vita, il suo universo»
Walter Isaacson - 2007
Sul fronte della campagnolità più spinta, mantenuta sempre ben amalgamata all’intellettualismo più turbinante, munito di zappa e rastrello, mi sono prodotto stamane in una atletica raspata di uno stradellino ghiaiato bisognoso di tonsura erbosa.
La parte culturale dell’operazione l’ho affidata all’ascolto tramite ipod di alcune bellissime puntate della vecchia trasmissione di Radiodue «Alle otto della sera». Nella fattispecie, era la serie intitolata “Vite da logico”, curata dal professor Piergiorgio Odifreddi.
Non vi dico, cari amici viandanti per pensieri, la goduria che è stato razzolare gioviale e canottierato fra erbacce e simpatici sassolini, mentre nelle orecchie mi passava la storia della logica, del tentativo lungo secoli di piegare il linguaggio ad essere strumento di comprensione fedele e perfettamente manovrabile della realtà, forzando parole e numeri a doversi ritrovare fra loro cugini.
Da Parmenide a Pitagora, da Zenone ad Euclide, passando per Platone, Aristotele, San Tommaso, Abelardo, Guglielmo da Occam, per arrivare a Newton, Kant, Leibniz, Russel, Gödel, Hilbert: tutta la bellezza del pensare occidentale condensata in stupende citazioni, rimandi logici e fondamentali percorsi di tutto quel pensiero che è “nostro”.
Avreste dovuto esserci…tanto una zappa e un rastrellino ve li trovavo fuori anche per voi.
Dovevate esserci, cari amici viandanti per pensieri, quando Odifreddi si è messo ad enumerare il sacro mantra del «Tractatus Logico Philosophicus» di Ludwig Wittgestein:
1. Il mondo è tutto ciò che accade.
2. Ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose.
3. L'immagine logica dei fatti è il pensiero.
4. Il pensiero è la proposizione munita di senso.
5. La proposizione è una funzione di verità delle proposizioni elementari.
6. La forma generale della funzione di verità è: [Р, ξ, N (ξ)]. Questa è la forma generale della proposizione.
7. Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.
E mi rivolgo a tutti coloro che ci capiscono solo il 3% (a parte il punto 6: capito allo 0% netto, ovviamente), proprio come è capitato a me: non vi sembra una cosa meravigliosa?
Capita anche ai migliori di dire stron…inesattezze.
Figuriamoci a me.
Fra campagnolismo duro e puro, e camionate di cultura, mi sto facendo alcuni giorni di ferie.
Avevo in programma un bel viaggio di 15 giorni con previsione di svariate tappe in diverse località mondiali, ma poi, al momento di recarmi in agenzia, ho sentito un tizio alla tele che raccomandava di viaggiare per incentivare la tendenza al rialzo dei consumi, così ho deciso che avrei convertito il mio budget turistico in libri, dvd e birre al bar.
Non è vero niente, è solo e sempre la mia pigrizia onnipotente che mi impera e mi divide fra letture, ronfate e sacrosante mangiate.
Come mio solito, è un po’ una scorpacciata gnoseologica scomposta e priva di programma quella che mi sto gustando. La lettura di «Vino e pane» di Ignazio Silone, mi ha riportato alle atmosfere delle pause estive del liceo, quelle dei mitici “libri da leggere per le vacanze”.
So che magari in tanti a tempo debito li maledissero.
Io no, o perlomeno non eccessivamente.
Non che mi ci ammazzassi dall’impegno, ma se oggi la mia passione per la lettura e la mia curiosità per tutti i temi dello scibile umano (sempre nel limite concesso dal mio comprendonio circoscritto…) sono divenute quello che sono, lo debbo anche a quelle care e vecchie letture estive.
Ricordo sempre con un sorriso un aneddoto citato spesso da mio fratello. Un suon compagno di classe non propriamente dotato della fama di gran studioso, al ritorno dalle vacanze soleva giustificare la sua mancata presentazione di eventuali relazioni o resoconti sulle letture effettuate, accampando, con fare fantascientifico, il fatto che il libro da lui scelto per le vacanze era «Guerra e pace».
Naturalmente, ad ogni nuovo settembre, la titanica lettura era ancora da terminare, e non so se lo stratagemma funzionasse veramente, ma di certo era ammirevole quella reiterata tattica di pokerismo studentesco, che cercava di nascondere il proprio “poltronismo” intellettuale sotto il tappeto di un rilanciato e supremo sacrificio di lettore.
In parallelo a Silone, sto traendo notevole giovamento spiritual-culturale anche dalla biografia di Albert Einstein (Walter Isaacson - Mondatori), che si legge con la piacevolezza di un bel romanzo mixata alla stuzzichevole malia di un saggio scientifico (in realtà, e giustamente, abbastanza all’acqua di rose, giusto per esperti di scienza qual io sono).
Ne ho ricavato pure una epifania del lettore in tema con quanto detto nel mio scribacchiamento scorso, ossia la ricerca di una dimensione “inutile-consolatoria” che solo le vette più elevate e rarefatte del sapere sono in grado di garantire.
«…La capacità della scienza di servire come rifugio dalle emozioni dolorose fu uno dei temi di una conferenza che Einstein tenne per la celebrazione del sessantesimo compleanno di Max Planck. Apparentemente riferite a Planck, le sue parole parvero rivelare piuttosto qualcosa di lui stesso.
“Una delle ragioni che spingono gli uomini all’arte e alla scienza è il desiderio di sfuggire alla desolata tristezza e alle sofferenze della vita quotidiana” disse Einstein.
Simili uomini fanno di questo cosmo e della sua intima struttura il "perno della propria vita emotiva, alla ricerca di quel genere di sicurezza e di pace che non è possibile trovare nell’angusto vortice dell’esperienza personale"…».
«Einstein – La sua vita, il suo universo»
Walter Isaacson - 2007
Sul fronte della campagnolità più spinta, mantenuta sempre ben amalgamata all’intellettualismo più turbinante, munito di zappa e rastrello, mi sono prodotto stamane in una atletica raspata di uno stradellino ghiaiato bisognoso di tonsura erbosa.
La parte culturale dell’operazione l’ho affidata all’ascolto tramite ipod di alcune bellissime puntate della vecchia trasmissione di Radiodue «Alle otto della sera». Nella fattispecie, era la serie intitolata “Vite da logico”, curata dal professor Piergiorgio Odifreddi.
Non vi dico, cari amici viandanti per pensieri, la goduria che è stato razzolare gioviale e canottierato fra erbacce e simpatici sassolini, mentre nelle orecchie mi passava la storia della logica, del tentativo lungo secoli di piegare il linguaggio ad essere strumento di comprensione fedele e perfettamente manovrabile della realtà, forzando parole e numeri a doversi ritrovare fra loro cugini.
Da Parmenide a Pitagora, da Zenone ad Euclide, passando per Platone, Aristotele, San Tommaso, Abelardo, Guglielmo da Occam, per arrivare a Newton, Kant, Leibniz, Russel, Gödel, Hilbert: tutta la bellezza del pensare occidentale condensata in stupende citazioni, rimandi logici e fondamentali percorsi di tutto quel pensiero che è “nostro”.
Avreste dovuto esserci…tanto una zappa e un rastrellino ve li trovavo fuori anche per voi.
Dovevate esserci, cari amici viandanti per pensieri, quando Odifreddi si è messo ad enumerare il sacro mantra del «Tractatus Logico Philosophicus» di Ludwig Wittgestein:
1. Il mondo è tutto ciò che accade.
2. Ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose.
3. L'immagine logica dei fatti è il pensiero.
4. Il pensiero è la proposizione munita di senso.
5. La proposizione è una funzione di verità delle proposizioni elementari.
6. La forma generale della funzione di verità è: [Р, ξ, N (ξ)]. Questa è la forma generale della proposizione.
7. Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.
E mi rivolgo a tutti coloro che ci capiscono solo il 3% (a parte il punto 6: capito allo 0% netto, ovviamente), proprio come è capitato a me: non vi sembra una cosa meravigliosa?
2 commenti:
Ma caro se non mi definisci P etc come faccio a capire il punto 6? ora per me può essere una roba del tipo P=proposizione, ξ=componente elementare di verità nella proposizione, N(ξ)=numero di cose vere dette, insomma tolte le cazzate tra quelle parentesi magari non ci resta nulla, ma il tutto è molto poetico, anche se aj voja che pipponi chilometrici si potrebbero fare su sto schemino in 7 punti!!
oh il blogspot dice putspeed mi dice di sbrigarmi che s'è fatto tardi... il seguito a dopo. baci logicissimi
@->Farly: Ehehehhe :-) mi sa, cara Farl, che per il punto 6 ho applicato inconsciamente ciò che prescrive il 7: non sapendone dire nulla, ne ho taciuto :-)
Leful dice a me blogspot facendo un po' il francese: la misura è colma :-)
putspeed è bellissimo :-D sembra un'imprecazione di uno che è in ritardo e deve scheggiare :-)
bacini logico-filosofici :-)
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